28 Ott 2021

Cop26: ultima chiamata

Climate change

Tra assenti eccellenti e distanze si apre lunedì a Glasgow la Cop26, per gli scienziati l’ultima chance contro il cambiamento climatico. L’Europa – dice Ursula von der Leyen – farà di tutto perché sia un successo.

 

Mentre Glasgow si prepara a ospitare COP26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite nel fine settimana, cresce il timore sul fatto che i negoziati non portino i risultati sperati. A pesare sulla sfida di convincere i paesi ad approvare tagli ancora più netti alle emissioni di carbonio sono le assenze ‘eccellenti’, le disparità tra paesi sviluppati e non, e il timore che i costi sociali derivanti dalla transizione energetica provochino scossoni politici ed economici. Su distinguo e incertezze gravano però gli allarmi degli esperti: secondo le Nazioni Unite se anche gli impegni nazionali presi finora venissero rispettati, non basterebbero ad invertire la rotta: entro il 2100 il mondo sarebbe comunque più caldo di 2,7 °C rispetto ai livelli preindustriali. Un aumento ben superiore all’obiettivo di 2°C degli Accordi di Parigi del 2015. Uno scenario funesto, poiché in un pianeta più caldo di 2 gradi renderebbe quelle finora considerate ondate di calore eccezionali fino a 14 volte più probabili ogni anno, raddoppiando gli eventi di siccità diffuse. “Siamo sulla buona strada per la catastrofe climatica” ha detto senza mezzi termini il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres – Gli scienziati sono chiari sui fatti. Ora i leader devono essere altrettanto chiari nelle loro azioni, devono venire a Glasgow con piani audaci, vincolanti nel tempo per raggiungere lo zero netto”. Al timore dei costi collettivi per la transizione si dovrebbe sostituire quello per l’impatto ben più grave di lasciarsi sfuggire un’occasione come quella di Glasgow. 

 

 

Un decennio cruciale?

Scienziati e ambientalisti sono concordi: la prossima Cop che si terrà a Glasgow è l’ultima opportunità del mondo per cercare di tenere sotto controllo le conseguenze dei cambiamenti climatici. I leader mondiali attesi in Scozia saranno 197. Ad essi si uniranno decine di migliaia di negoziatori, rappresentanti di governo, imprese e cittadini. Per 12 giorni questa ‘conferenza delle parti’ (Cop appunto) cercherà di concordare un piano comune che superi gli impegni presi allo storico vertice di Parigi. La temperatura del nostro pianeta, infatti, è già oltre gli 1,2°C rispetto ai livelli pre-industriali e l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C fallirà già nel 2040 se non si procederà immediatamente a tagli massicci delle emissioni di gas serra: almeno il 50% del totale entro il 2030. L’eliminazione graduale dei combustibili fossili dovrebbe essere realizzata però attraverso una transizione equa. Ciò significa porre fine al sostegno pubblico per i progetti sui combustibili fossili, in via prioritaria il carbone, il più inquinante, che dovrebbe essere eliminato il più rapidamente possibile, tutelando al tempo stesso le popolazioni e le comunità più colpite. La sfida di Glasgow è questa: fissare obiettivi più ambiziosi per ridurre le emissioni entro i prossimi dieci anni, considerati ‘cruciali’ per il futuro del pianeta. Solo così la Conferenza potrà dirsi veramente un successo.

 

Questione di ingiustizia climatica?

Il settore dell’approvvigionamento energetico, ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili e responsabile per circa il 75% delle emissioni dirette di CO2, è in assoluto il più inquinante a livello globale. Questo spiega perché i paesi più industrializzati sono anche quelli che inquinano di più e perché è a loro che l’Onu chiede di intensificare gli sforzi economici: eliminando i sussidi alle fonti fossili ma anche sostenendo i paesi più vulnerabili. Considerato anche che dei 100 miliardi di dollari l’anno promessi per sostenere i paesi in via di sviluppo – che inquinano meno ma devono adattarsi ad un modello di crescita sostenibile – ne sono arrivati solo 80. Di questi, per di più, circa 60 sotto forma di prestiti che, pertanto, dovranno essere restituiti. Per questo ora i paesi più vulnerabili chiederanno impegni “veri” ed un’equità che fin qui si è vista – sul clima come sui vaccini – solo sulla carta. Come rivela un rapporto di Jubilee Debt Campaign, nel 2021 i paesi a basso redito spendono cinque volte di più per ripagare il debito estero che per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.

 

 

Dalle parole ai fatti?

A incidere sulla riuscita o meno del vertice di Glasgow potrebbe essere l’assenza di capi di stato e di governo di paesi che sono grandi inquinatori. All’incontro in Scozia, infatti, non ci saranno il presidente cinese Xi Jinping né quello russo Vladimir Putin o il brasiliano Jair Bolsonaro. E lo stesso presidente americano Joe Biden potrebbe arrivare a mani vuote, non essendo riuscito a far approvare il suo ambizioso piano, il Build back better act, per la riduzione delle emissioni. A preoccupare però sono anche i presenti, o almeno alcuni di loro: come rivelato nei giorni scorsi da un’inchiesta di Greenpeace, alcune nazioni e lobby aziendali stanno lavorando dietro le quinte per ‘annacquare’ il rapporto dell’Ipcc sul clima in modo da eliminare le informazioni e le conclusioni più scomode, quelle che potrebbero minacciare gli interessi di alcune grandi aziende. Arabia Saudita, Giappone e Australia, ad esempio, sono tra i paesi che “chiedono” all’Onu di minimizzare la necessità di abbandonare rapidamente i combustibili fossili. Di fronte al rischio di ‘greenwashing’, l’Europa si erge – come già avvenuto in passato – in difesa della lotta al cambiamento climatico e per la transizione energetica. “Faremo tutto quanto possiamo per rendere la Conferenza di Glasgow un successo, perché il clima non può attendere” ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aprendo i lavori della Settimana europea dell’energia sostenibile. Non esattamente un obiettivo facile. Questa conferenza dovrà segnalare un passaggio “dall’assunzione di impegni all’azione” afferma Marcene Mitchell, vicepresidente del Wwf. “I paesi non devono solo fare promesse più ambiziose, ma devono anche passare dalle parole ai fatti”.

 

Il commento

Di Ruben David, analista ISPI su energia e cambiamenti climatici

“La situazione climatica richiede uno sforzo molto ambizioso. È per questo che la COP26 riveste un ruolo molto più grande di una semplice conferenza che serve per rafforzare le basi per il raggiungimento della neutralità climatica entro la metà di questo secolo ed evitare cambiamenti irreversibili, inclusa la perdita di interi ecosistemi vitali.

I problemi sono enormi, mentre i segnali ormai inequivocabili che non si sta andando nella giusta direzione, si moltiplicano. Ma molti leader mondiali sembrano affrontare i negoziati sul clima come una contesa geopolitica: non solo una sana competizione per la leadership nella transizione verde, ma un ostruzionismo che porta allo svuotamento del metodo multilaterale, l’unico in grado di risolvere un problema globale che per la sua natura richiede la partecipazione di tutti”.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)

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