30 Ott 2020

Polonia: rivolta delle donne per l’aborto, governo al bivio

Proteste a Varsavia

Oggi a Varsavia, a partire dalle cinque del pomeriggio, ci sarà una grande manifestazione del movimento di protesta formatosi all’indomani della sentenza, emessa il 23 ottobre dal Tribunale costituzionale polacco, che boccia la legge sull’aborto del 1993 nella parte in cui prevede l’interruzione di gravidanza, entro le 12 settimane, per gravi e irreversibili malformazioni del feto o sindromi che ne minacciano la vita. L’aborto resta possibile solo in presenza di pericolo di vita per la donna incinta o gravidanza dovuta a uno stupro.

Le proteste, molto partecipate, sono state lanciate e risultano coordinate dalle donne polacche. Strajk Kobiet, lo sciopero delle donne, è il nome del movimento. To Jest Wojna, questa è una guerra, il motto. Si scende in piazza da giorni malgrado la pandemia, che anche in Polonia registra un’impennata spaventosa: tanti positivi, molti ricoveri, sistema sanitario al collasso.

Gli avversari da combattere sono Diritto e Giustizia (PiS), il partito di destra che guida il paese dal 2015, e la chiesa cattolica, che ha promosso la campagna pro-life che ha portato alla sentenza scontata del Tribunale costituzionale, in larga parte composto da giudici conservatori, molti dei quali nominati da questo governo con forzature procedurali, costate un cartellino giallo, se non arancione, da parte della Commissione europea. Bruxelles, che ha lanciato la cosiddetta “opzione nucleare” (un procedimento che potrebbe portare a sanzioni), ritiene che il Tribunale costituzionale, come altri organi della giustizia “catturati” nel corso di questi cinque anni di potere PiS, abbia perso l’indipendenza divenendo un’appendice dell’esecutivo. Insomma, è saltata la separazione tra poteri. E anche quella tra stato e chiesa, attacca il movimento. C’è osmosi tra PiS e le gerarchie cattoliche. Dalla chiesa, il partito di governo riceve consenso, soprattutto nelle zone rurali del paese; alla chiesa deve concedere qualcosa in cambio. Ecco lo scenario all’interno del quale è maturata la svolta pro-life polacca.

Questa storia ha inizio nella primavera 2016. Sono passati pochi mesi dalla vittoria elettorale del PiS alle legislative dell’ottobre 2015, e la Conferenza episcopale polacca diffonde un comunicato, letto in tutte le chiese, che invita il parlamento a modificare la legge sull’aborto. Promulgata nel 1993, durante la presidenza di Lech Wałęsa, è già molto restrittiva, non prevedendo l’interruzione di gravidanza per scelta propria della donna, entro le 12 settimane, come accade in molti paesi Ue. Ma ai vescovi polacchi non basta: vogliono limiti maggiori.

Qualche mese dopo la questione plana in Parlamento, con un primo tentativo di riscrivere le regole. Le donne scendono in piazza, e la protesta ha vasto seguito. Jarosław Kaczyński, leader storico del PiS e leader de facto del paese, benché sia volo vice primo ministro, per giunta da poche settimane (prima era un semplice deputato), è costretto a fare retromarcia. Un altro tentativo di modificare la legge si registra nel 2018. Altra levata di scudi delle donne, altra ritirata tattica di Kaczyński.

E si arriva infine alla scelta: delegare la questione al Tribunale costituzionale, saltando il passaggio parlamentare. Mossa controversa, anche per i tempi. La sentenza è arrivata nel pieno della seconda ondata del coronavirus, mentre tutta la Polonia è zona rossa e vigono vincoli netti a circolazione, orari di chiusura di negozi e ristoranti, e altro ancora. Forse un piano studiato per evitare proteste, quello del PiS? Sicuramente, un piano naufragato.

Sin dall’inizio la rivolta è stata policentrica. Si è protestato a Varsavia e in tutte le altre grandi città del paese, ma anche in tanti centri medi e piccoli. Oggi ci si ritroverà nella capitale, per alzare il livello e contarsi.

Giorno dopo giorno il fronte si è allargato. A fianco delle donne si sono schierati gli studenti e le organizzazioni per i diritti LGBT+, oggetto di una durissima campagna delegittimante da parte della tv di stato, di alcuni politici del PiS e della chiesa. Pure diversi agricoltori, tassisti e conducenti di mezzi pubblici hanno sostenuto la ribellione. È una protesta orizzontale, nel senso che ogni ramo locale del movimento organizza a modo suo: blocchi stradali, sit-in davanti alle chiese, proteste in piazza, marce davanti ai palazzi del potere. Non c’è un vertice riconosciuto, anche se la figura di Marta Lempart, attivista per i diritti civili e sociali, lesbica, sta emergendo per il suo carisma.

