24 Mar 2020

Coronavirus: il dilemma tecnologico della Commissione

Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana n. 9

Il 19 febbraio 2020 la Commissione europea ha presentato la sua strategia digitale. Accentuando gli sforzi compiuti negli anni scorsi, la Commissione intende modellare il futuro digitale dell’Europa favorendo lo sviluppo di tecnologie utili alla società, posizionando l’Europa nel mercato dei dati e mantenendo l’inquadramento di democrazia e di sostenibilità della società europea, anche nella sua dimensione digitale. Nel frattempo, la crisi globale del Covid-19 ha avuto un impatto sull’insieme delle politiche europee e nazionali, rivelandosi come un vero e proprio “cigno nero” (black swan) per l’andamento delle società e va quindi presa in considerazione anche per il comparto digitale.

La visione della Commissione è quella di migliorare la posizione dell’Europa nel contesto digitale. Per questo mette al centro delle sue strategie i dati, ovvero la capacità di produrre e conservare dati in un contesto tecnologico e regolamentare europeo, ma anche di valorizzare la proprietà tutelata da questi dati per lo sviluppo di filiere tecnologiche ed economiche basate sul controllo e la possibilità di uso dei dati come l’intelligenza artificiale.

Dietro queste visioni osserviamo una rivendicazione di maggiore sovranità europea nel contesto digitale, con la consapevolezza che bisogna recuperare terreno dopo il quasi monopolio prodotto dalla crescita delle piattaforme industriali statunitensi, le quali prevedono una capacità di stoccaggio dei dati che di fatto pone sia il cittadino sia le istituzioni europee, pubbliche o private, in uno stato di dipendenza e di assoggettamento. Sulla tematica della sovranità digitale, anche da un punto di vista industriale, si osserva una convergenza europea con le posizioni italiane che mirano a fare crescere le capacità di controllo ma anche di sicurezza dell’intero comparto digitale italiano, come ben illustrato dal concetto di “perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”. Per fare tutto questo la Commissione intende incentivare lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche europee come forme di cloud europeo, annunciando investimenti fino a 2 miliardi di euro.

Essa vuole inoltre sfruttare la propria capacità normativa per creare dei cluster di dati che possano essere regolamentati a livello europeo e, anche poggiando sul mercato delle istituzioni pubbliche come amministrazioni o altro, aggregarsi sotto un regime che permetterebbe di porre le basi di un’economia digitale europea: dati europei regolati, aggregati e ottenuti in modo consensuale, che poi diventano il “petrolio” di una nuova economia digitale. Ecco la visione della Commissione.
 

La frontiera digitale per il comparto sanitario

Questa strategia prende anche spunto del successo del Gdpr, il regolamento generale per la protezione dei dati, voluto dalla Commissione europea e che ha di fatto creato uno standard mondiale in materia. Fra i vari cluster di dati che la Commissione immagina come terreni fertili per lo sviluppo di un mercato europeo legato a una specifica regolamentazione, rileviamo quello dei dati del comparto sanitario. Il dato medico è da sempre un argomento delicato, anche per la tutela della privacy, e mentre alcuni paesi come la Cina stanno forsennatamente spingendo per un impiego generalizzato dell’intelligenza artificiale nella medicina che utilizzi l’insieme dei dati personali per nutrire i propri algoritmi, l’Europa si è dimostrata prudente, temendo per la tutela dei diritti.

La crisi del coronavirus può in prima battuta sembrare un evento estraneo all’agenda digitale: si tratta di una crisi sanitaria che richiede una risposta medica. Ma la questione digitale arriverà ben presto. Prima di tutto stiamo assistendo di fatto a una vera e propria rivoluzione della società che, costretta dalle misure di contenimento, ha trasferito sul digitale una larga parte delle funzioni lavorative, educative e sociali. Bisognerà poi vedere quanto durerà la crisi e se ci sarà un ritorno al periodo precedente, ma intanto il digitale, che già rivestiva un’importanza fondamentale, continua a crescere giorno dopo giorno.

Dopo il confinamento, la seconda fase, quella della realizzazione di test estesi e del monitoraggio individuale di ogni cittadino, sia da un punto di vista medico sia da un punto di vista degli spostamenti, apre la prospettiva di un uso intensificato di app che permettono la produzione e la gestione di questi dati affidati alle autorità pubbliche.
 

I rischi della sorveglianza telematica

In assenza di progressi medici notevoli, sia dal lato dello sviluppo di un vaccino sia da quello dei protocolli di cura, il monitoraggio individuale dell’intera popolazione viene già indicato come l’unica via di uscita.

Questa prospettiva pone un difficile dilemma: mentre la riduzione delle libertà diventa effettiva nell’insieme delle nostre società, in nome della necessità di ridurre i rischi di contagio, si profila per la seconda fase dell’epidemia un regime di libertà sorvegliata tramite app su smartphone in modo tale da evitare o limitare eventuali riprese dei contagi. Certamente ci possiamo augurare che la Commissione europea, utilizzando il proprio know-how in materia, sia in grado di proporre un meccanismo e delle regole di controllo post-epidemia uniformi che possano mantenere una mobilità europea basata sull’accesso ai dati di controllo ovunque nell’Unione. Tuttavia, la combinazione fra i poteri eccezionali assunti dai governi nel contesto della crisi e un sistema di sorveglianza telematico esteso all’insieme della popolazione lascia molti dubbi e viene a scontrarsi con i fondamenti delle nostre democrazie.

I cinesi stanno usando la crisi del coronavirus per imboccare con ancora più velocità la strada di una forma di totalitarismo telematico. Dopo il successo del Gdpr, riferimento mondiale nella protezione dei diritti nel contesto digitale, è fondamentale che l’Ue giochi oggi un ruolo chiave nel necessario bilanciamento fra l’uso della tecnologia digitale per uscire della crisi e il mantenimento del nostro ordine democratico e sociale, il che rappresenta anche la ragion d’essere della nostra sopravvivenza.

 

 

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

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