16 Apr 2020

Reagire alla crisi: più disoccupati da virus nel Sud Europa

CoVid-19

Che l’impatto dell’emergenza coronavirus sull’economia sarebbe stato enorme era ormai opinione comune da molte settimane. A dare maggior forma a questo sentore ci ha pensato il Fondo Monetario Internazionale. Nelle sue ultime stime prevede che nel 2020 il Pil mondiale si contrarrà del 3%. Molto più di quanto avesse fatto nel 2009 (-0,1%) all’apice della crisi finanziaria globale. L’economia dell’Eurozona subirà un taglio netto del 7,5%. L’impatto sarà molto forte su Germania (-7%) e Francia (-7,2%), ma lo sarà ancora di più per Spagna (8%), Italia (9,1%) e Grecia (-10%). Quello che emerge da queste stime non è solo che nel complesso si tratta di una contrazione del Pil senza precedenti, ma che questa rischia anche di approfondire il divario tra i paesi del Sud e del Nord dell’Eurozona. Purtroppo, anche questo era largamente atteso perché la crisi da coronavirus colpisce con maggiore intensità paesi con molte piccole e medie imprese e con una struttura produttiva più sensibile agli effetti del lockdown (come il settore turistico).

È inevitabile che i timori sul crollo dell’economia si riversino ora sui posti di lavoro. Quanti ne andranno persi in Europa? E con quali differenze tra i vari paesi? Saranno differenze anche maggiori di quelle riguardanti la contrazione del Pil?

Per abbozzare una risposta è anzitutto opportuno ricordare che gli effetti sull’occupazione non dipendono solo dall’entità della contrazione del Pil, ma anche da altri fattori quali il numero di disoccupati pre-esistenti, la flessibilità o meno del mercato di lavoro nazionale, la dimensione/efficacia/durata degli strumenti di welfare sul lavoro. Tra questi fattori ci concentreremo sul primo e sul terzo in quanto o li conosciamo già (disoccupazione pre-esistente) o sono quelli su cui si può intervenire in tempi piuttosto rapidi (es. sostegno all’occupazione). Sulla flessibilità dei mercati del lavoro incidono in genere riforme più ampie con effetti nel medio-lungo termine. Il nostro focus rimane invece l’impatto del coronavirus sui posti di lavoro oggi e nei prossimi mesi. Iniziamo dunque dalla situazione che il mondo del lavoro eredita nell’Eurozona dal periodo pre-crisi.

 

Prima del virus: (un po’) meno disoccupazione, ma con grandi differenze tra i paesi

A inizio anno i dati aggregati sembravano incoraggianti: la disoccupazione nell’Eurozona si era fermata al 7,6% nel 2019 e dava segnali di ulteriore riduzione. Un risultato in costante miglioramento dalla precedente crisi finanziaria. Purtroppo, a livello dei singoli paesi membri permanevano enormi differenze: si andava da una disoccupazione al 2% circa nella Repubblica ceca fino al 17,3% della Grecia. All’interno di questa (enorme) forbice l’Olanda e la Germania si trovavano nella fascia più bassa (rispettivamente al 3,4 e al 3,2%), mentre ricadevano in quella più alta la Francia (8,5%), l’Italia (10%), la Spagna (14,1%) e la Grecia (17,3%). Permanevano inoltre differenze significative di genere e per età. In particolare, anche se in leggera diminuzione, si contavano ancora oltre 2,7 milioni di disoccupati sotto i 25 anni in tutta l’Ue, di cui ben 2,3 milioni circa nell’Eurozona. E ancora una volta con una grossa differenza tra i paesi membri: pochi i giovani senza lavoro nella Repubblica ceca e in Germania (poco sopra il 5%), moltissimi invece in Grecia, Spagna e Italia (tra il 30 e il 35%). Insomma, dal punto di vista dell’occupazione l’Europa era già molto diseguale prima del coronavirus. I sussidi di disoccupazione e altre misure di sostegno del lavoro giravano già a ritmo sostenuto nei paesi del Sud dell’Eurozona, che ne dovevano sostenere il relativo costo. È quindi in questa situazione di trend (complessivo) positivo ma con enorme variabilità tra i paesi che si è inserita l’emergenza coronavirus. I governi si sono dovuti attivare immediatamente per sostenere il lavoro nel periodo del lockdown.

 

Posti di lavoro: come li difendono i paesi Ue?

