Ora Pechino ha annunciato ufficialmente di ritenersi una “potenza quasi-artica”, e lo ha fatto con grande enfasi diffondendo un libro bianco dedicato alle ambizioni cinesi nell’Artico, parte integrante della
Belt and Road Initiative. La Via polare della Seta, altrimenti detta “Operazione Dragone Bianco” si gioca su più piani. Quello scientifico, come si è detto. Quello diplomatico, con intese bilaterali come l’accordo di libero scambio con l’Islanda, l’unico esistente tra la potenza asiatica e un paese europeo (la Cina ha anche costruito a Reykjavík una grande ambasciata che ospita quasi trecento persone, contro le 50 della residenza Usa). Sul piano regionale Pechino è coinvolta in tutti i contesti multilaterali. Ha siglato il cosiddetto “
5+5 agreement” tra i paesi artici e quelli asiatici per una moratoria sulla pesca nelle acque internazionali artiche in attesa di capire le dinamiche biomarine di un ecosistema in piena evoluzione. Molte specie ittiche, anche pregiate come il merluzzo artico e il pollock, stanno migrando verso l’Oceano Polare centrale in cerca di condizioni più fredde, ma pare anche meno adatte al nutrimento e alla riproduzione (un recente studio russo–norvegese del centro studi
Bellona di Murmansk ipotizza l’
estinzione di alcune specie), mentre l’aumento della biomassa marina generata dal riscaldamento fa prevedere che “le acque del Mare di Bering e del Mare di Beaufort si trasformeranno in zone altamente pescose e quindi a forte rischio di contese internazionali”.