23 Mar 2020

Italia e coronavirus: Fondo salva-stati sì o no?

Economia e MES

Negli ultimi giorni si sono succedute in Italia e in Europa dichiarazioni su dichiarazioni sul coronavirus e sull’utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), anche conosciuto come fondo salva-stati. Secondo il Commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni, il ricorso al MES sarebbe in effetti tra le opzioni percorribili. E la stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von den Leyen, ha lasciato più di uno spiraglio aperto. Anche il premier Conte vede con favore la messa in campo della potenza di fuoco del Fondo (circa 500 miliardi di euro) per aiutare i governi europei obbligati a sforzi fiscali tanto enormi quanto inattesi.

Ma mentre varie forze politiche italiane, dentro e fuori la maggioranza di governo, rimangono a dir poco scettici sul fondo salva-stati, anche in Europa iniziano a sollevarsi non poche preoccupazioni, soprattutto da parte dei paesi del nord che temono che alla fine dovranno mettere mano al loro portafogli.

Per capirci di più, si impongono due domande. Primo: è necessario prevedere un meccanismo di prestiti europei per affrontare le conseguenze del coronavirus? Secondo: il fondo salva-stati può davvero essere utilizzato a questo fine?

 

L’importanza dell’”aiuto europeo”

Per rispondere alla prima domanda basta richiamare le stime di JP Morgan: la crescita nell’eurozona potrebbe contrarsi tra il 15 e il 22% nel primo e secondo trimestre del 2020. Finora, la risposta dell’Unione europea ha riguardato principalmente la prima fase della crisi, ovvero quella legata alla liquidità. Era necessario evitare che le imprese rimanessero senza liquidità per i propri pagamenti, a partire ovviamente dagli stipendi, nel momento in cui le loro entrate improvvisamente crollavano. Dopo un primo passo falso, la Bce di Christine Lagarde ha fatto la propria parte rendendo ancora più conveniente l’accesso al credito da parte delle banche che a loro volta lo riversano su imprese e famiglie. E ha anche arginato la speculazione portando a oltre 1.000 miliardi di euro il piano di acquisto di titoli pubblici e privati. Tanto più perché l’ha fatto derogando alla capital key che imporrebbe, invece, di suddividere gli acquisti della Bce dai vari paesi dell’Eurozona sulla base della quota di capitale della Bce detenuta da ciascun paese. In pratica ora per l’Italia gli acquisti da parte della Bce potranno andare oltre il 13,8%.

Se dunque delle prime e significative risposte (non necessariamente le ultime) sono già state date dalla Bce, rimane ancora da capire come affrontare l’enorme contrazione cui andrà incontro l’economia reale e, soprattutto nel caso di un paese fortemente indebitato come l’Italia, una eventuale crisi finanziaria. I mercati potrebbero infatti tornare a mettere in discussione la sostenibilità del nostro debito pubblico e a speculare sull’ipotesi di un ‘default’.

Per ridurre al minimo l’impatto sull’economia reale bisogna fare in modo che i governi possano indebitarsi di più. D’altra parte il rischio è che se non lo facessero, la recessione sarebbe ancora più profonda e il rapporto debito/pil peggiorerebbe ugualmente, forse anche più. Bene quindi che la presidente della Commissione Ue abbia annunciato la sospensione del patto di stabilità e crescita. Se proprio il rapporto debito/pil deve peggiorare, molto meglio farlo per rafforzare la sanità pubblica e ridurre le conseguenze della crisi su stipendi e occupazione.

Ma il punto rimane: il rapporto debito/pil è destinato ad aumentare. Un paese con i conti pubblici in ordine come la Germania può e deve permetterselo: ha infatti già annunciato di abbandonare per il momento il mantra del pareggio di bilancio, ipotizzando addirittura di mettere in campo la cifra record di 800 miliardi di euro. Ma anche un paese come l’Italia – con un debito pubblico già esorbitante – deve poterselo permettere perché l’emergenza sanitaria lo impone. Il problema è che i mercati potrebbero interrogarsi sulla sostenibilità del nostro debito riportando lo spread a livelli pericolosamente alti. Insomma, l’Italia da sola potrebbe non farcela.

