9 Nov 2021

Bielorussia – Polonia: sulla pelle dei migranti

La crisi

Minsk ammassa migranti al confine con la Polonia per fare pressione sull’Europa. Monito della Nato che avverte: “Rischio escalation”. Ma a finire sotto accusa è anche il governo di Varsavia.

 

Il confine tra Polonia e Bielorussia torna a surriscaldarsi e il governo di Varsavia teme “un’escalation armata” se il governo di Minsk continuerà a spingere migliaia di migranti attraverso il confine. La vicenda si trascina ormai da mesi: la polizia bielorussa scorta carovane di migranti, prevalentemente provenienti da paesi del Medio Oriente, verso la frontiera polacca, lettone, estone per fare pressione sui paesi frontalieri dell’Unione Europea. Mai come questa volta, però, si era arrivati a tanto: solo nelle ultime 48 ore, le guardie di frontiera bielorusse avrebbero spinto in territorio polacco lungo la strada che collega la cittadina bielorussa di Brozgi con quella polacca di Kuznica oltre 4mila migranti, fra cui donne e bambini. ll premier polacco, Mateusz Morawiecki, per tutta risposta ha schierato 12mila uomini dell’esercito e si è detto determinato a “difendere i confini polacchi ed europei”. I filmati diramati dal ministero dell’Interno di Varsavia però mostrano le guardie di frontiera utilizzare gas lacrimogeni contro la carovana, mentre dal lato bielorusso qualcuno spara in aria per evitare che le persone facciano marcia indietro. Una scena drammatica in cui i migranti sono ormai bloccati in una no man’s land senza servizi, né cibo, e al freddo, tra due eserciti che gli puntano le armi addosso. La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha definito “inaccettabile” la strumentalizzazione dei migranti messa in atto da Minsk, definendo quello in corso “un tentativo disperato del regime di Lukashenko di destabilizzare l’Unione e i suoi valori”. E ha chiesto ai paesi europei di estendere le sanzioni nei confronti della Bielorussia. La questione sarà affrontata nel corso del Consiglio Affari Esteri dell’Ue la prossima settimana. 

 

 

Una crisi programmata?

Sono in pochi a ritenere che ulteriori sanzioni portino a una de-escalation della crisi in atto. È proprio a causa delle sanzioni – per la repressione violenta delle proteste seguite alle elezioni presidenziali del 9 agosto 2020, e non riconosciute dalla comunità internazionale, e per il dirottamento del volo Ryanair Atene-Vilnius e il susseguente arresto del dissidente Roman Protasevic – che le autorità di Minsk hanno intenzionalmente innescato la crisi. I provvedimenti europei hanno infatti colpito duramente l’economia nazionale, in particolare dopo che alle compagnie aeree dei paesi membri è stato impedito di sorvolare lo spazio aereo bielorusso. La strategia di Minsk, sostengono a Varsavia, è chiara: negli ultimi mesi i voli provenienti da Turchia, Afghanistan, Iraq ed Emirati Arabi Uniti diretti verso la Bielorussia sono aumentati. Le pubblicità delle compagnie aeree inducono a pensare che da Minsk l’accesso in Europa sia a portata di mano. Invece, una volta atterrati, i migranti vengono condotti verso il confine, a bordo di furgoni o a piedi. E qui abbandonati a sé stessi. Per questo – riferisce Politico – Bruxelles sta prendendo in considerazione la possibilità di sanzionare anche i vettori di paesi terzi che trasportano migranti e, di fatto, “partecipano ad un sistema di tratta degli esseri umani”.

 

I furbetti dei respingimenti?

