8 Lug 2021

Ora Haiti brancola nel buio

Assassinato il presidente

La polizia di Haiti riporta di aver ucciso quattro sospetti dell’assassinio del presidente Moïse. Il premier Joseph dichiara che la situazione è sotto controllo, ma il paese rischia di sprofondare ulteriormente nel caos.

Il presidente della repubblica di Haiti Jovenel Moïse è stato ucciso nella notte tra martedì e mercoledì mentre si trovava nella sua residenza privata con la moglie, che è rimasta gravemente ferita e trasportata in un ospedale in Florida. Secondo il capo della polizia Leon Charles, “quattro mercenari sono stati uccisi e due sono stati arrestati”, mentre sarebbero stati rilasciati tre poliziotti presi in ostaggio durante l’attacco. Gli altri sospetti “saranno uccisi o arrestati”, dichiara Charles. Non sono ancora chiare le dinamiche dell’accaduto, ma il primo ministro ad interim Claude Joseph parla di un commando composto da stranieri che parlavano in spagnolo e inglese. Un indizio che per le autorità locali farebbe pensare ad ingerenze dall’estero, dal momento che nel paese caraibico le lingue ufficiali sono il creolo e il francese.
Joseph ha invitato la popolazione alla calma, rassicurando che la situazione è sotto controllo. Haiti veniva già da un periodo di crisi politica ed istituzionale, di cui sarebbe stato complice lo stesso Moïse, spesso accusato dagli oppositori e da proteste di piazza di corruzione e autoritarismo. Il rischio ora è che il paese più povero del continente americano sprofondi nell’anarchia e nel caos.

Cosa succede ora?

Il governo haitiano ha dichiarato lo stato di emergenza per le prossime due settimane, affinché vengano individuati gli altri eventuali responsabili dell’attacco. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, riunito oggi per discutere della situazione, ha invitato alla calma tutti gli attori politici haitiani. Anche il presidente USA Joe Biden ha espresso la propria vicinanza e preoccupazione per la situazione di Haiti: “Siamo pronti a fornire il nostro aiuto lavorando per la sicurezza e la protezione di Haiti”. La vicina Repubblica Dominicana, con cui Haiti condivide l’isola nel cuore dei Caraibi di Hispaniola, ha chiuso il confine e il presidente Luis Abinader ha parlato dell’assassinio di Moïse come di un attacco contro l’ordine democratico di Haiti e della regione.
Per quanto il premier ad interim Joseph abbia garantito che verrà assicurata la continuità, da un punto di vista istituzionale, emergono grossi dilemmi sulla successione di Moïse. La costituzione haitiana dice che, in caso di mancanza del presidente, il potere passa al primo ministro fino a nuove elezioni. Il problema è che Claude Joseph stava già ricoprendo la carica ad interim e il nuovo primo ministro Ariel Henry, nominato da Moïse solo tre giorni fa, non aveva ancora prestato giuramento. Per questo caso, la costituzione prevede che sia il presidente della Corte Suprema ad assumere la carica, ma il giudice Rene Sylvestre è morto di Covid due settimane fa.

 

Una crisi senza fine?

La crisi istituzionale in cui entra Haiti si somma a una situazione già precaria da tutti i punti di vista. L’ex colonia francese, abitata da 11 milioni di abitanti, è lo stato più povero di tutto il continente e uno dei più poveri del mondo. Una condizione ulteriormente aggravata da diversi cataclismi: l’uragano Jeanne del 2004; il terremoto del 2010, in cui morirono oltre 200mila persone, nonché la successiva epidemia di colera; e l’uragano Matthew del 2016. La pandemia di coronavirus ha ulteriormente acuito la crisi e ad oggi Haiti risulta essere l’unico paese dell’emisfero occidentale a non aver ricevuto un solo vaccino anti-covid.
Circa il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e molti cittadini lavorano come transfrontalieri nella vicina e più ricca Repubblica Dominicana. Da febbraio, inoltre, la capitale Port-au-Prince e le altre principali città sono state attraversate da proteste di massa proprio contro il presidente Moïse che sono spesso degenerate in violenze tra polizia e manifestanti. Moïse avrebbe infatti dovuto terminare il mandato a febbraio, ovvero cinque anni dopo che il suo predecessore ha lasciato la carica, ma si è rifiutato di farlo poiché sosteneva che gli mancasse un altro anno di governo, dal momento che non aveva assunto la presidenza prima di febbraio 2017. L’anno di scarto deriva dall’annullamento, per irregolarità, delle elezioni tenutesi a fine 2015 e poi ripetute a ottobre 2016.
Il suo mandato è stato segnato da proteste antigovernative, accuse di corruzione da parte dell’opposizione e da presunti colpi di stato contro di lui. Da ottobre 2019 governava per decreti poiché aveva posticipato le elezioni parlamentari a ottobre di quest’anno. È per questo motivo che le autorità hanno invitato la popolazione alla calma: il timore che la precarietà sociale sfoci in uno scontro tra bande armate e forze dell’ordine ora è ancora più alto.


Rischio collasso sociale?

In molti temono che l’assassinio di Moïse possa essere l’inizio di un nuovo periodo di instabilità sociale. Duecento anni fa, Haiti era una colonia di schiavi governata col pugno di ferro da Napoleone Bonaparte. L’insurrezione degli schiavi portò all’indipendenza dalla Francia nel 1804, ma il paese non ha mai conosciuto lunghi periodi di stabilità sociale e politica. Negli anni Ottanta la dittatura di François Duvalier “Papa Doc” prima, e suo figlio Baby Doc poi, ha in parte minato la prospettiva di un futuro democratico per Haiti, come dimostrano anche i successivi colpi di stato.
L’elezione di Moïse – votato da appena 600mila elettori complice un’affluenza del 29% – aveva nuovamente polarizzato la politica del paese. Negli ultimi anni la mancanza di servizi sociali, insieme alla crisi economica e alla corruzione che si è portata via molti degli aiuti umanitari della ricostruzione post-terremoto, aveva fatto proliferare le attività delle gang criminali. Rapimenti, rapine e altri episodi di violenza sono diventati la normalità in alcuni quartieri di Port-au-Prince. Un’ingovernabilità a cui avrebbero contribuito anche alcuni politici di alto rango, che si sarebbero serviti di alcuni criminali per intimidire gli oppositori o per regolare i conti in assenza di un governo funzionante.

 

Il commento

Di Antonella Mori, Head programma America Latina ISPI

Haiti è il paese più povero delle Americhe, uno dei più poveri al mondo, con un reddito pro capite intorno ai 1200 dollari annui. È un paese con profonde debolezze strutturali, carenze infrastrutturali e basso livello d’istruzione della popolazione. Moltissimi degli undici milioni di haitiani vivono grazie alle risorse che ricevono dall’estero – le rimesse – che sono arrivate ad essere il 23% del prodotto interno lordo del paese. Questo enorme afflusso di soldi contribuisce però alla pressione inflazionistica, che è già forte a causa della monetizzazione della spesa pubblica. Negli ultimi anni il governo aveva cercato di attrarre più turisti stranieri, promuovendo le bellezze naturali del paese. Pandemia e instabilità politica rallenteranno senza dubbio lo sviluppo di questo settore, come più in generale l’uscita dalla recessione attuale.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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