7 Set 2020

Hong Kong: Giro di vite

Daily focus

Proteste e arresti a Hong Kong dove i manifestanti sono tornati in piazza per denunciare il rinvio del voto. Ma è solo l’ultimo episodio della stretta di Pechino nei confronti del porto profumato.

 

Proteste e arresti a Hong Kong, dove centinaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro la decisione del governo di posticipare le elezioni locali, che avrebbero dovuto tenersi domenica, a causa della pandemia. Gli agenti in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione a Kowloon, nella zona nord di Hong Kong, cuore pulsante dello shopping e della vita notturna, poco dopo le nove di sera. Centinaia di manifestanti si erano riuniti nel tardo pomeriggio per manifestare contro il rinvio delle elezioni per l’Assemblea legislativa, in cui il partito pro-democratico era sicuro di raccogliere numerosi consensi. Secondo il South China Morning Post gli arresti, effettuati per lo più per assembramento illegale, sarebbero stati 289. Ma prima, tra polizia e manifestanti, si sono verificati scontri e il lancio di lacrimogeni e spray urticanti ha causato diverse intossicazioni.

 

Perché il voto è stato rinviato?

Domenica doveva essere il giorno delle elezioni dell’Assemblea Legislativa, uno dei pochi organi politici parzialmente eletti con voto popolare e uno dei pochi casi in cui i cittadini di Hong Kong sono chiamati a votare. Ma il 31 luglio scorso, con una decisione “dura ma giusta” la Chief executive Carrie Lam ha annunciato il rinvio del voto di un anno, adducendo come causa un aumento dei contagi da coronavirus. I critici sostengono che in realtà la decisione dipenda dal fatto che l’opposizione avrebbe ottenuto diversi seggi se le votazioni si fossero svolte come programmato. L’appuntamento ai seggi sarebbe stato il primo nella ex colonia britannica da quando Pechino ha imposto la controversa legge sulla sicurezza alla fine di giugno. Proprio il malcontento diffuso, derivato dalle restrizioni imposte dalla madrepatria secondo gli osservatori, avrebbe garantito ai movimenti pro-democratici un buon risultato alle elezioni.

 

 

 

Fine di ‘un paese due sistemi’?

La legge sulla sicurezza nazionale rappresenta solo l’ultima mossa in una partita in cui Pechino cerca di prendere sempre di più il controllo sulla regione autonoma. Finalizzata a reprimere ogni atto considerato come minaccia alla sicurezza nazionale, la legge prevede il carcere a vita per la sedizione e consente all’intelligence cinese di operare indisturbata sul territorio. È considerata dagli oppositori la ‘pietra tombale’ sul principio ‘un paese due sistemi’ che regola i rapporti di Pechino con Hong Kong e Macao e che ha finora garantito libertà civili e di espressione più ampie agli abitanti della ex colonia britannica rispetto al resto della Cina. L’ultima ondata di proteste che ha coinvolto Hong Kong (la prima in ordine di tempo risale alle proteste degli ombrelli del 2014) è iniziata nel giugno 2019 contro una proposta di legge sull’estradizione che avrebbe permesso alle autorità di deportare gli hongkonghesi e processarli nella Cina continentale. Con il passare dei mesi, il braccio di ferro si è evoluto in richieste più ampie per una maggiore democrazia, la fine delle brutalità della polizia e delle ingerenze politiche di Pechino.

 

 

Toni nuovi dall’Europa?

Se è soprattutto sul fronte delle relazioni, già tese, con gli Stati Uniti, che la stretta su Hong Kong rischia di produrre effetti, il timore di Pechino è che anche con l’Europa i rapporti possano deteriorarsi. Per questo, due settimane fa, il ministro degli Esteri cinese ha effettuato un viaggio a tappe in cinque paesi europei tra cui l’Italia. Durante la conferenza stampa congiunta con il suo omologo tedesco, Wang Yi si è scagliato contro il presidente del Senato ceco, Milos Vystrcil, che aveva portato una delegazione in visita a Taiwan che la Cina considera parte del suo territorio. Vystrcil avrebbe “pagato un prezzo pesante”, ha detto Wang, per il suo “tradimento”.

La replica di Heiko Maas, non è di quelle che si sentono spesso in ambito diplomatico. In piedi accanto a Wang, Maas ha ricordato al suo visitatore che “noi europei agiamo in stretta collaborazione” e “chiediamo rispetto, e che le minacce qui non sono tollerate”. Il ministro degli Esteri di Berlino ha poi aggiunto che l’Ue non diventerà un “giocattolo” nella rivalità sino-americana. Una posizione prontamente sostenuta da altri colleghi europei. Per anni – sottolinea Bloomberg – molti paesi europei, hanno fatto del loro meglio per ragioni commerciali per guardare dall’altra parte mentre la Cina violava i diritti umani, approfittava delle regole del mercato libero e ‘bullizzava’ alcuni vicini asiatici. I tempi sono cambiati? Nel mondo ritualizzato del gergo diplomatico, le parole hanno un peso e il nuovo ‘tono’ tedesco potrebbe indicare di sì.

 

Il commento

Di Giulia Sciorati, Associate Research Fellow, Asia Centre, China Programme

 

“Il nuovo round di proteste che ha scosso Hong Kong è ancora legato a doppio filo alla legge sulla sicurezza nazionale. Ma, questa volta, il sostegno ai manifestanti arriva soprattutto da voci perlopiù inaspettate della comunità internazionale. Non solo le posizioni assertive prese dai leader europei, ma anche lo stesso circuito delle Nazioni Unite, da sempre caro a Pechino, che la scorsa settimana ha riferito di dubbi circa la compatibilità della legge con le norme di diritto internazionale attraverso una lettera pubblica, firmata da sette esperti ONU, inviata alle autorità di Pechino. Segno che la comunità internazionale non smette di mettere al centro Hong Kong nell’approccio alla Cina post-coronavirus.”

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)

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