28 Feb 2020

Weekly Focus USA2020, la corsa alla Casa Bianca

Weekly Focus USA 2020

A soli quattro giorni dal Super Tuesday, il principale appuntamento delle primarie dem, e in vista delle presidenziali americane del 3 novembre, ISPI lancia un nuovo prodotto: Weekly Focus: USA2020. Ogni venerdì accompagneremo i lettori attraverso le vicende, i personaggi e i temi principali della campagna elettorale americana, con analisi, sondaggi e approfondimenti. Nella sezione ‘In our view‘, ospiteremo le opinioni di autorevoli commentatori e advisor di ISPI. Tra loro Monica Maggioni (amministratore delegato RaiCom), Giuseppe De Bellis (direttore Sky Tg24), Oliviero Bergamini (corrispondente Rai dagli Stati Uniti), Fabrizio Goria (giornalista La Stampa), Giuseppe Sarcina (corrispondente Corriere della Sera dagli Stati Uniti), Mario del Pero (docente Sciences Po), Gianluca Pastori (docente Università Cattolica) e Matthew Wilson (docente Southern Methodist University Texas). Con loro cercheremo di raccontarvi, ogni settimana, la prossima corsa alla Casa Bianca.

 

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WHAT’S UP?

Con il Super Tuesday del prossimo 3 marzo, si entra nel pieno della corsa elettorale per le primarie del partito democratico. Al voto andranno 14 stati più gli americani all’estero e i residenti del territorio di American Samoa. È l’evento più atteso della corsa. Ma come funziona esattamente? Intanto val la pena ricordare che le primarie non sono un’elezione diretta. Si vota per nominare i delegati che alla convention di luglio eleggeranno il candidato democratico per la Casa Bianca.

Finora, con le primarie in New Hampshire e i caucuses in Iowa e Nevada sono stati nominati solo il 2,5% dei 3.979 delegati totali. Domani, sabato 29 febbraio, si volta nel South Carolina ma gli occhi sono già tutti puntati sulla giornata di martedì (la notte tra martedì e mercoledì in Italia), il giorno del Super Tuesday. Si tratterà di un vero e proprio spartiacque nella corsa per le primarie: in ballo ci sono infatti circa il 34% dei delegati (1.357). A conteggio finito si capirà chi – tra gli otto candidati in corsa – può farcela e chi invece è il caso che si ritiri e soprattutto chi ha più possibilità di sfidare Donald Trump alle elezioni di novembre. 

Un altro motivo per cui il Super Martedì è considerato così importante è che dal 1988 a oggi nessun candidato ha vinto la nomina del proprio partito senza aver prima vinto il Super Tuesday. Unica eccezione, il primissimo Super Tuesday, quando nel 1984 il candidato dem Gary Hart non fu poi nominato nella corsa contro Reagan. Si trattava però di un anno particolare quando ancora erano pochi gli stati che partecipavano.

Per capire cosa potrebbe accadere martedì, però, occorre fare un passo indietro: la corsa twentytwenty è iniziata il 3 febbraio con i primi caucus in Iowa e si concluderà tra 8 mesi circa, il 3 novembre, il giorno delle elezioni. Cominciata con 28 aspiranti candidati, una delle campagne più affollate di sempre, finora si sono ritirati 20 concorrenti. Ne rimangono ancora 8. Negli anni precedenti, a questo punto della competizione ce ne erano molti di meno e il Super Martedì potrebbe segnare quindi la fine di molte candidature.

