2 Apr 2020

Datavirus- L’Italia e gli altri: attendismo democratico

CoVid-19

 

L’Italia ha agito in ritardo, ha titubato, ed è per questo che oggi il virus è avanzato più rapidamente qui da noi, provocando così tante morti. Una tesi che in queste settimane va per la maggiore, in Italia e all’estero. Ma è corretta? A leggere i dati diffusi dall’Università di Oxford, si direbbe di no.

Pochi giorni fa un team di ricercatori dell’Università di Oxford ha rilasciato un dataset, che sarà aggiornato periodicamente, e che valuta le misure prese da tutti i paesi del mondo per rispondere al progredire dell’infezione da coronavirus. Si va da azioni più blande, come le campagne di sensibilizzazione, la restrizione dei viaggi da e verso l’estero o la cancellazione di eventi aperti al pubblico, a politiche ben più incisive come la chiusura delle scuole, la limitazione dei trasporti e un vero e proprio lockdown. Aggregando queste misure ne esce un indice che varia da 0 (nessuna risposta) a 100 (risposta massima).

ISPI ha rimesso in fila i dati partendo dal giorno in cui in ciascun paese è stato registrato il 100° caso di persona positiva al coronavirus. In particolare, abbiamo scelto di prendere a riferimento quattro paesi europei (Italia, Francia, Germania e Regno Unito) e due extra-europei (Stati Uniti e Corea del Sud). In questo modo è possibile confrontare le misure prese da ciascun Governo a parità dello stato dell’epidemia misurato dagli organi ufficiali.

Ovviamente questa misura è imprecisa, perché i casi positivi possono emergere prima o dopo, anche a seconda delle politiche di testing dei singoli paesi: se in un paese ci sono più persone sottoposte al tampone, si troveranno 100 positivi relativamente più in fretta che se si decide di limitare i test ai soli pazienti sintomatici. Ma in prima battuta questa misura ci permette di capire come e con quali tempistiche abbiano agito i singoli governi a parità di informazioni disponibili.

Cosa scopriamo, dunque? Innanzitutto che, certamente, l’Italia ha agito con un notevole ritardo rispetto alla Corea del Sud. Dopo soli cinque giorni dal 100° caso le misure adottate da Seul erano già fortemente restrittive. È possibile che sia proprio questo ad aver permesso alle autorità sudcoreane di contenere rapidamente l’epidemia, che ha infatti cominciato a rallentare dopo solo poco più di una settimana dal centesimo caso, e in tre settimane sembrava essersi quasi fermata (sembrava soltanto, però). Ma se la Corea del Sud, preparata da tempo a far fronte a un’epidemia di questa portata dopo la débacle sulla diffusione della MERS del 2015, è un mondo a parte, mettendo a confronto la risposta italiana con quella degli altri principali paesi occidentali scopriamo che è difficile continuare ad accusare Roma di una risposta tardiva.

Secondo l’indice di Oxford, infatti, la risposta italiana è diventata restrittiva molto più rapidamente di quanto sia accaduto negli altri paesi occidentali. Dopo dieci giorni dal centesimo caso, l’Italia aveva superato la Francia ed era diventata il paese con le misure più restrittive in tutto l’Occidente. Trascorsi altri 5 giorni, la risposta italiana ha raggiunto un livello persino superiore a quello sudcoreano, per attestarsi dopo 25 giorni a un valore di 90 contro il 74 fatto registrare dalla Corea del Sud.

Pur partendo da livelli iniziali diversi, Francia e Germania hanno invece tardato ad attuare misure restrittive al progredire del contagio, cominciando a farlo solo dal quindicesimo giorno e senza mai pareggiare i livelli italiani. Anzi, se Parigi ha poi comunque raggiunto un livello di ristrettezza delle misure grossomo equivalente a quelle messe in atto da Roma, Berlino resta ancora distante, ed è stata raggiunta negli ultimi giorni persino da Washington e Londra.

Quanto a Stati Uniti e Regno Unito, i due paesi sono stati per settimane i promotori di una scuola differente, e questo dall’indice traspare subito. Nel Regno Unito, Boris Johnson non ha praticamente adottato nessuna misura restrittiva prima che fossero trascorse due settimane dal centesimo caso, mentre Donald Trump ha addirittura atteso quasi 20 giorni. L’indice registra anche il rapido dietrofront americano e britannico, una volta che Johnson e Trump hanno realizzato che le loro misure non erano assolutamente sufficienti a limitare la diffusione del coronavirus nel proprio paese, e che questo avrebbe significato correre il rischio di decine di migliaia di morti e del collasso del sistema sanitario nazionale in breve tempo.

Insomma, da questa analisi possiamo tirare conclusioni piuttosto chiare. Malgrado sia stato il primo paese europeo a dover far fronte all’avanzata del virus, l’Italia ha forse titubato inizialmente, ma meno di tutti gli altri paesi occidentali. Anzi, nonostante avessero l’esempio di Roma davanti agli occhi, tutti gli altri paesi europei prima, e gli Stati Uniti poi hanno scelto di non bloccare rapidamente le attività per limitare l’avanzata del virus. In alcuni casi hanno atteso persino più tempo, con risposte tardive che – soprattutto per gli Stati Uniti e il Regno Unito – hanno con ogni probabilità aggravato una situazione che fino a poche settimane prima sarebbe stata nettamente più gestibile.

Sembra la dimostrazione che, nelle democrazie occidentali non abituate a dover prendere decisioni così rapide e non attrezzate per far fronte a un’epidemia, l’attendismo ha costantemente prevalso. Affiancato in alcuni casi da un senso di invincibilità (qui non capiterà mai quello che è successo da voi). Forse, però, non è un segno di debolezza delle democrazie quanto della mente umana, non abituata ad avere a che fare con rischi che seguono un andamento esponenziale. Rischi che iniziano bassissimi. Ma che quando aumentano possono fare molto, molto male.

 

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