Già nelle prime settimane dallo scoppio dell’emergenza coronavirus milioni di aziende in tutta Europa hanno chiesto ai propri governi l’attivazione degli strumenti di sostegno all’occupazione. Ma esistono differenze significative in merito all’efficacia e all’ampiezza degli strumenti disponibili in ogni paese. Guardando fuori dall’Italia, emerge anzitutto la Germania che con il suo Kurzabeit sembra il paese meglio attrezzato tra i grandi europei. Si tratta di uno strumento che esiste dall’inizio del secolo scorso e che è stato fortemente potenziato soprattutto durante la scorsa crisi finanziaria. In pratica, durante una crisi economica le imprese tedesche possono ridurre le ore lavoro di ciascun dipendente (fino a lasciarlo momentaneamente a casa), spostando sul governo l’onore di assicurargli buona parte del reddito. Questo fondo si è già rivelato cruciale nel ridurre l’impatto della precedente crisi finanziaria sull’occupazione, con la Germania che ha fatto decisamente meglio delle altre economie avanzate. Allo scoppio dell’epidemia coronavirus il Parlamento tedesco ha approvato velocemente il potenziamento di questo strumento. Mentre prima le aziende potevano accedervi se la crisi economica coinvolgeva almeno il 30% dei propri lavoratori, adesso basta il 10%. Si stima che circa 2,5 milioni di persone – un numero senza precedenti per la Germania – verranno aiutate dal Kurzabeit per un costo complessivo che almeno inizialmente dovrebbe aggirarsi sui 10 miliardi di euro. Anche grazie a precedenti contributi di imprese e lavoratori, il fondo può comunque contare su riserve fino a 26 miliardi. In generale, il Kurzabeit si è rivelato uno strumento efficace e flessibile capace di allargarsi rapidamente quando la crisi economica morde, per poi tornare a contrarsi in condizioni di normale crescita economica (cosa che non avviene con pari intensità e rapidità con strumenti simili in altri paesi).

Non è un caso che questo modello tedesco sia stato molto ‘copiato’ anche all’estero, a partire dai paesi del Nord Europa. Lo stesso piano annunciato nelle scorse settimane dalla Gran Bretagna per evitare i licenziamenti (pagamento dell’80% del salario fino a 2.500 sterline al mese) si inserisce proprio nel solco della tradizione tedesca.

Spostandoci alla Francia, oltre 700.000 aziende hanno già fatto ricorso a misure di sostegno all’occupazione fino a coinvolgere circa 8 milioni di lavoratori. Il costo dovrebbe aggirarsi intorno ai 25 miliardi di euro e assorbire una parte considerevole del pacchetto di misure annunciato dal presidente Macron.

Da parte sua, la Spagna ha rafforzarto l’ERTE (Expediente Temporal de Regulación de Empleo) che coprirà il 70% dei salari in quelle aziende costrette da ‘forza maggiore’ a chiudere o ridurre notevolmente la propria produzione. Varie imprese lamentano però la farraginosità dei meccanismi e la mancanza di chiarezza in merito all’accesso all’Erte (ad esempio per quelle la cui chiusura è solo parziale).

Nel complesso, emerge un quadro in cui gli strumenti dei paesi del Sud Europa (Italia inclusa) appaiono meno solidi di quelli dei paesi del Nord (Germania in primis) in quanto meno ampi, flessibili e sostenibili (dato che il loro finanziamento avverrà soprattutto a debito). Particolarmente sensibile è la situazione della Spagna che, come visto sopra, era gravata da un alto numero di disoccupati già prima del virus.

 

Lavoro: tra Nord e Sud Europa il divario aumenterà

Secondo il FMI nel 2020 la disoccupazione nell’Eurozona salirà al 10,4%. Ancor più di questo dato, a colpire sono le enormi differenze previste per i vari paesi membri: se in Germania il tasso di disoccupazione dovrebbe passare dal 3,2% al 3,9%, per la Francia si andrà dall’8,5 al 10,4%, per l’Italia dal 10 al 12,7%, e per la Spagna addirittura dal 14,1 al 20,8%. Detto in altri termini: per ogni punto di Pil in meno il tasso di disoccupazione in Germania aumenta dello 0,1%, mentre in Francia aumenta più del doppio (0,26%), in Italia il triplo (0,3%), in Spagna oltre 8 volte tanto (0,84%).

Se dunque in termini di crescita economica l’emergenza COVID-19 fa già aumentare il divario tra il Nord e il Sud dell’Eurozona, in termini di impatto sul mercato del lavoro lo fa aumentare ancora di più. Impossibile non vedere dietro l’angolo le possibili conseguenze politiche di un divario economico che continua ad aumentare e che tocca sempre più da vicino le persone e il loro lavoro. Il Sure da 100 miliardi di euro voluto fortemente dalla presidente della Commissione Von den Leyen (e che ricalca l’esperienza tedesca del Kurzabeit) va nella giusta direzione, ma affronta solo in parte il problema. Malgrado le straordinarie misure di sostegno all’occupazione attivate dai governi, i disoccupati aumenteranno. E molto di più nei paesi del Sud. È un divario che l’Europa rischia di non potersi più permettere.

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