Le prime giornate elettorali – anche se assegnano pochi delegati – sono importanti perché possono dare la spinta iniziale ai candidati in corsa. È stato così per Bernie Sanders, “socialista democratico”, senatore del Vermont noto per le sue posizioni anti-establishment e primo in classifica sia per numero di delegati che nei sondaggi. Nonostante i successi delle prime ore, sia Pete Buttigieg, giovane ex sindaco di South Bend, Indiana, che Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota, non sembrano riuscire a cavalcare l’onda mediatica, e i sondaggi li vedono oggi al quinto e sesto posto. In calo anche Elisabeth Warren, senatrice del Massachusetts, arrivata a sfiorare le vette dei sondaggi a ottobre e che oggi è invece quarta in classifica. Ma la performance inaspettatamente più deludente di tutte è stata quella di Joe Biden, ex vicepresidente di Barack Obama e a lungo senatore del Delaware, la cui campagna ha iniziato a sgretolarsi fin dall’inizio delle primarie. È qui che entra in gioco il voto di domani in South Carolina. Qui, dove il 27% della popolazione è afroamericana, Joe Biden, favorito tra le minoranze, dovrà riuscire a far decollare la sua campagna prima del fatidico Super Martedì.

 

IL CANDIDATO

Un altro motivo di grande attesa per il Super Tuesday è l’entrata in gioco di un candidato speciale: si tratta del miliardario ed ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che sta mettendo in pratica una strategia senza precedenti: ha deciso di non presentarsi alle quattro primarie precedenti il 3 marzo (Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina). Andando contro la retorica consolidata che afferma l’importanza di ottenere la giusta spinta dalle prime giornate elettorali per non rimanere indietro, Bloomberg ha invece deciso di rischiare. E per adesso, le criticità e incongruenze dei caucus lo hanno aiutato. Ma i precedenti danno da pensare: la sua entrata tardiva nella corsa alla nomina potrebbe non giocare a suo favore.

Bloomberg – secondo Forbes il nono uomo più ricco del pianeta – ha cercato fin da subito di colmare il ritardo investendo somme enormi del proprio patrimonio personale in pubblicità elettorale, spendendo più di 400 milioni di dollari e staccando di molto il secondo in classifica, Tom Steyer, altro miliardario in gioco, con circa 250 milioni. Oggi i sondaggi lo vedono al terzo posto tra i candidati alle primarie, dopo una rapida accelerazione a febbraio che però sembra aver sofferto il difficile debutto ai dibattiti televisivi. Per ora sembra quindi che la fortuna spesa da Bloomberg in pubblicità elettorale riesca a compensare l’attenzione mediatica sui candidati che hanno vinto negli “early voting states”. Ma resta da vedere quale sarà il “tasso di conversione” tra dollari spesi e voti guadagnati alle primarie. Anche per questo, bisognerà attendere il Super Martedì.

 

LATEST POLLS

È ormai da metà febbraio che Sanders sta scalando la vetta dei sondaggi, come mostra la media di RealClearPolitics che oggi lo vede quasi al 30%. Quasi il doppio delle preferenze di Biden, al secondo posto, che però è subito seguito da Bloomberg, Warren e Buttigieg (tutti e tre a doppia cifra). Ma guardando in prospettiva verso novembre, come sono messi i candidati dem nella sfida finale? La media dei pronostici di RealClearPolitics mostra che Trump uscirebbe sconfitto (anche se di poco) contro i principali democratici, indipendentemente dal candidato vincente alle primarie. Uno scenario che non promette bene quindi per l’attuale inquilino della Casa Bianca, il quale però, superato l’ostacolo dell’impeachment, vede il suo indice di gradimento in lenta ma costante crescita.

 

DOVE SI VOTA?

Tra gli stati che andranno a votare nel prossimo Super Martedì, una menzione speciale merita la California, lo stato più popoloso degli Stati Uniti e con più delegati da assegnare (ben 415, staccando di quasi 150 delegati lo stato di New York in seconda posizione).

 

 

 

Se dal ’68 al ’88 ha votato repubblicano, dalle elezioni presidenziali del 1992 il ‘Golden State’ sulla cartina si è sempre dipinto di blu, il colore del partito dem. Un cambiamento in cui il fattore demografico ha giocato un ruolo chiave: in quegli anni i repubblicani introdussero la Proposta 187, che mirava a ridurre l’accesso dei migranti irregolari a molti servizi. In un’epoca in cui le minoranze erano in forte crescita, il voto contribuì ad alienare al Grand Old Party una larga fetta dell’elettorato. Ancora oggi i sondaggi mostrano che gran parte dei residenti non-bianchi della California – oltre il 65% della popolazione, la maggioranza dei quali ispanici – vota dem.

