30 Giu 2020

Francia: le armi dello Stato azionista

CoVid-19

In un difficile quadro economico, il 3 luglio sono state annunciate le dimissioni del Governo guidato da Edouard Philippe. Una mossa accelerata dall'elezione dell'ormai ex premier a sindaco di Le Havre, e che toglie (per ora) dalla scena nazionale un personaggio politico con una popolarità crescente, soprattutto per la gestione della crisi sanitaria. 

Il nuovo Governo si troverà ad affrontare una situazione non semplice: La Francia sarà infatti uno dei paesi più colpiti al mondo dalla crisi causata dalla pandemia. Per il 2020, stime dell’OCSE prevedono un crollo del Pil senza precedenti che, nel migliore dei casi, sarà del -11,4%. Un triste primato che Parigi condivide con Spagna, Italia, Regno Unito e che farà schizzare il rapporto debito/Pil francese tra il 116 e il 126% entro il 2021. Un debito crescente che avvicina la Francia ai paesi “meno virtuosi” dell’area Euro. Eppure, nonostante tutto, Parigi gode ancora di tassi d’interesse sui titoli di stato estremamente bassi, molto più bassi ad esempio dell’Italia, che garantiscono (per ora) la sostenibilità di un maggior indebitamento e un maggior margine di manovra da parte dello Stato per contrastare l’attuale crisi economica con misure a sostegno della domanda aggregata.

 

Effetti della crisi

In Francia come in Italia, oltre all’emergenza sanitaria, pesa e peserà soprattutto la spirale determinata da caduta della domanda interna e dell’offerta collegate prima alle misure di lockdown e ora al circolo vizioso aggravato dalla fase di incertezza che segue la riapertura. Secondo le stime della Banca centrale francese per il 2020 a crollare saranno infatti: investimenti (-21,2%), consumi interni (-9,3%) e domanda estera (-14,3%), soprattutto quella verso l’UE che assorbe circa 2/3 di tutte le esportazioni francesi. In particolare i più colpiti saranno i servizi con a capo il comparto turistico, che rappresenta da solo oltre l’8% del Pil francese. Tra i settori più penalizzati anche i trasporti con una contrazione maggiore (-47,5%) a causa del blocco della produzione automobilistica (-88%) e dell’intera filiera aeronautica collegata ad Airbus che ha visto crollare gli ordini dell’80%. Ne hanno risentito anche i settori collegati al lusso, e in particolare dell’abbigliamento (-52,1%), mentre hanno retto l’industria alimentare (-6,2%) e il settore farmaceutico (-1,8%)

 

Strumenti in campo

Per far fronte alla crisi, lo Stato ha varato una serie di strumenti consistenti in stimoli fiscali immediati del valore di 106 miliardi di euro (4,4% del Pil), necessari per rimettere in moto la domanda; stimoli superiori a quelli dell’Italia (3,4%) ma anche decisamente più limitati rispetto a quelli messi in campo dalla Germania: (13,3% del Pil) che, oltre a godere di una finanza pubblica più in salute, può continuare a finanziarsi a tassi negativi.

Particolare attenzione nei piani di Parigi è stata data alla sostenibilità e all’ innovazione tecnologica con una forte impronta di “direzione” proveniente dallo Stato. Nel settore automobilistico, ad esempio, è stato varato un piano di 8 miliardi di euro incentrato sulla transizione energetica e che prevede politiche di incentivi nel rinnovo del parco auto e un fondo di 1 miliardo di euro per l'ammodernamento e la digitalizzazione delle catene di produzione automobilistica. 15 miliardi di euro sono destinati invece a sostegno dell'industria aerospaziale, con nuove commesse statali, investimenti e fondi (300 milioni) destinati alla digitalizzazione e la robotizzazione delle PMI nell'industria aerospaziale, cui si aggiungono 5 miliardi a favore del Consiglio per la Ricerca Aeronautica Civile per lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni. Le misure inoltre comprendono una moratoria di 1,5 miliardi di euro per il rimborso dei crediti all'esportazione e 2 miliardi di euro per compensare condizioni di rimborso meno severe per eventuali nuovi acquisti di aerei Airbus.

