24 Mar 2020

Allargamento ai Balcani al tempo del coronavirus: dal big bang al big flop?

Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana n.9

I tempi dell’allargamento “big bang” del 2004 non potrebbero essere più lontani. Dall’essere uniti nella loro diversità, i paesi membri dell’Unione europea sembrano oggi, specialmente a fronte della crisi del coronavirus sempre più lontani e divisi su molteplici questioni.

Una di queste è proprio quella dell’allargamento verso i Balcani occidentali. A oggi, Bosnia-Erzegovina e Kosovo – che non è stato ancora riconosciuto da Cipro, Grecia, Spagna, Romania e Slovacchia – rimangono potenziali candidati. Serbia e Montenegro guidano il gruppo essendo non solo paesi candidati ormai da anni, ma avendo anche avviato i negoziati di adesione con l’Ue. Nel caso degli altri due candidati, l’Albania dal 2014 e la Repubblica della Macedonia del Nord addirittura dal 2005, i negoziati di adesione non sono stati ancora avviati, e la questione è stata rinviata nuovamente dal Consiglio europeo nell’ottobre 2019. Martedì 24 marzo, in piena crisi da Covid-19, e con i meeting che si svolgono ormai in modalità teleconferenza, i ministri degli Esteri e degli Affari europei dei Ventisette – riuniti nella formazione Affari generali del Consiglio -, si riuniscono per dare l’agognato via libera all’inizio dei negoziati con Tirana e Skopje, una decisione che dovrà poi essere approvata dal prossimo Consiglio europeo.

Ormai da anni, la questione dell’allargamento sembra procedere a strappi e singhiozzi, rimbalzando tra istituzioni e stati membri, che a turno rilanciano o rallentano il processo. In effetti, l’esclusione della possibilità di nuove adesioni all’Ue nel breve e nel medio periodo dichiarata dall’ex presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, all’inizio del suo mandato nel 2014, aveva dato seguito al rilancio di un dialogo diretto tra alcuni paesi membri e i Balcani occidentali al fine di mantenere in qualche modo viva la prospettiva europea della regione. Il 28 agosto 2014 il governo tedesco di Angela Merkel aveva, infatti, ospitato un summit intergovernativo sull’allargamento, dando il via al Processo di Berlino.
 

Processo di Berlino

Il Processo di Berlino, al quale originariamente partecipavano, oltre ai sei paesi dei Balcani occidentali, sette stati membri dell’Ue (Austria, Croazia, Francia, Germania, Italia, Slovenia e da ultimo anche il Regno Unito) e a cui poi se ne sono aggiunti anche altri come la Polonia e la Bulgaria (che ospiterà il vertice nel 2020 assieme alla Macedonia del Nord), non mira a sostituire l’iter istituzionale sull’allargamento ma a mantenere vivo l’interesse europeo verso la regione.

Forse non è un caso che nel 2018 – anno in cui il vertice di Berlino doveva essere ospitato a Londra, creando sicuramente un paradosso per cui un paese uscente dall’Ue organizzava un summit sull’allargamento europeo – la Commissione, dopo l’apertura alla possibilità di nuove adesioni da parte di Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione nel 2017, aveva lanciato una nuova strategia che mirava a fornire “una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell’Ue per i Balcani occidentali”, prospettando addirittura che l’allargamento sarebbe potuto avvenire entro il 2025.
 

Speranze disattese e nuova strategia

Tuttavia, nel 2019, a seguito di questo enorme passo in avanti e della positività verso la regione espressa dalla nuova presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, le speranze di alcuni paesi della regione balcanica sono state di nuovo disattese. Nell’ottobre del 2019, il Consiglio europeo ha nuovamente rinviato la questione dell’allargamento e quindi dell’apertura dei negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord a prima del vertice Ue-Balcani occidentali che si terrà – emergenza coronavirus permettendo – a Zagabria nel maggio 2020. Questa decisione è stato un boccone amaro soprattutto per Skopje, che aveva dimostrato la propria volontà di portare avanti la candidatura risolvendo definitivamente l’annosa questione del proprio nome con la Grecia all’inizio del 2019.

Cercando di bilanciare le diverse vertenze sollevate da vari paesi membri tra cui la Francia, che in un documento informale aveva ipotizzato un processo di allargamento più rigido e anche reversibile, e nell’intento di rinnovare il sostegno europeo all’allargamento, nel febbraio 2020 la Commissione europea ha presentato una nuova strategia per l’allargamento che mira a rilanciare il processo di adesione, dando ai Balcani occidentali una prospettiva europea credibile. Quanto questa nuova strategia sarà in grado di farlo rimane ancora da vedere. A oggi, la crisi globale causata dal dilagare del coronavirus ha determinato tra le altre cose il rinvio del Consiglio europeo del 26-27 marzo che doveva dare una risposta in merito all’apertura dei negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord.
 

Chi pro e chi contro

Attualmente, Albania e Macedonia del Nord a parte, anche la membership di Serbia e Montenegro appare ancora lontana. Le perplessità di alcuni governi europei sono per lo più basate su questioni di politica interna come la necessità di non antagonizzare un elettorato che è profondamente contrario all’allargamento. Ad oggi, solo il 44% dei cittadini europei contro il 42% è favorevole all’adesione dei Balcani occidentali all’Ue. Spiccano paesi come la Francia, dove il 59% dei cittadini è contrario, l’Olanda con il 60% e la Danimarca con il 53%. In Italia, sebbene il governo sia a favore dell’integrazione della regione, solo il 42% degli italiani sostiene l’allargamento contro una maggioranza di 44% che è contraria.

A questo si deve aggiungere che le economie dei paesi dei Balcani occidentali sono deboli, hanno un tasso di disoccupazione molto alto e, con l’allargamento, le relazioni commerciali, già nettamente in favore dell’Ue, non avrebbero un miglioramento tale da giustificarne la membership. Nonostante ciò, i costi di un non allargamento sarebbero sicuramente più alti. Al di là dell’economia, ci sono motivi di sicurezza e anche di natura politica che non vanno sottovalutati.

Da un lato, paesi come l’Italia si troverebbero a confinare con una regione in cui le promesse della prospettiva europea e il potenziale benessere che ne doveva conseguire sono state disattese, alimentando tensioni interne già in essere e potenzialmente esplosive. D’altro canto, l’Unione europea avrebbe una regione che geograficamente è già parte del suo territorio in balìa degli influssi non sempre amichevoli di altre potenze mondiali come la Russia, la Cina o la stessa Turchia. Infine, l’incapacità di integrare una regione che conta solo circa 18 milioni di abitanti rappresenterebbe un ennesimo fallimento in grado di ridurre significativamente il peso e la legittimità europea nella sfera globale, dove l’Unione deve assolutamente ambire a contare di più.

 

 

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 

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