13 Set 2019

Presidenziali tunisine: una sfida tra passato e futuro

La Tunisia si appresta ad affrontare uno dei momenti più delicati per l’esito del processo di trasformazione istituzionale e democratizzazione iniziato nel 2011 con la caduta del regime del presidente Zine el-Abidine Ben ‘Ali. A distanza di più di otto anni, il paese è ancora in una fase di transizione che lo rende potenzialmente fragile […]

La Tunisia si appresta ad affrontare uno dei momenti più delicati per l’esito del processo di trasformazione istituzionale e democratizzazione iniziato nel 2011 con la caduta del regime del presidente Zine el-Abidine Ben ‘Ali. A distanza di più di otto anni, il paese è ancora in una fase di transizione che lo rende potenzialmente fragile e che fa sì che rimangano ancora in piedi tutte le incertezze e le incognite legate all’effettiva riuscita o meno del passaggio da un regime autoritario a un sistema pienamente democratico. Nei prossimi mesi si terranno due appuntamenti fondamentali per il futuro del paese: le elezioni presidenziali e le parlamentari. Dopo la scomparsa del presidente Beji Caid Essebsi, avvenuta lo scorso 25 luglio, si è imposto un cambiamento nell’agenda elettorale, per il quale le elezioni presidenziali – che si sarebbero dovute svolgere dopo quelle parlamentari – sono state anticipate a domenica 15 settembre. Tale stravolgimento ha spostato l’attenzione mediatica e politica verso la competizione presidenziale, conferendole una centralità che altrimenti, per effetto del nuovo assetto istituzionale post-2011, sarebbe spettata in misura leggermente maggiore al voto delle parlamentari (che si terranno il 6 ottobre). 

Il paese si appresta dunque a scegliere – per la seconda volta dopo il 2014 in maniera democratica e nel quadro di un processo pluralista – il proprio capo di stato, in un clima generale di disillusione nei confronti della politica “tradizionale”. L’elettorato risulta deluso dall’azione dei protagonisti politici della fase post-rivoluzionaria e ciò si traduce da un lato in un basso tasso di affluenza ai seggi e di partecipazione diretta ai processi elettorali, e dall’altro nell’emergere di attori indipendenti che mirano a presentarsi come una reale alternativa ai partiti politici attuali, giudicati spesso come un elemento di continuità con il vecchio regime, piuttosto che di vera e propria rottura con il passato. A pesare su tale percezione, continuano a rimanere quei fattori che, negli ultimi anni, hanno caratterizzato negativamente l’andamento del paese, soprattutto una persistente crisi economica e, in parte come conseguenza, una diminuzione della sicurezza sia a livello sociale che in termini di tentativi di destabilizzazione dell’attuale sistema politico-istituzionale per mano di elementi fondamentalisti di natura islamista. Qualsiasi sia il risultato delle elezioni presidenziali, il nuovo capo di stato avrà il difficile compito di riconciliare le diverse anime della società tunisina e di far rinascere in loro la fiducia nelle istituzioni che sembra in gran parte andata persa dopo otto anni di stallo politico ed economico.
 

L’eredità di Essebsi 

Scomparso all’età di 93 anni, Essebsi ha sicuramente rappresentato una figura di spicco della storia contemporanea della Tunisia, al punto che molti lo considerano il “secondo padre della patria” dopo Habib Bourguiba, leader della lotta indipendentista dalla Francia e primo presidente della Tunisia indipendente. Per la vita politica tunisina, Essebsi è stato un personaggio tanto centrale quanto controverso. A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, Essebsi ha ricoperto importanti ruoli istituzionali, sia sotto Bourguiba – come ministro dell’Interno, della Difesa e degli Affari esteri – che durante il regime di Ben ‘Ali. Questo curriculum faceva di Essebsi un personaggio non del tutto avulso dalle dinamiche politiche del paese durante i decenni di autoritarismo che hanno preceduto la caduta del regime nel 2011. Allo stesso tempo, Essebsi è stato in parte il garante della transizione, ricoprendo il ruolo di primo ministro ad interim nella delicatissima prima fase di transizione, dal febbraio al dicembre del 2011. Nonostante i suoi legami con i precedenti regimi, Essebsi si è rivelato un leader molto popolare, al punto che nel 2014, alle prime elezioni presidenziali democratiche e pluraliste della storia del paese, venne eletto Presidente della repubblica dopo aver fondato il suo partito Nidaa Tounes, una piattaforma di natura secolarista in opposizione alla contestuale ascesa politica di Ennahda, partito conservatore di tradizione islamista moderata, divenuto il primo partito alle elezioni del 2011. Da un lato, la vittoria di Essebsi per la corsa presidenziale e, contemporaneamente, quella del suo partito alle elezioni parlamentari dello stesso anno, derivò dalla polarizzazione della società tunisina in seguito all’ascesa di Ennahda e alla nascita di un fronte “anti-islamista” che si poneva l’obiettivo di contrastare il partito di Ghannouchi. Dall’altro, però, è indiscutibile che la stessa natura di Nidaa Tounes fosse troppo eterogenea per poter offrire un programma politico alternativo e concreto. Allo stesso modo, l’ideologizzazione della politica tunisina nei due fronti “islamista” e “secolare” ha bloccato l’attività di governo, provocando uno stallo in termini di riforme e impedendo al paese di progredire dal punto di vista economico, sociale e infrastrutturale. L’eredità che lascia Essebsi, dunque, è anche quella di un paese di fatto spaccato in due e, all’interno del cosiddetto fronte progressista, ulteriormente diviso in una miriade di correnti e movimenti.
 

