20 Ott 2021

Ue e Mediterraneo centrale: la migrazione invisibile?

Migrazioni

saranno al centro della loro agenda. D’altronde, con i prezzi del gas quintuplicati rispetto ad agosto e le discussioni che impazzano su Polonia e stato di diritto, di gatte da pelare ce ne saranno già a sufficienza. E di sicuro ci sarà spazio anche per parlare di attraversamenti irregolari di frontiere europee, ma il riferimento sarà alle oltre 30mila persone che da luglio hanno attraversato o tentato di attraversare i confini della Bielorussia per raggiungere Lituania, Lettonia o Polonia, e alle recenti decisioni del Parlamento polacco di giustificare i respingimenti immediati di potenziali richiedenti asilo.

Eppure, sul fronte delle migrazioni irregolari nel Mediterraneo la situazione non è “tranquilla”. Anzi, i numeri sono chiari: le migrazioni irregolari via mare verso l’Ue sono in netto aumento, dal minimo di 94mila l’anno toccato nel 2020 ai 121mila degli ultimi dodici mesi (+29%). In particolare, mentre sono ulteriormente crollati i flussi verso la Grecia, sono in netto aumento quelli verso l’Italia.

Dal minimo di 8.500 arrivi l’anno toccato ad agosto 2019 siamo risaliti a 56mila arrivi negli ultimi dodici mesi: insomma, nel giro di un paio d’anni sbarchi più che sestuplicati. Se si contano anche le oltre 26mila persone intercettate e riportate in Libia nel corso degli ultimi dodici mesi dalla Guardia costiera libica (un record assoluto), si comprende come la pressione migratoria lungo la rotta del Mediterraneo centrale sia sostanziale.

 

Nessuna “invasione”

Sbarchi vicini alle 60mila unità l’anno sono circa il triplo rispetto a quanto sarebbe stato “normale” attendersi in Italia nel primo decennio di questo secolo. In parte essi sono la diretta conseguenza dell’aggravamento delle condizioni socio-economiche, prima ancora che politiche, in Tunisia, dove la pandemia ha di fatto annientato l’industria del turismo che da sola produce circa il 10% del Pil del Paese. Ma sono anche la conseguenza di ciò che sta avvenendo in Libia, dove il numero di migranti non sembra aumentare da diversi anni ma le persone intrappolate lì continuano a cercare di fuggire, e lo fanno a ritmi sempre superiori rispetto ai minimi del 2019.

In questo quadro, è interessante constatare come, malgrado gli aumenti consistenti, le migrazioni irregolari lungo la rotta del Mediterraneo centrale non sembrano essere semplicemente sparite dall’agenda europea, ma sembrano essere persino svanite dal dibattito pubblico italiano. Eppure quando nel giugno 2018 l’Italia “chiudeva i porti” alle Ong e dichiarava guerra all’immigrazione irregolare i numeri degli sbarchi erano inferiori a quelli odierni (48mila arrivi nei 12 mesi precedenti giugno 2018) ed erano in netto e costante calo dai massimi di 195mila l’anno fatti segnare a giugno 2017.

La dimostrazione, se mai ce ne fosse stato bisogno, che persino l’arrivo di 60mila migranti irregolari l’anno è del tutto sostenibile dal nostro sistema Paese, almeno finché la politica non lo rende un “affare di Stato”. Di sicuro, malgrado sbarchi continui nel corso di quest’estate, il sistema di accoglienza italiano non è sotto pressione, e avrebbe ulteriori ampi spazi di manovra se le risorse dedicate non fossero state tagliate in anni recenti. E gli sbarchi di quest’anno si inseriscono in un quadro disarmante per la sua eloquenza: nel corso del 2020 la popolazione italiana si è ridotta del 6,4%, e per la prima volta da decenni si è ridotta (del 5,1%) persino la popolazione straniera residente nel nostro Paese. Insomma, non certo una “invasione”.

 

Le “Talent Partnership” Ue

A livello europeo, nel quadro di sostanziale stallo rispetto alle proposte vecchie e nuove della Commissione (ultima tra tutte quella del Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo) si segnalano alcune iniziative finalmente positive, che rispondono al tentativo di “sostituire le migrazioni irregolari con quelle regolari” (parole della Commissaria Ue per gli affari interni Ylva Johansson). Un’iniziativa che merita risalto è rappresentata dalle Talent Partnership, lanciate a giugno dalla Commissione europea.

Le Talent Partnership sono un’iniziativa di cooperazione che mira a finanziare periodi di studio e di formazione per potenziali migranti a bassa o media qualifica (proprio quelli potenzialmente più attratti dalla prospettiva di migrare irregolarmente) direttamente nei Paesi d’origine, con la possibilità, una volta ultimato il periodo di formazione, di essere assunti nei Paesi Ue o di rimanere nel proprio Stato, arricchendone il capitale umano. Date le differenze di reddito tra Paesi europei e Paesi d’origine, il costo della formazione operata direttamente in loco sarebbe meno di un decimo rispetto allo stesso tipo di formazione effettuata direttamente negli Stati Ue.

 

Risorse e posti

Si tratta proprio di quel tipo di iniziative “win-win-win” (per il Paese d’origine, quello di destinazione e per il migrante stesso) di cui c’è molto bisogno in questo periodo, in particolare per ripristinare la fiducia e il dialogo tra i Paesi Ue e i Paesi terzi. Dopo anni in cui le principali iniziative europee si sono concentrate sul tentare di convincere i propri partner (attraverso incentivi finanziari o minacce di “sanzioni” politiche) a ridurre le migrazioni irregolari o aumentare i rimpatri, l’offerta di una collaborazione positiva in ambito migratorio è un importante passo in avanti.

Adesso si tratta di riconoscere che, oltre a iniziative pilota di questo tipo, la Commissione europea può poco se i governi nazionali dei Paesi Ue non mettono a disposizione risorse e posti per la migrazione regolare. Magari, giovedì, quando i leader europei si incontreranno potrebbero cominciare a discutere seriamente anche di questo.

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