15 Nov 2021

Clima, l’Italia alla prova del G20 e della COP26

Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana n.19

Se da una parte la conversazione globale sulla lotta al cambiamento climatico sembra per molti versi matura, dall’altra manca ancora un solido ecosistema sottostante che la supporti. È evidente che la transizione energetica dev’essere più rapida. Riuscirci richiede visione, pianificazione, investimenti, leadership politica. Richiede poi accettabilità sociale e un processo ordinato e inclusivo, pena il fallimento della transizione stessa. E proprio nel mezzo di una crisi globale sui prezzi dell’energia, al G20 di Roma e alla Cop26 di Glasgow si discutevano i tempi e i modi per unire i tanti pezzi del puzzle e accelerare sul clima. Nelle difficili circostanze di questo anno, la leadership climatica di Mario Draghi sembra aver colto la complessità della prova sia a Roma che a Glasgow, spiccando tra i leader G7 e G20 anche per il ruolo più defilato giocato da altre potenze, a partire dalla Germania e dalla Francia.

 

A Roma buone iniziative e colli di bottiglia

Non è un mistero che il modello di sviluppo che ha reso molti dei Paesi G20 quello che sono oggi, le maggiori potenze globali e responsabili dell’80% delle emissioni globali di gas serra, sia ora insostenibile. È perciò un buon segnale che a Roma questi Paesi abbiano riconosciuto la necessità di accelerare per mantenere l’incremento della temperatura a 1,5°C rispetto all’era preindustriale. I passi in avanti fatti su alcune questioni energetiche chiave sono i benvenuti in questo senso – a partire dallo stop al finanziamento internazionale del carbone, sulla scia di quanto fatto in sede G7 e già annunciato da molti Paesi (in particolare asiatici) nel corso del 2021.

La combustione fossile è attualmente responsabile del 75% delle emissioni mondiali di gas serra. Per la prima volta, un comunicato congiunto “Energia e clima’” ha riconosciuto a livello G20 il legame tra produzione di energia, emissioni di gas serra e cambiamento climatico. Per la prima volta, ancora, il G20 a guida italiana ha riconosciuto l'importanza di ridurre le emissioni di metano. Come prevedibile, però, non è scaturito alcun impegno sulla fine dei sussidi per i combustibili fossili e c’è stata una certa resistenza su formulazioni più esplicite relative al carbone.

Rimangono ampie lacune anche su altri fronti. Il G20 ha sì reiterato l’impegno sui 100 miliardi di dollari di finanza climatica, ma senza produrre una vera svolta sul tema. Resta un gap importante nei volumi, nella pianificazione, nella qualità, nell’accesso, nella destinazione e nelle priorità della finanza climatica. Nonostante l’attenzione dei 20 anche sul tema caldo dei fondi per l’adattamento, la strada da fare è ancora lunga. Tra le varie iniziative, l’istituzione del nuovo Resilience and Sustainability Trust presso il Fondo monetario internazionale (Fmi) è però un passo in avanti per supportare i Paesi più vulnerabili alle prese con gli effetti devastanti del clima.

 

La staffetta con Glasgow e gli impegni italiani

Questi temi sono stati chiaramente trasversali anche ai negoziati di Glasgow. A settembre, le voci di quasi 400 giovani provenienti da 186 Paesi si sono fatte sentire, incontrandosi a Milano nel contesto della pre-Cop organizzata dal governo italiano. Il giorno dopo il G20, i delegati della Cop26 sono stati accolti da grandi manifestazioni in Scozia e in tutta Europa. Lo scarso protagonismo di partner chiave in alcuni di questi tavoli climatici – in primis Cina e Russia – non ha fatto che rafforzare le proteste e gli appelli.

Glasgow era un appuntamento particolarmente atteso, soprattutto perché alla Cop26 si dovevano raccogliere i contributi aggiornati dalle parti (i cosiddetti NDCs). Per tenere alta la barra dell’ambizione, le molte campagne settoriali su temi specifici hanno rappresentato un filone parallelo ai negoziati, supportato dalla presidenza della Cop: una “chiamata alle armi” sul clima fatta da tanti stakeholder differenti.

E a Glasgow l’Italia ha risposto a molti di questi appelli: si è impegnata a ridurre le emissioni fuggitive di metano del 30% entro la fine del decennio insieme ad altri 80 Paesi; insieme a partner critici come Indonesia o Brasile, si è impegnata per invertire le attività di deforestazione entro il 2030 e dedicare collettivamente 19,2 miliardi di dollari a questo sforzo.  

L’Italia risulta tra i firmatari di una dichiarazione a supporto della transizione verso energie pulite e rinnovabili e per lo stop a sussidi, garanzie e altri strumenti di supporto alle fonti fossili entro la fine del 2022. Tra gli altri impegni, Roma ha aderito alla Breakthrogh Agenda per rendere le tecnologie pulite e le soluzioni sostenibili più convenienti, accessibili e attraenti in ogni settore emissivo a livello globale prima del 2030. Ha inoltre aderito alla “Boga”, l’alleanza di Paesi impegnati per la graduale eliminazione di petrolio e gas. In occasione dell’adesione, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha chiarito che l’Italia ha un grande piano per le rinnovabili con 70 miliardi di watt per i prossimi 9 anni per arrivare al 2030 con il 70% di energia elettrica pulita. Importante è stato anche il sostegno politico italiano al finanziamento dell’adattamento ai cambiamenti climatici, dentro e oltre la Cop26.

 

Rafforzare la leadership climatica italiana

Quelli riportati sono solo alcuni degli impegni presi dall’Italia alla Cop26 in questi ultimi giorni. Ai margini delle trattative del G20 di Roma, la tregua commerciale tra Stati Uniti e Unione europea è un’iniziativa che fa ben sperare per il rafforzamento di un partenariato che è fondamentale per la causa climatica. I segnali di collaborazione tra Stati Uniti e Cina alla Cop26 sono ugualmente benvenuti e necessari, ma non sufficienti. La Cop26 si è chiusa con molti aspetti positivi, tra cui gli impegni di tornare al tavolo nel 2022 con piani di riduzione delle emissioni aggiornati e con un primo impegno ad aumentare gli sforzi di riduzione del carbone e cessare il sostegno ai sussidi per le fonti fossili.

Nonostante i moltissimi colli di bottiglia di Glasgow  – come l’isolamento cinese e indiano sul carbone – il governo italiano può fare molto per rafforzare il consenso internazionale sul clima e consolidare al contempo la leadership climatica di cui ha dato prova. A partire, sicuramente, dalla fondamentale riforma dell’architettura finanziaria globale, che non ha trovato tutte le risposte a Glasgow ma che necessita di una solida sponda europea. A livello Ue, l’Italia potrà poi promuovere decisioni ambiziose sul pacchetto “Fit for 55”, proposto dalla Commissione europea per ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

A livello interno, invece, la vera sfida sarà adesso quella di “equipaggiare” adeguatamente le istituzioni e la diplomazia italiane con le competenze adatte per integrare il clima nelle varie politiche attuate dal nostro Paese.

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