9 Lug 2020

Intelligenza Artificiale: per l’Europa è l’anno delle strategie

CoVid-19

Nel gennaio 2018, il CEO di Google Sundar Pichai affermava che l’intelligenza artificiale (IA) avrebbe trasformato l’umanità più dell’elettricità. Iniziava così un anno incredibilmente denso per l’IA nel mondo, e ancora più per l’Europa che cominciava a porsi due grandi problemi: quello di essere totalmente dipendente da soluzioni tecnologiche di paesi come Stati Uniti e Cina, e quello etico nei confronti di una tecnologia che fino ad allora aveva avuto via libera nello sviluppare qualsiasi tipo di applicativo possibile senza un’adeguata governance politica che ne stabilisse modalità d’uso e priorità di sviluppo.

L’IA come molte altre tecnologie, per di più, sono state spesso viste dall’opinione pubblica come “aliene” al proprio quotidiano, dimenticando spesso che il riconoscimento facciale dei nostri smartphones o le più banali ricerche che facciamo sui motori di ricerca sono equipaggiate proprio grazie all’intelligenza artificiale che ci consente di vivere meglio usando le miriadi di dati che produciamo quotidianamente.

 

Le strategie italiana ed europea

Partendo da questo e da altri presupposti, nel marzo 2018 l’Agenzia per l’Italia Digitale pubblicava il Libro Bianco del governo italiano sull’IA a servizio del cittadino, primo documento al mondo dove si analizzavano gli effetti di questa dirompente tecnologia nei servizi pubblici e le sfide associate all’incorporazione dell’IA nella Pubblica Amministrazione con l’obiettivo di renderla più efficiente ed efficace. Un percorso, quello italiano, che ha incentivato molti altri Stati a fare considerazioni simili. Questo anche grazie al fatto che il documento veniva immediatamente tradotto in inglese e usato come guida dal gruppo di lavoro dell’OCSE sull’uso delle tecnologie emergenti nel settore pubblico come testo di riferimento a livello mondiale. Tanto che il Brookings Institute lo definisce, in un recente articolo, come il piano più completo tra tutti quelli usciti fino ad oggi.

Sempre nel 2018, la Commissione Europea lanciava una comunicazione sull’IA per l’Europa e invitava gli Stati membri a percorrere un lavoro strategico sull’IA a tutto tondo. Molti Paesi hanno anticipato quell’invito o hanno iniziato un percorso proiettato all’elaborazione di vere e proprie strategie nazionali su questo fronte avanzato.

Se quindi il 2018 può essere ricordato come l’anno in cui l’Europa (e l’Italia) hanno scoperto l’importanza politica dell’IA, il 2020 è l’anno in cui i piani nazionali sono finalmente arrivati. La settimana scorsa il Ministero dello Sviluppo Economico, dopo un lavoro durato quasi 22 mesi, ha pubblicato le proposte per la Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale redatte da un gruppo di 30 esperti con il supporto di alcune Pubbliche Amministrazioni. Un documento che riprende in parte alcune delle complessità già accennate nel Libro Bianco del 2018 e le arricchisce con una visione più olistica destinata ad analizzare non solo la pubblica amministrazione ma l’intero sistema produttivo del Paese e dà alcune indicazioni circa l’implementazione della futura Strategia, ancora in fieri, a livello fattuale.

Un cronoprogramma e dei chiari indirizzi di spesa per investire sull’IA sono elementi essenziali affinché la Strategia nazionale possa avere un futuro e non rimanga un mero prodotto di indirizzo. Da qui deve partire ovviamente un coordinamento con il neonato Fondo Nazionale Innovazione per sperare che le imprese tecnologiche nazionali trovino un solido soggetto capace di investire in progetti di IA. Le eccellenze italiane non mancano nel settore, da quello agricolo – con Abaco che sviluppa IA per migliorare la resa e la qualità della produzione agricola o RuralHack, che realizza progetti che tengono insieme l’innovazione sociale con l’agricoltura di qualità per la riattivazioni delle comunità rurali – a quello del management aziendale – con Energy Way che sviluppa modelli matematici innovativi e soluzioni di Data Science – a quello nel settore delle applicazioni più umanistiche dell’IA – con il lavoro portato avanti dalla Fondazione Bruno Kessler. Nel 2018 l’AGID, a tale proposito, aveva cominciato a mappare l’intero ecosistema italiano legato all’IA.

 

Le sfide e le opportunità

Anche il settore della ricerca e del knowledge sharing sull’IA ha trovato casa in Italia da tempo. I corsi su IA si sono moltiplicati negli ultimi anni, non solo nei Politecnici nazionali, ma in molti atenei che hanno cominciato a offrire corsi specialistici, contribuendo così a una parte vitale del processo di innovazione del Paese teso a costruire un consistente pool di esperti nel settore, base essenziale di qualsivoglia strategia. Il digital gap italiano e in parte europeo, è basato infatti sia sulle poche risorse umane a disposizione nel settore dell’IA, sia sulla capacità delle imprese di offrire loro un adeguato portafoglio di opportunità lavorative e di crescita professionale. L’obiettivo è impedire che i pochi data scientists presenti in Europa non migrino verso paesi che investono ingenti risorse nel progresso tecnologico come Stati Uniti, Israele, Cina o gli Emirati Arabi.

In ogni caso, la ricerca scientifica nel campo dell’IA ha certamente subito una forte accelerazione negli ultimi anni grazie ai fondi dell’UE attraverso il programma Horizon 2020 dove ha allocato 1,5 miliardi di euro dal 2018 al 2020, e anela a fare molto di più con i programmi Horizon Europe e Digital Europe, con un budget previsto di 1 miliardo di euro per anno (più dell’intero budget del Fondo Nazionale Innovazione italiano).

La Commissione europea sta inoltre lanciando una serie di iniziative tese a consolidare l’innovazione legata all’IA nel Vecchio continente. Nel corso di quest’ultima settimana ha pubblicato un invito a presentare proposte per un’azione preparatoria nel campo dell’intelligenza artificiale e dei big data per le pubbliche amministrazioni regionali e locali.

Il Libro bianco sull’intelligenza artificiale: un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia, pubblicato lo scorso febbraio dalla Commissione europea, sostiene un approccio normativo e orientato agli investimenti con il duplice obiettivo di promuovere l’adozione dell’IA e di affrontare i rischi associati a determinati utilizzi di questa nuova tecnologia.

Considerando che entro il 2025 l’impatto economico dell’automazione del lavoro basato sulla conoscenza, dei robot e dei veicoli autonomi dovrebbe raggiungere tra i 6,5 e 12 trilioni di euro all’anno il lavoro da fare per competere nel settore è ancora tantissimo. Stimolare le imprese a vedere nelle tecnologie di IA il motore di innovazione, quindi,  non è solo un mero esercizio economico ma anche un asset essenziale per la ridefinizione dell’attuale assetto geopolitico mondiale che nel prossimo futuro valuterà essenzialmente la capacità di produrre tecnologia, diffonderla e convertirla in patrimonio di intelligenza a servizio della società nel suo insieme.

La pandemia ci ha insegnato che la tecnologia può essere un alleato imprescindibile per permettere alle nostre economie di non avviarsi verso una recessione prolungata. Bisogna cogliere quest’occasione in chiave positiva e pensare che l’investimento che faranno oggi i Paesi europei nel settore IA potrà essere la vera chiave per un Rinascimento europeo nel nuovo mondo dell’IA.

 

 Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle della Commissione Europea

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