Gli elementi di novità 

Anche per questo motivo le elezioni presidenziali del 2019 hanno una rilevanza storica, potendo segnare una svolta nel processo di democratizzazione della Tunisia. A scontrarsi sono tutte le anime del paese, dai rappresentanti più tradizionalisti – se non addirittura nostalgici del vecchio regime benalista, come nel caso della candidata del Partito desturiano libero Abir Moussi – a quelli facenti parte dell’establishment dei più importanti partiti.  A questi si opporranno alcuni candidati indipendenti e figure nuove che si propongono come elementi di rottura rispetto alla politica tradizionale, come nel caso del magnate delle telecomunicazioni Nabil Karoui, definito da molti una sorta di “populista” tunisino, che partecipa alle elezioni dal carcere, dove è rinchiuso dal 23 agosto scorso con l’accusa di riciclaggio e frode fiscale. 

Inoltre, il fatto che le elezioni presidenziali siano state anticipate per via della scomparsa di Essebsi ha invertito il calendario dei due appuntamenti elettorali del 2019 a cui sono chiamati gli elettori tunisini. Se, inizialmente, si sarebbe dovuto votare prima per il rinnovo del parlamento –  quindi per la definizione dei nuovi equilibri politici – e solo in un secondo momento per la scelta del capo dello Stato, con la nuova disposizione  quest’ultima anticiperà il rinnovo del parlamento. Ciò vuol dire che l’elezione del presidente assumerà una natura quanto mai politica, poiché fungerà da termometro per le scelte dei tunisini alle elezioni parlamentari, avendo potenzialmente la capacità di influenzare anche il voto degli elettori per la scelta del rinnovo delle forze politiche che andranno a comporre il parlamento. Alla luce di tale novità, anche Ennahda, che tradizionalmente aveva scelto di non candidare propri rappresentanti per la corsa presidenziale, ha messo in campo una propria personalità di primo piano, Abdelfattah Mourou. Sembra evidente, infatti, che il vincitore delle presidenziali potrebbe godere di un vantaggio – in termini di popolarità – anche alle elezioni politiche, sperando di capitalizzare il risultato ottenuto

A tal proposito, è utile ricordare come, dopo la riforma costituzionale del 2014, la Tunisia sia passata da un sistema puramente presidenziale (in cui il capo dello stato godeva di fatto di pieni poteri pressoché illimitati) a un sistema simile al semi-presidenzialismo francese. Nel nuovo ordine istituzionale, il presidente della repubblica mantiene prerogative importanti soprattutto nel settore della difesa, della sicurezza e dell’indirizzo di politica estera del paese, ma il suo ruolo è limitato e bilanciato da quello dell’esecutivo, espressione della maggioranza del parlamento. La stessa figura del presidente è stata al centro del dibattito politico che ha preceduto le elezioni presidenziali, dal momento che alcuni candidati (soprattutto l’ex ministro della Difesa Abdelkarim Zbidi, appoggiato da Nidaa Tounes) hanno paventato il ritorno a un sistema presidenziale puro, per contrastare l’influenza che alcune forze politiche, in particolare Ennahda, possono ottenere grazie a un eventuale risultato positivo alle elezioni parlamentari.

Chiunque esca vincitore dalla sfida elettorale, sia alle presidenziali che in parlamento, dovrà comunque prendere in mano i dossier più urgenti da risolvere in termini di sviluppo e di riforme in campo economico, infrastrutturale e sociale. Il rischio, altrimenti, è che la Tunisia continui a rimanere un paese pericolosamente in bilico.

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