Tra i punti significativi del piano di rilancio vi sono anche 3,9 miliardi di euro di sostegno alle imprese innovatrici attraverso: Bpifrance, un fondo "Sovranità tecnologica francese" di 150 milioni di euro per rafforzare l'autonomia strategica della Francia nelle tecnologie future, 150 milioni di euro al Programma di sostegno per la grande innovazione. Da segnalare infine tra le numerose misure messe in campo, quella di concedere 20 miliardi di euro di crediti agli "attori economici strategici" per rafforzare i loro capitali o titoli di debito. Questo nuovo programma sarà gestito dall'Agence des participations de l'Etat (APE)

 

Il modello economico francese

L’ APE, creata nel 2004 con l'obiettivo di chiarire l'intervento dello Stato nel capitale delle imprese costituisce, insieme alla CDC (Caisse des Dépôts et Consignations) e alla Bpifrance (una banca d'investimento pubblica creata nel 2012 che non dispone di una licenza bancaria e il cui mandato si è rapidamente evoluto), il braccio armato dello Stato nell’economia. Uno Stato che è il più importante operatore sulla Borsa di Parigi e detiene partecipazioni in più di 1.750 aziende per un totale di 110 miliardi di euro grazie alle quali orienta in modo diretto ed indiretto l’azione di indirizzo e di supporto al sistema economico nazionale. Il ruolo dello Stato attraverso questi tre strumenti si è evoluto nel tempo, passando da un’attività a sostengo soprattutto di riacquisti di quote di capitale in grandi gruppi in difficoltà (PSA, Vallourec, Alstom, ecc.) a un ruolo di vero e proprio operatore di mercato. Operatore di mercato, ma pur sempre Stato: per avere un maggior numero di rappresentanti nei consigli di amministrazione, alcune partecipazioni vengono frazionate tra CDC, Fonds stragégique d'investissement e Bpi. Inoltre, lo Stato non punta più su quote di maggioranza, ma piuttosto a garantirsi un doppio voto grazie alla Legge Florange, approvata nel marzo 2014, che consente agli azionisti in possesso da più di due anni di quote di ottenere due voti per ogni azione detenuta. Ma il ruolo dello Stato si fa sentire anche in maniera più o meno indiretta come nel recente caso Renault. Il gruppo automobilistico, naviga in pessime acque. Le sue fabbriche e la sua rete di vendita sono state paralizzate dalla crisi del coronavirus. Lo Stato francese, il maggiore azionista di Renault con il 15% del capitale, ha accettato di venire in suo soccorso garantendo un prestito bancario di circa 5 miliardi di euro per far fronte alla pandemia, approvato dall'Unione Europea. Prestito condizionato però all’impegno del gruppo a localizzare in Francia le attività tecnologicamente più avanzate" e a sostenere "piani di ripresa verde e decarbonizzazione dell'economia", puntando sull’auto elettrica della cui produzione la Francia vuole diventare uni degli hub mondiali.

Inoltre a differenza dell’Italia, il cui tessuto industriale è fatto di piccole e medie imprese spesso sotto-capitalizzate e dipendenti quasi totalmente dal sistema bancario per la loro liquidità ridotta, il sistema economico francese è caratterizzato da un considerevole numero di grandi imprese. Nella lista Fortune Global delle 500 più grandi aziende al mondo per fatturato, figurano ben 31 società d’Oltralpe: più dell’Italia che ne conta solo 6 ma anche più della Germania che ne conta 29. Prima della Francia, solo Stati Uniti, Cina e Giappone. Una forza economica e organizzativa, questa, che permette di competere con i grandi player internazionali e di espandersi all’estero. Questo soprattutto in settori strategici come l’energia (Total, EDF, Veolia), grande distribuzione organizzata (Carrefour), trasporti (Renault, PSA, Airbus), industria (Vinci, Saint-Gobain, Safran), farmaceutica (Sanofi), servizi assicurativi (AXA, CNP) e finanziari (BNP, Credit Agricole, Société Général). Una situazione che consente al paese anche un maggior controllo della propria politica industriale specie nel contesto attuale fatto di un crescente processo di aggregazione industriale (OCSE, 2019 e FMI, 2019) e di competizione internazionale tra campioni nazionali, in particolare nei settori industriali strategici, che si dimostrano fondamentali soprattutto nei momenti di crisi come quello attuale dove sono invece le piccole e medie aziende e il modello basato su di esse a rischiare di più.

Se il modello dirigista francese riuscirà ad uscire meglio di altri paesi dall’attuale crisi resta una domanda aperta. Non mancano gli elementi di criticità, come quelli evidenziati già prima dello scoppio della pandemia dalla Corte dei conti francese nel 2017 piuttosto negativa nei confronti dell’attività dello Stato azionario, complice di troppi conflitti di interessi e dei rischi economici legati alle distorsioni di mercato. Eppure, quando i rischi che nascono da attività non strettamente legate alla logica di mercato sono evitati, la presenza dello Stato azionista può consentire una partecipazione a un gioco competitivo che è sempre più globale e in cui i cosiddetti campioni nazionali possono assicurare una presenza decisiva come player dei settori con una maggiore dinamica in termini di innovazione garantita da una sana politica industriale, in un contesto come quello attuale caratterizzato da una crescente agglomerazione industriale e da una crescente concorrenza tra grandi gruppi industriali.

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