Ma allora, chi tra i candidati in corsa per il partito dell’asinello riuscirà a convincere gli elettori californiani? Pur se sconfitto da Hillary Clinton alle primarie del 2016, Bernie Sanders al momento risulta al primo posto nella media dei sondaggi di RealClearPolitics con il 28% delle preferenze. La distanza che lo separa dagli altri candidati è significativa: i successivi in classifica sono Warren, Biden, Buttigieg e Bloomberg, ma tutti e quattro si assestano circa al 13%. Un dato significativo, soprattutto se si considera come funzionano le votazioni: un sistema proporzionale, che prevede che solo chi supera la soglia di sbarramento del 15% ottenga un numero di delegati proporzionale ai voti ottenuti. Se martedì l’opinione dell’elettorato dovesse rimanere così frammentata, Sanders avrebbe serie possibilità di vincerebbe tutti 415 delegati. Ma anche se non fosse il solo a superare la soglia, con solo un quarto delle preferenze, Sanders potrebbe comunque ottenere più della metà dei delegati in gioco.

 

IN NUMERI

Guardando in prospettiva verso luglio, quando si terrà la convention nazionale dem, FiveThirtyEight, una delle fonti più autorevoli di previsioni elettorali e sondaggistica, ipotizza che Sanders abbia il 32% di probabilità di ottenere la maggioranza dei delegati alla prima votazione. Scenario con una probabilità ancora più alta (51%) è quello in cui invece nessun candidato riuscirebbe a ottenere la maggioranza al primo turno. Se questa ultima ipotesi si realizzasse, si profilerebbe quella che nei circoli di Washington definiscono una ‘brokered convention’. Una convention nazionale, cioè, in cui difficilmente un candidato potrebbe riuscire ad ottenere la maggioranza delle preferenze al primo turno, aprendo così la strada al voto dei 771 “superdelegates”: elettori nominati direttamente dalla direzione del Partito Democratico.

L’attuale frammentazione delle preferenze, con Sanders da una parte (che sembra aver ormai preso il sopravvento su Warren, altra candidata di area progressista) e i vari volti del voto moderato dall’altra, puntano per ora in questa direzione. E i candidati, in primis Bloomberg, non perdono tempo a raccogliere le preferenze dei “superdelegates”, nella speranza che si arrivi al secondo voto. Nonostante infatti al momento Sanders sembri spiccare nei sondaggi, se non dovesse ottenere la maggioranza dei delegati al primo voto a Milwaukee, la sua leadership verrebbe messa in discussione. Lui infatti è il candidato che meno può contare sul supporto dei delegati del partito. Un partito al quale non è iscritto, ma per il quale ha firmato una “dichiarazione di lealtà” nel caso in cui fosse eletto presidente.

Nonostante al momento sia un’ipotesi accreditata, e negli anni passati la possibilità sia sorta più volte, vale comunque la pena di ricordare che l’ultima ‘brokered convention’ risale al 1952.

 

IN OUR VIEW

Il commento di Monica Maggioni:

Scommettitori nell’incertezza e analisti spiazzati dalla realtà. La confusione regna assoluta, nel campo democratico, in queste settimane di campagna che precedono il supertuesday più importante degli ultimi anni. Eppure, martedì 3 marzo sarà il primo vero momento in cui la corsa alla Casa Bianca comincerà ad assumere una forma definita. Verrà scelto più di un terzo del numero di delegati necessario per conquistare la nomination democratica. Al voto quattordici stati, tra cui anche la California, come non accadeva da anni. E, probabilmente, proprio gli oltre quattrocento delegati californiani contribuiranno a far si che le suddivisioni tra i democratici possano cominciare a lasciare spazio alla delineazione di uno scenario più netto.

