26 Lug 2021

Tunisia: democrazia sospesa

Nord Africa

Il presidente tunisino Kais Saied congela il parlamento e rimuove premier e ministri della Difesa e della Giustizia. Il partito Ennahdha insorge: “è un colpo di stato”.

 

Dalla gioia incontenibile per una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020, alla peggior crisi istituzionale della storia recente del paese: la Tunisia è passata in poche ore dalla fibrillazione per la vittoria, memorabile quanto inaspettata, di Ahmed Ayoub Hafnaoui campione nei 400 stile libero a soli 18 anni, e l’annuncio del presidente Kais Saied: sospensione del parlamento per 30 giorni, revoca dell’immunità ai deputati e licenziamento del premier Hichem Mechichi. Una decisione, ha spiegato il presidente, “in linea con l’ordinamento e l’articolo 80 della Costituzione”, presa dopo una giornata di proteste diffuse in tutto il paese, contro i fallimenti del governo, il sistema politico e la malagestione della pandemia. Ieri, nell’anniversario della Festa della Repubblica, migliaia di manifestanti si erano radunati davanti al parlamento a Tunisi, gridando slogan contro il partito islamico Ennahdha e il premier Mechichi, mentre marce di protesta si sono svolte nelle città di Gafsa, Kairouan, Monastir, Sousse e Tozeur. In un discorso alla nazione in cui ha spiegato i motivi del gesto, Saied ha parlato di “situazione insostenibile” e annunciato che assumerà il potere esecutivo con l’aiuto di un governo guidato da un nuovo primo ministro che lui stesso provvederà a nominare. A dieci anni dalla Rivoluzione dei gelsomini, che nel 2011 rovesciò Zine El Abidine Ben Ali, la Tunisia – pur confermandosi l’unico ‘cantiere democratico’ della regione – è tuttora preda di un’instabilità politica che ha ostacolato gli sforzi per rilanciare economia e servizi e realizzare le riforme richieste dal Fondo monetario internazionale.

 

Una catastrofe sanitaria?

Da mesi l’opinione pubblica tunisina è esasperata dai continui battibecchi tra i partiti in Parlamento e dallo stallo tra il leader del Parlamento Rached Ghannouchi, anche leader del partito islamista Ennahdha, e il presidente Saied. Un braccio di ferro che ha paralizzato la Tunisia lasciandola, letteralmente, a corto di ossigeno. Con oltre 18.600 morti per Covid su 12 milioni di abitanti, il paese detiene uno dei peggiori tassi di mortalità al mondo. Questo anche perché ha ricevuto solo un sesto delle dosi promesse nell’ambito del programma Covax per i paesi svantaggiati. Il portavoce del ministero della Salute, Nissaf Ben Alaya, ha dichiarato che il sistema sanitario “è crollato”, sotto il peso dell’aumento delle infezioni, mentre secondo l’Oms la Tunisia detiene il record nel mondo arabo e in Africa per numero di morti e tassi di infezione registrati dallo scoppio della pandemia. Il coprifuoco in tutto il paese è in vigore dalle 20 alle 5 di mattina così come le misure per contrastare la diffusione del contagio e il divieto degli assembramenti, ma di fronte a una situazione che ormai appare fuori controllo, persino la vicina Libia ha chiuso i suoi confini e sospeso i voli per una settimana. Una situazione che ha acuito la drammatica crisi economica in un paese già sull’orlo del default.

 

 

Scontro tra le due anime del paese?

L’impasse politica in Tunisia si è acuita dopo che le ultime elezioni, nell’ottobre 2019, hanno prodotto un parlamento in cui nessun partito detiene più di un quarto dei seggi. Terzo premier in poco più di un anno, Mechichi si è adoperato fin da subito per trasformare quello che di fatto è un governo del presidente in un governo più spiccatamente politico. È in questo quadro che va letto l’annuncio di un largo rimpasto di governo annunciato lo scorso 16 gennaio. “L’operazione – come spiegato in questo approfondimento ISPI – aveva l’obiettivo implicito di ridurre l’influenza del presidente Saied sull’azione di governo e inserire figure che, sebbene formalmente indipendenti, fossero più vicine ai partiti della maggioranza”. Nonostante il rimpasto sia stato votato dalla maggioranza del parlamento, Saied ha quindi deciso di opporsi, dichiarando di non voler consentire a quei ministri su cui vi sarebbero sospetti di corruzione o conflitto d’interesse di partecipare alla cerimonia di giuramento. Gli esperti sono divisi sulla costituzionalità della scelta del presidente tunisino. A tal proposito, è utile ricordare come, dopo la riforma costituzionale del 2014, la Tunisia sia passata da un sistema puramente presidenziale (in cui il capo dello stato godeva di fatto di pieni poteri pressoché illimitati) a un sistema simile al semi-presidenzialismo francese. 

 

Colpo di stato istituzionale?

Se la decisione di Saied, e lo stesso presidente sceso tra la folla in Avenue Bourguiba, sono stati accolti da festeggiamenti e concerti di clacson per le strade, la situazione non può non alimentare timori per la tenuta democratica del paese. Il presidente si è appellato all’articolo 80 della Costituzione, sostenendo di aver agito in vista di un “pericolo imminente” per la nazione. Ma il quadro giuridico e politico al momento non è chiaro. Se alcuni partiti politici e organizzazioni della società civile che si oppongono alla mossa si sono riuniti in queste ore per decidere il da farsi, il presidente incassa il sostegno dell’UGTT, il potente sindacato dei lavoratori, che però chiede “garanzie costituzionali” per una soluzione pacifica della crisi. Intanto, è giallo sulla sorte del primo ministro Mechichi che, dopo l’annuncio del capo dello Stato, non è ancora comparso in pubblico. Dal canto suo il leader di Ennahdha Rached Ghannouchi ha accusato il presidente di aver organizzato “un colpo di stato contro la rivoluzione e la Costituzione” e guidato i deputati in un sit-in di protesta davanti al Parlamento, dove i militari hanno impedito loro di entrare.

 

Il commento

Di Armando Sanguini, ISPI Senior Advisor

“Di fronte ad una crisi sociale, economica e sanitaria senza precedenti per il paese, e una classe dirigente rivelatasi incapace di gestire il disastro imminente, il presidente Saied ha preso una decisione tanto rischiosa quanto coraggiosa. È importante che questa decisione ora inneschi una catena di solidarietà, interna e internazionale, per rimettere in piedi il paese. Anche il governo italiano è chiamato a fare la sua parte: non possiamo in alcun modo permetterci di veder crollare, peraltro di fronte alle nostre coste, l’unica democrazia araba fiorita dopo le rivolte del 2011”. 

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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