1 Apr 2020

Area MENA e Virus, benzina sul fuoco

MENA Watch

Dal Marocco all’Egitto, da Israele all’Iran, la diffusione del Covid-19 non risparmia i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena), coinvolti in misura e intensità diversa nella lotta al nuovo, comune nemico. Al 30 marzo, l’area Mena contava circa 45.000 casi di contagio, con il triste primato dell’Iran (oltre 38.000), epicentro del contagio nella regione, seguito da Israele (4.806) e Arabia Saudita (1.300). In Siria e Libia i dati ufficiali riportano rispettivamente 9 e 8 casi, nessun caso in Yemen. Se è evidente che nei paesi in conflitto i dati reali sfuggono a ogni tipo di controllo, non pochi interrogativi emergono sull’effettiva entità dei numeri dichiarati dai governi della regione, come sottolineato dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità. A suscitare sorpresa è soprattutto il dato dell’Egitto dove il numero dei contagi, 609, è particolarmente basso rispetto a una popolazione di oltre 100 milioni di abitanti.

Sebbene ogni paese abbia adottato misure per contenere la diffusione del contagio, non si può nascondere che anche qui, come in altre parti del mondo, per una iniziale sottovalutazione del problema o per altro tipo di calcolo, le risposte non sono state dappertutto repentine. E lì dove lo sono state, difficilmente queste riusciranno a mettere al riparo i sistemi socio-economici particolarmente vulnerabili della regione. Inoltre, qui più che altrove la pandemia si innesta su preesistenti, e irrisolte, problematiche politiche, sociali ed economiche, trasformando così l’area in una enorme polveriera pronta a esplodere.

Nell’immediato, il primo timore riguarda la rapidità di diffusione del contagio in quelle zone in cui l’accesso all’acqua e all’elettricità è scarso e contingentato, le misure igieniche sono carenti e il distanziamento sociale è difficile da attuare a causa dell’elevata densità di popolazione, come nella Striscia di Gaza o nelle aree urbane dell’Egitto, per non parlare dei campi di rifugiati nel Vicino Oriente. Ma c’è anche la preoccupazione per la tenuta di sistemi sanitari fragili, con infrastrutture e personale medico inadeguati, e impreparati a far fronte a una emergenza che sta mettendo a dura prova paesi più avanzati da questo punto di vista. Negli anni i governi della regione piuttosto che investire nella sanità – la spesa sanitaria varia dallo 0,6% del Pil in Yemen al 4,5% in Algeria – hanno preferito iniettare risorse nella spesa militare.

Per contenere la pandemia, scuole, università, moschee e molte attività sociali ed economiche sono state chiuse a partire dalla seconda metà di marzo, quando i contagi hanno iniziato a crescere e si sono verificati i primi decessi. In molti paesi è stato dichiarato lo stato d’emergenza, in altri attuato anche un coprifuoco nelle ore serali e notturne; le frontiere sono state sigillate, i voli cancellati e gli spostamenti interni fortemente limitati o vietati. Tuttavia, in contesti già caratterizzati da restrizioni delle libertà individuali le misure eccezionali adottate dai governi per evitare il collasso non hanno fatto altro che accrescere il controllo dei regimi sui propri cittadini, anche attraverso il dispiegamento di forze militari e di polizia, riducendo ulteriormente i limitati spazi di libertà. Il rischio che le restrizioni possano andare oltre le esigenze di contenimento della pandemia è stato evidenziato anche in paesi più liberali come Israele, dove molte perplessità si sono levate per la decisione del governo di servirsi della tecnologia per tracciare gli spostamenti individuali attraverso i cellulari.

Non meno preoccupanti sono le conseguenze economiche e sociali che il rallentamento della crescita globale, in particolare di quella cinese e dei paesi europei con cui l’area ha strette relazioni economiche ed energetiche, e il “lockdown” a livello mondiale produrranno su economie già fortemente provate. Se è difficile oggi quantificare quale sarà l’impatto economico effettivo della pandemia, i primi effetti negativi si sono abbattuti su turismo e rimesse, settori chiave per i paesi Mena. Il turismo conta infatti per il 16% del Pil in Tunisia, il 12% in Egitto, l’11% in Marocco e negli Emirati Arabi Uniti, solo per citare alcuni dati.

Ogni paese sta reagendo con i mezzi a propria disposizione. In Marocco, il governo ha stanziato 200 milioni di dollari per potenziare il sistema sanitario. In Libia il Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al- Serraj ha allocato 350 milioni di dollari per fronteggiare l’emergenza sanitaria, mentre l’Egitto ha varato un pacchetto da 6,35 miliardi di dollari per sostenere la propria economia. Invece l’Iran, stremato dalle sanzioni internazionali e dall’emergenza sanitaria, ha fatto richiesta al Fondo monetario internazionale, per la prima volta dal 1962, di un prestito di 5 miliardi di dollari.

Dal canto loro, le ricche monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) hanno messo in campo consistenti pacchetti di stimolo della crescita, dagli oltre 25 miliardi di dollari degli Emirati Arabi Uniti ai 18 miliardi del Qatar e i 17 dell’Arabia Saudita per totale complessivo di 97 miliardi di dollari, e possono contare su consistenti riserve valutarie. Tuttavia, il crollo del prezzo del greggio e prolungati prezzi bassi potrebbero avere sui paesi produttori di petrolio un impatto che va ben oltre l’economia e potrebbe arrivare a mettere in discussione la tenuta di sistemi che basano il consenso politico e sociale proprio sulla redistribuzione della rendita petrolifera. Anche l’aiuto esterno che le monarchie petrolifere hanno finora dato alle altre economie della regione, dalla Giordania all’Egitto, potrebbe risentirne drasticamente. Secondo gli economisti, nel 2020 la crescita dell’intera area Mena dovrebbe attestarsi al 2,1%, in calo rispetto al 2,8% inizialmente stimato, e all’1,7% per il solo GCC.

Di fronte agli innumerevoli campanelli d’allarme, non sorprende dunque che re Salman, in qualità di presidente di turno del G20, abbia convocato lo scorso 26 marzo un vertice straordinario (in videoconferenza) in cui i leader dell’organizzazione si sono impegnati a stanziare un pacchetto di 5 trilioni di dollari per sostenere l’economia mondiale per contrastare l’emergenza Coronavirus, la stessa cifra che era stata allocata per la crisi finanziaria del 2008-2009. Se allora molte economie dell’area MENA era state coinvolte solo marginalmente per il loro ridotto grado di integrazione nell’economia globale, oggi la situazione è sostanzialmente diversa.

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