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POLITICS ON THE ROCKS

Una battaglia senza esclusione di colpi e crossmediale quella in corso in queste ore nel campo democratico. Pur di vincerla, e guadagnare consensi anche tra i giovanissimi, Michael Bloomberg non ha esitato ad assoldare gli influencer più seguiti sui social media e alcuni dei migliori strateghi della Silicon Valley, che sanno meglio di chiunque altro come generare attenzione online. Promettendo lauti guadagni a chi gli fornisce meme e post virali sulla rete, la campagna, battezzata Meme 2020, punta a coinvolgere profili con oltre mille follower, retribuiti con un compenso fisso di 150 dollari a post. Lo scopo è pescare tra i giovani elettori di Sanders, molto attivi sulle piattaforme online ma anche e soprattutto sparare ad alzo zero contro Donald Trump con attacchi duri, personali e viscerali.

 

Una strategia che sembra aver dato i frutti sperati: il presidente americano ultimamente sembra disinteressarsi degli altri competitor per twittare compulsivamente contro “mini Mike”.

 

 

I TEMI CALDI

Mercoledì 26 febbraio il presidente Donald Trump ha nominato il vicepresidente Mike Pence a capo del coordinamento governativo per il coronavirus. Una decisione annunciata dopo la conferma del primo caso di contagio avvenuto su suolo americano. La cronaca, quindi, spinge di nuovo il tema dell’accesso alla sanità sotto i riflettori.

Negli Stati Uniti circa la metà dei cittadini ottiene l’assicurazione sanitaria tramite l’azienda per cui lavora. Circa un terzo ricorre invece all’aiuto di vari programmi federali: i principali sono Medicare, che offre una assicurazione sanitaria agli over-65 e a persone con disabilità, e Medicaid, indirizzata ai più poveri. Nel 2010, Obama introdusse l’Affordable Care Act (ACA, o “ObamaCare”) allo scopo di estendere la copertura di Medicaid, aumentare il numero di assicurazioni private più accessibili e fornire sussidi per l’assicurazione sanitaria ai cittadini a basso reddito. Ancora oggi, comunque, 1 americano su 10 compra autonomamente sul mercato la propria assicurazione sanitaria e quasi 1 americano su 10 ne è totalmente sprovvisto.

In campo democratico il dibattito sulla sanità è stato dettato dai due contendenti più “radicali”: Bernie Sanders e Elizabeth Warren propongono una politica di “Medicare for All”: la sostituzione delle varie forme di assicurazione privata con un unico programma di copertura sanitaria pubblica finanziato dalla fiscalità generale. Mentre per tutti gli altri candidati democratici il sostegno pubblico in materia di sanità non può sostituirsi totalmente al mercato.

Sul fronte repubblicano, invece, la direzione è opposta. Pur non essendo riuscito a mantenere la promessa fatta nel 2016 di smantellare l’ObamaCare, Trump ne ha comunque abolito una componente chiave: il “mandato individuale”, che prevedeva sanzioni per chi, pur beneficiando degli incentivi federali, non avesse sottoscritto un’assicurazione sanitaria. Gli effetti delle politiche di Trump si sono fatti sentire: dopo essere calata dal 18,2% nel 2010 al 10,4% nel 2017 sotto effetto dell’ObamaCare, oggi la percentuale di cittadini sotto i 65 anni senza assicurazione sanitaria è tornata a crescere e nel 2018 ha raggiunto l’11,1%. Meno di venti giorni fa, il 10 febbraio, Trump ha inoltre inserito nella proposta di budget per l’anno fiscale che inizia a ottobre 2020 ulteriori tagli alla sanità. Un’anticipazione delle sue future politiche in materia se fosse rieletto a novembre.

 

PER SAPERNE DI PIÙ

No, President Trump: You’ve Weakened America’s Soft Power

Joseph S. Nye Jr., The New York Times

’Nearly insurmountable’: Bernie barrels toward Super Tuesday delegate windfall

Holly Otterbein, Politico

 

WHAT’S NEXT

– 1 giorno alle primarie in South Carolina (29 febbraio 2020)

– 4 giorni al Super Tuesday (3 marzo 2020)

– 136 giorni alla Convention democratica (13 luglio 2020)

– 249 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)

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