26 Ott 2020

Il Cile dice addio alla costituzione di Pinochet

Referendum

La stragrande maggioranza dei cileni ha votato favorevolmente al referendum per abbandonare la costituzione ereditata dalla dittatura militare di Augusto Pinochet. È il primo storico risultato dei movimenti di protesta dell’anno scorso contro le ingiustizie sociali. Ma il processo di riforma è appena all’inizio.

“A partire da oggi, dobbiamo tutti collaborare affinché la nuova costituzione sia la cornice per unità, stabilità, e futuro”, ha dichiarato il presidente del Cile Sebastian Pinera accogliendo i risultati del referendum tenutosi domenica. Oltre il 78% degli elettori cileni si è espresso favorevolmente al quesito referendario che chiedeva se cambiare o no la costituzione. A questo si accompagnava un altro quesito, relativo alla composizione della futura assemblea costituente: si chiedeva se questa debba comprendere un 50% di membri eletti e l’altra metà nominata dal parlamento, o se tutti debbano essere scelti in un futuro referendum. Ha vinto questa seconda opzione. Ad aprile 2021, i cittadini cileni saranno quindi nuovamente chiamati ad esprimersi sulla composizione dell’organo che redigerà la nuova carta fondamentale del paese. Quella in vigore oggi è uno degli ultimi strascichi del regime militare di Augusto Pinochet – la cui dittatura durò dal 1973 al 1990 – ed è largamente considerata la base di una serie di ingiustizie sociali ed economiche che hanno fatto scoppiare le proteste dell’anno scorso. Ieri sera Piazza Italia, nel centro di Santiago, ha accolto la gioia dei manifestanti, che ora intravedono la possibilità di gettare le basi per una società e un’economia più eque e giuste.

 

Un’eredità della dittatura militare?

L’11 settembre del 1973 un golpe militare sostenuto dagli Stati Uniti depose e uccise il presidente democraticamente eletto Salvador Allende e impose una sanguinosa dittatura guidata da Pinochet. Si stima che furono oltre 40mila le vittime del regime – tra uccisioni, sparizioni, torture e altre violazioni dei diritti umani – che terminò solo l’11 marzo 1990. L’attuale costituzione fu adottata tramite referendum nel 1980, ma negli anni la legittimità della Legge Fondamentale è stata messa in forte dubbio, sia per come il governo di allora ne manipolò e controllò il voto, sia per il contenuto stesso della costituzione, che non è espressione rappresentativa dello spettro politico cileno di allora e meno ancora di oggi. Dal 1989 in poi ci sono infatti stati molti processi di riforma costituzionale, il più consistente dei quali fu nel 2005, quando vennero modificati diversi capitoli della costituzione voluta dal regime della junta militar. Il periodo della dittatura, e la sua costituzione, sono da anni accusati di aver generato e legittimato disuguaglianze e ingiustizie sociali ed economiche protrattesi fino a oggi, o almeno fino al 7 ottobre 2019, quando sono scoppiate proteste di piazza.

Primavera cilena?

A inizio della scorsa primavera (che nell’emisfero australe comincia il 21 settembre), fu l’aumento del biglietto del trasporto pubblico a portare in piazza – a Santiago e non solo – donne, uomini, studenti e pensionati. Come spesso accade in questi casi, la protesta partì da un piccolo pretesto e successivamente mostrò il volto di un’insoddisfazione più profonda e diffusa. Fu così che le proteste furono indirizzate al carovita, alla corruzione, e in generale al sistema socio-economico su cui si è retta la democrazia cilena negli ultimi trent’anni. Spesso considerato un esempio positivo in una regione caratterizzata da instabilità politica ed economica, il Cile è un paese che si fonda su enormi disuguaglianze. Secondo il professor Giovanni Agostinis, l’1% della popolazione detiene il 26,5% della ricchezza, mentre il 50% più povero solo il 2%. Inoltre, il sistema economico neoliberale instaurato durante la dittatura ha privatizzato i principali servizi di base: sanità, istruzione e pensioni. Un processo che ha contribuito all’enorme indebitamento privato del paese. Questo riguarda “il 70% della popolazione (12.6 milioni di persone su un totale di 18 milioni), all’interno del quale oltre 4 milioni sono in stato di mora. In Cile – sottolinea Agostinis – tutto si compra a credito. Questo è il vero grande motore del boom dei consumi, che ha sostenuto per lungo tempo l’illusoria (auto)percezione di un paese di classe media.”
È così che oggi risulta più comprensibile come un semplice aumento del biglietto di tram e metro possa portare a scuotere le fondamenta del paese.

 

Polarizzazione politica?

In Cile, le polarizzazioni economiche – preservate anche attraverso un sistema fiscale regressivo, per cui tutti, senza distinzione pagano poche tasse – si riflettono in parte sullo spettro politico. I partiti di destra al governo, a parte alcune singole eccezioni interne al principale partito Renovacion Nacional, hanno sostenuto il rifiuto di una nuova costituzione, così come che l’Assemblea costituente sia mista. Avendo perso su entrambi i quesiti, il risultato del referendum offre un rinnovato slancio ai sostenitori di una nuova costituzione, cioè quelle forze di sinistra che, quando sono state al governo, non hanno saputo avviare i necessari processi di riforme. Le proteste di piazza dell’anno scorso hanno quindi fatto da catalizzatore e il Cile si avvia a un processo che – come commenta il presidente – dovrà bilanciare “l’eredità delle passate generazioni, la volontà di quelle di oggi, e le speranze di chi verrà domani”.

 

Il commento

Di Emiliano Guanella, corrispondente da San Paolo di RSI-TV Svizzera e La Stampa

Il referendum è solo il primo passo per il processo di stesura della nuova Costituzione la cui necessità è stata ampiamente dimostrata dal voto di ieri. Del resto, che il Cile volesse voltare pagina rispetto ad un modello economico che ha creato in 30 anni profonde ingiustizie e diseguaglianze sociali, lo si era capito fin dall'inizio delle proteste l'anno scorso. In piazza in questi dodici mesi sono scesi non solo gli studenti ma intere famiglie, lavoratori, pensionati, uomini e donne. Il cammino è appena iniziato ed è pieno di insidie. Scegliendo l'opzione di una nuova Assemblea costituente i cileni hanno anche ribadito la loro diffidenza verso l'attuale classe politica. Ma una nuova Costituzione dovrà essere il frutto di un grande lavoro di squadra e di compromessi, dove dovranno essere sentire tutte le voci, anche quelle di chi ieri ha votato per il mantenimento dello status quo. Non sarà una sfida facile, ma a 32 anni dal ritorno della democrazia [da quando per referendum fu impedita una ricandidatura di Pinochet, ndr] era davvero giunto il momento di affrontarla. 

 

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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)

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