La questione non si esaurisce però con le responsabilità bielorusse. In questi mesi, Varsavia ha respinto l’aiuto di Bruxelles, che aveva proposto di sostenere il paese tramite le agenzie Frontex ed Europol. La Polonia, al contrario, ha reso quel lembo di terra inaccessibile, ha indetto lo stato di emergenza e bloccato l’accesso a giornalisti e ong. Ed è accusata da più parti di respingimenti sommari anche ai danni di chi riesce ad attraversare il confine e che dunque – in base al diritto internazionale e al regolamento di Dublino – può chiedere asilo nel paese di ‘prima accoglienza’. In altre parole, in assenza di occhi ‘indiscreti’, il governo di Varsavia respinge anche chi non può. Per questo, malgrado le pressioni di Bruxelles – con cui peraltro i rapporti sono molto tesi sulle violazioni dello stato di diritto – il governo polacco non inoltra la richiesta necessaria a Frontex ed Europol per intervenire. Al contrario, Varsavia ha eretto lungo il confine una recinzione di filo spinato e, con la Bielorussia che si rifiuta di farli rientrare, i migranti si ritrovano bloccati nelle foreste dove la notte le temperature calano sotto lo zero. Diverse persone sono morte di ipotermia. Molti a Bruxelles e in altre capitali europee sospettano che il governo Morawiecki stia sfruttando la vicenda per fare propaganda interna. Da un lato, l’esecutivo polacco rifiuta l’aiuto comunitario per dimostrare agli occhi della propria opinione pubblica di essere capace di difendere il territorio nazionale, mentre dall’altro può proseguire ad effettuare respingimenti alla frontiera in violazione del diritto internazionale.

 

Tra solidarietà e ipocrisia?

Situazione esplosiva, tanto più che si verifica lungo il confine di un paese membro della Nato. E non è un caso che metta in allarme l’Alleanza Atlantica. “L’uso dei migranti da parte della Bielorussia come arma ibrida è inaccettabile. La Nato è solidale con la Polonia e tutti gli alleati nella regione”, ha dichiarato il segretario generale Jens Stoltenberg, dopo aver parlato col presidente polacco Andrzej Duda. Di fatto, l’escalation degli ultimi giorni proietta in un nuovo stadio lo scontro tra paesi europei del blocco e un governo, quello di Lukashenko, molto vicino alla Russia di Vladimir Putin. E rischia di spaccare l’Europa proprio su uno dei dossier più divisivi e controversi: quello sulle politiche migratorie. Di fronte al sostegno dimostrato a Varsavia da Berlino, per “la difesa” dei confini polacchi ed europei, molti paesi mediterranei hanno risposto col silenzio. Spagna, Italia e Grecia, che si confrontano da anni con gli sbarchi dal Mediterraneo, hanno spesso lamentato la mancanza di solidarietà europea sulla redistribuzione dei migranti e sulla creazione di quote di accoglienza. E mentre il nuovo Patto sulle migrazioni stenta a vedere la luce, che la crisi migratoria ai confini orientali metta in risalto ipocrisie e doppi standard di politiche europee in cui l’unica costante sembra essere l’indifferenza per le vite dei migranti è un rischio che Bruxelles non dovrebbe sottovalutare. 

 

 

Il commento

Di Eleonora Tafuro Ambrosetti, Osservatorio Russia, Caucaso e Asia Centrale, ISPI

Decisamente Lukashenko, forte dell’appoggio russo, sa dove colpire per far male all’UE e specialmente alla Polonia, paese da cui entrano gran parte dei migranti e dove il 53% degli intervistati in un sondaggio del 2018 si dichiarava contrario all’ammissione di rifugiati. Ma Lukashenko non inventa nulla di nuovo: sebbene questa situazione al confine orientale dell’UE sia relativamente inedita, abbiamo osservato per anni situazioni simili al confine turco-greco.

La realtà è che guerre e cambiamenti climatici porteranno a sempre maggiori ondate migratorie verso l’Europa in futuro e la questione sarà inevitabilmente manipolata dai leader populisti e autoritari. Sta all’UE marcare la propria differenza da un regime non democratico e trattare migranti e rifugiati non unicamente come pedine in una ‘guerra ibrida’, ma come persone che cercano il loro diritto alla sicurezza.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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