È una protesta orizzontale e anche molto radicale, rabbiosa, estrema nel linguaggio e nei gesti. Una delle parole che più ricorrono, in piazza come nei social, è wypierdalać, traducibile con “vaffanculo”. Indirizzato al PiS, a Julia Przyłębska (la presidente del Tribunale costituzionale), e ad altri. E poi c’è la questione delle chiese. Nessuna remora nel convocare sit-in davanti ai loro portoni, nel dissacrare statue di Wojtyła e nello scrivere “aborto senza frontiere” sui muri delle cattedrali. Il tono è sopra le righe, ma ricorda con chiarezza una delle possibili conseguenze della recente sentenza: molte donne polacche potrebbero andare all’estero per abortire, ingrossando il già esistente fenomeno della “delocalizzazione” degli aborti. Medici e burocrati polacchi esercitano infatti resistenza all’interruzione di gravidanza, anche quando possibile. E così tante donne scelgono di andare in cliniche oltre frontiera, in Germania come in Slovacchia.

Dopo otto giorni di protesta il quadro è molto fluido, pieno di incognite per tutti. Il movimento ha acquisito massa critica e inizia a pensare a un manifesto per una nuova Polonia. Rivendica maggiore assistenza sanitaria e coperture sociali per le fasce più deboli, una legge sull’aborto simile a quella in vigore nel resto d’Europa e un assetto finalmente laico dello stato. Chiede inoltre le dimissioni del governo.

La radicalità della protesta ha portato in piazza una Polonia nuova e giovane, laica, anche sfacciata. Un fattore di novità e rottura, in un quadro di lotta politica ormai abbastanza consumato, segnato dal duopolio tra PiS e Piattaforma civica (Po). Partito centrista, per l’Europa e il buongoverno, liberale in economia, moderatamente aperto sui diritti civili e più attento, rispetto al passato, a quelli sociali. Molti dei suoi esponenti sono cattolici. Una Cdu polacca, volendo forzare un paragone. Non sembra pronta a far sua la carica radicale della protesta. Di contro, il movimento rischia di alienarsi le simpatie dei moderati, che ritengono fuori luogo l’assalto alle chiese, oltre che il linguaggio rabbioso e talvolta volgare della protesta. Senza contare la forte contrarietà alla pubblicazione del domicilio dei giudici del Tribunale costituzionale, apparsi sui canali social del movimento: una scelta dettata dalla rabbia, sì, ma davvero molto grave e palesemente anticostituzionale.

La soluzione potrebbe stare nel mezzo, con un compromesso tra tensione rivoluzionaria e pragmatismo, movimento e opposizione liberale, ma c’è il rischio che il prodotto finale sia un ibrido innaturale. Dai sondaggi di questi giorni si riscontra l’ascesa del partito di Szymon Hołownia, un giornalista e conduttore cattolico e anti-establishment. Vorrebbe mettere il cappello sulla protesta, ma il movimento non ci sta. Eppure da solo non riuscirà – a occhio viene da dire questo – a dare la spallata.

Anche il PiS è in un imbuto. Ha compreso di averla fatta grossa, e non sa come uscirne. Da un lato, sfodera l’atteggiamento aggressivo. Kaczyński ha invitato i sostenitori del governo a proteggere le chiese e accusato le opposizioni di trascinare gente in piazza nonostante i rischi sanitari elevatissimi. “State esponendo alla morte un sacco di persone, siete criminali”, ha detto Kaczyński l’altro giorno in Parlamento. Intanto il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, falco del governo, penserebbe di incriminare gli organizzatori della protesta per il mancato rispetto dei limiti agli assembramenti imposti per abbassare la curva dei contagi. La procura nazionale, controllata dal ministero, sarebbe al lavoro. Un’offensiva legale potrebbe spaventare i dimostranti, ma anche farli arrabbiare ancora di più. Un imbuto, appunto.

Dall’altro lato, il potere prova a smorzare il conflitto sociale. Il presidente della Repubblica, Andrzej Duda, ha detto di capire la rabbia del movimento e che, in alcuni casi, comprende la scelta di abortire. In precedenza, però, aveva definito giusta la sentenza del Tribunale costituzionale e definito “eugenetica” l’aborto in caso di sindromi evidenziate dagli esami prenatali. Corre voce di una possibile riscrittura della legge in Parlamento o di un referendum sulla sentenza del Tribunale (se ci fosse arriverebbe una chiara bocciatura). Ma se il PiS scegliesse questa strada potrebbe irritare la chiesa, una delle gambe del suo potere. Intanto, i sondaggi certificano il crollo del partito: galleggia intorno al 25%. Prima stava oltre il 35%.

Infine la chiesa. Incassa il risultato sull’aborto, ma anche un durissimo colpo alla sua credibilità. La chiesa polacca non è un’entità monolitica, ha varie anime, ma oggi prevale nettamente quella conservatrice, critica verso il papato di Francesco. La scelta di intervenire nella vita politica, intessendo una relazione speciale con il PiS, oltre ai tanti casi di abusi sessuali nei confronti di minori coperti dalle gerarchie, stanno accelerando il distacco di molti fedeli, che va ad aggiungersi a un processo di secolarizzazione già in corso. Meno gente in chiesa, meno seminaristi, meno studenti che fanno l’ora di religione. In questi giorni una delle parole più digitate nei motori di ricerca è apostazja, apostasia. Non c’è molto altro da aggiungere.

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