23 Lug 2021

G20 Ambiente: accordi e disaccordi

La ministeriale

I ministri del G20 raggiungono l’accordo per un pacchetto ambientale. Ma le distanze sui tempi e il finanziamento della transizione restano.

 

Dopo mesi di trattative serrate, i ministri dell’Ambiente dei paesi del G20 – riuniti ieri e oggi a Napoli – hanno raggiunto un primo accordo, in cui riconoscono, per la prima volta, “l’interconnessione esistente tra ambiente, clima, energia e povertà”. Un risultato non scontato considerando che il G20 – che rappresenta circa l’85% delle emissioni globali di gas serra – racchiude al suo interno sia la quasi totalità di produttori di energie rinnovabili che i principali produttori di petrolio. La lotta al degrado del suolo, la tutela degli oceani, la sicurezza alimentare, e la finanza verde sono alcuni dei principi cardine del comunicato congiunto – rilasciato a margine dell’incontro ministeriale – in cui viene anche dedicato ampio spazio al tema dell’economia circolare. Secondo l’ultimo Circularity Gap Report, solo l’8,6% delle risorse che entrano nell’economia vengono poi riutilizzate, causando uno spreco di materiali quantificabile in 100 miliardi di tonnellate all’anno. Dopo la giornata di ieri dedicata alla tutela di ecosistemi e biodiversità, oggi sul tavolo c’erano gli argomenti più complessi e divisivi: clima e soprattutto energia con Usa ed UE da una parte, Cina, Russia, economie emergenti e paesi petroliferi dall’altra.

 

Chi paga la transizione?

Se i paesi del G20 sembrano essere allineati sulla necessità di raggiungere la carbon neutrality riducendo a zero le emissioni di CO2, quanto velocemente farlo resta il nodo del contendere. Da una parte i membri del G7 puntano alla neutralità carbonica entro il 2050. Dall’altra, paesi come Cina, Russia, India, Indonesia e Arabia Saudita, rimangono freddi sull’ipotesi dell’impatto zero entro tre decenni, resistendo ai tentativi – anche della presidenza italiana – di rendere più vincolanti gli impegni assunti in sede G20. Una distanza tra le parti ulteriormente rimarcata dalla partecipazione solo da remoto della delegazione cinese e di quella indiana. Ulteriore scoglio nelle trattative è anche l’annosa questione su chi finanzierà la transizione. I paesi del Sud del mondo insistono sulla necessità che siano i paesi sviluppati ad assumersi la responsabilità di finanziare la lotta al cambiamento climatico. Nel suo discorso al G20, il ministro dell’Ambiente argentino Juan Cabandie ha ad esempio proposto che una parte del debito dei paesi in via di sviluppo venga cancellato per finanziare la loro transizione ecologica. Al momento, tuttavia, l’intento dei paesi avanzati di finanziare con 100 miliardi di dollari l’anno la decarbonizzazione delle economie emergenti, come stabilito negli accordi di Parigi del 2015, resta solo sulla carta.

 

Perché è importante un accordo?

L’incontro dei ministri del G20 su Ambiente, Clima ed Energia, cade nel mezzo di settimane segnate da eventi climatici estremi che hanno ribadito l’urgenza di un’azione comune nella lotta contro il riscaldamento globale. L’aumento della temperatura della superficie terrestre è sempre più evidente, tanto che secondo la NOAA – l’agenzia federale statunitense che si interessa di climatologia – il 2021 risulta già tra i 10 anni più caldi dal 1880. A inizio luglio al Circolo Polare Artico si è raggiunta la temperatura record di 48°C , causata da un’inedita e persistente ondata di calore in Siberia. Nonostante questi dati allarmanti, solo il 2% dei finanziamenti stanziati dalle autorità mondiali per il rilancio dell’economia post-Covid verrà speso in settori green. Allo stato attuale, secondo Fatih Birol, direttore esecutivo della Agenzia internazionale dell’energia  “non solo gli investimenti sono ancora lontani da ciò che è necessario per mettere il mondo sulla strada giusta per raggiungere le emissioni nette zero entro la metà del secolo, ma non sono nemmeno sufficienti per impedire che le emissioni globali raggiungano un nuovo record”. La definizione di impegni concreti in sede G20 può quindi fornire la linea guida necessaria su cui costruire un rinnovato impegno climatico alla COP26 di questo novembre a Glasgow, definita non a caso “l’ultima e migliore possibilità che il mondo ha di evitare la crisi climatica”. 

 

 

Che ruolo per Italia e UE?

L’Italia presiederà insieme al Regno Unito la COP26. L’obiettivo è quello di usare questa vetrina e quella del G20 per promuovere alcune delle tematiche prioritarie nell’agenda italiana come la tutela di mari e oceani e il ripristino del suolo, ma anche per far avanzare nel dibattito internazionale alcuni dei settori di forza del nostro paese come l’economia circolare. L’Italia è infatti leader europeo in questo campo, potendo contare su una quota di riciclo complessiva del 68% contro una media europea del 57%. Parallelamente, la strategia italiana su clima e energia rientra in quella dell’Unione europea che punta ad affermarsi come standard-setter globale. Non sorprende che l’arrivo dei ministri a Napoli segua di pochi giorni la presentazione di “Fit For 55”, il pacchetto di misure con cui la Commissione europea punta, entro il 2030, a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990, con l’obiettivo di arrivare alla carbon neutrality per il 2050. Un piano ambizioso che però da solo non sarà sufficiente per salvare il pianeta. L’Unione europea da sola contribuisce infatti all’8% delle emissioni globali di gas serra, contro il 28% della Cina. La lotta al cambiamento climatico richiede quindi, come ribadito dal premier italiano Mario Draghi all’ultimo G7, una cooperazione globale che coinvolga anche Pechino: la vera sfida di questo e dei prossimi G20.

 

Il Commento

di Ruben David, Coordinatore Task Force “Cambiamento climatico, energia sostenibile e ambiente” del T20

“Nonostante l’esultanza per l’accordo raggiunto sul comunicato finale, le delegazioni delle 20 economie più ricche al mondo non hanno assunto impegni finanziari vincolanti, il che limita la concretezza delle decisioni assunte. Tra le 10 linee guida vi sono cose interessanti, come il riconoscimento della centralità delle “nature-based solutions” per contrastare le due maggiori crisi ambientali della nostra epoca: la perdita di biodiversità e la crisi climatica. Ma se si vuole effettivamente portare a termine la transizione verso un’economia decarbonizzata e sostenibile l’ambizione di chi produce l’80% delle emissioni deve essere maggiore”.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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