La risposta quindi alla prima domanda non può che essere affermativa: è bene prevedere un meccanismo di prestiti europei diretti principalmente ai paesi più in difficoltà. Ciò magari nella speranza che non venga mai attivato. Tanto più perché la sua sola esistenza diminuirebbe gli incentivi a comportamenti speculativi da parte dei mercati.

 

MES: un aiuto europeo per l’emergenza coronavirus?

E adesso passiamo la seconda domanda: il MES può davvero essere attivato per concedere, in tutto o in parte, prestiti ai paesi in difficoltà?

Nella cassetta degli attrezzi del MES in effetti alcuni strumenti ci sono: oltre ai prestiti previsti per evitare che un paese si avvii verso default – ma a fronte di vincoli molto stringenti cui lo stato deve impegnarsi all’interno di un Memorandum of Understanding (MoU) – esiste anche la possibilità di attivare la “Precautionary Conditioned Credit Line” (PCCL)”. Si tratta di prestiti che possono essere concessi in tempi rapidi a paesi membri incolpevolmente colpiti da shock improvvisi per evitare che la loro crisi si approfondisca. In questo caso non è richiesto allo stato membro di firmare un MoU, ovvero il rigoroso programma di aggiustamento economico fatto soprattutto di tagli alla spesa e riforme strutturali, ma di limitarsi a una Lettera di Intenti. In questa lettera il paese dichiara di voler continuare a rispettare gli stessi criteri di ammissione (elegibility criteria) a questa linea di finanziamento. Ed è proprio qui che la situazione per l’Italia inizia a complicarsi.

In pratica, affinché un paese possa accedere a questi crediti, negli ultimi due anni dovrà aver rispettato criteri ben precisi in termini di finanze pubbliche e non presentare squilibri eccessivi e marcate vulnerabilità nel proprio settore finanziario. Vincoli che potrebbero risultare troppo stringenti per l’Italia, cui resterebbe solo un’altra linea di credito (Enhanced Conditions Credit Line), ma a un patto ben preciso: firmare un MoU.

Quindi il MES al momento non sembra utilizzabile per arginare le conseguenze del coronavirus nei paesi finanziariamente più vulnerabili come l’Italia, a meno di non mettere le finanze pubbliche sotto diretto controllo dell’Ue. E d’altra parte la riforma del MES è al momento bloccata, proprio dall’Italia. Eppure è bene ricordare che se i mercati considerassero davvero il nostro debito pubblico insostenibile, ci costringerebbero a una sua ristrutturazione pericolosamente disordinata. Meglio invece poter contare sulla presenza del MES e sulle sue regole chiare. In altri termini, se proprio il nostro paese rischiasse grosso, sarebbe meglio farlo in presenza del MES piuttosto che in sua assenza.

 

Cosa potrebbe chiedere l’Italia?

In quest’ottica, l’Italia potrebbe ritirare il suo veto all’approvazione del nuovo trattato sul MES chiedendo in cambio due cose: 1. L’ambito di intervento del MES venga ampliato per includere appieno fattispecie di rischio come quelle che stiamo vivendo con l’emergenza coronavirus 2. Le regole sulla eligibility per l’accesso alle linee di credito del MES vengono ‘sospese’. D’altra parte sarebbe davvero paradossale che mentre l’Ue approva la sospensione del Patto di stabilità e crescita mantiene invece vivi praticamente gli stessi criteri per l’accesso ai crediti del MES.

Questi parziali cambiamenti alle finalità e ai criteri di accesso ai crediti del MES potrebbero essere del tutto temporanei e legati alla eccezionalità della crisi del coronavirus. Si tornerebbe invece alla lettera del Trattato sul MES non appena la crisi sarà passata. Un compromesso che potrebbe andare incontro alle preoccupazioni dei paesi del nord Europa, e rendere più ‘digeribile’ l’approvazione del MES anche nel nostro paese.

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