21 Apr 2020

Petrolio e COVID-19: se l’oro nero diventa ingombrante

Il crollo dei prezzi

I grandi eventi storici sono tali proprio perché risultano così dirompenti da cambiare la percezione della realtà. Ruoli e usanze consolidati, che per molto tempo erano apparsi eterni e inscalfibili, diventano improvvisamente irriconoscibili e obsoleti, mostrando la propria fragilità e le illusioni su cui così a lungo si erano retti.

Se qualcuno avesse ancora bisogno di conferme sul fatto che il coronavirus sia uno di questi grandi eventi, il 20 aprile ha avuto ulteriore motivo per ricredersi. Il valore del West Texas Intermediate (WTI), il tipo di contratto che regola le transazioni petrolifere in Nord America, nell’arco di una serata è sceso infatti sotto lo zero per la prima volta nella storia. Per alcune ore per vendere un barile di greggio scambiato negli Stati Uniti era necessario pagare il compratore. Ciò è accaduto proprio perché a un tratto sono venute meno alcune di quei ruoli e usi consolidati da decenni, secondo i quali, per esempio, un trader non si occupa di come e quando la merce viene consegnata e i contratti si risolvono nella stragrande maggioranza dei casi con semplici transazioni finanziarie. Di solito il lato fisico della circolazione del greggio impatta infatti ben poco coi rapidi passaggi di proprietà che lo contraddistinguono. Ma tutto cambia quando chi ne è proprietario in un dato momento è chiamato improvvisamente a far fronte al suo stoccaggio, in un mondo dove gli spazi fisici di immagazzinamento sono agli sgoccioli, soprattutto negli USA, e dove immagazzinare nei prossimi mesi potrebbe comportare costi aggiuntivi insostenibili.

Nel mondo dominato dalla crisi coronavirus improvvisamente la realtà fisica del barile di petrolio ha fatto irruzione in un mondo dove di solito tutto viene risolto con pochi bit che passano da un computer all’altro. Da un momento all’altro la semplice paura di doversi far carico dell’onere di gestione del greggio, quello vero, ha portato coloro che ancora lo detenevano a tentare di venderlo disperatamente prima della chiusura dei contratti per maggio.

Non era mai capitato che il petrolio crollasse perché chi lo aveva comprato ne temesse la consegna. Certo, questa anomalia è destinata a risolversi, e il valore del WTI a ristabilizzarsi una volta che si saranno chiarite le capacità di stoccaggio e che si entrerà nel nuovo mese di contrattazioni. Il BRENT (il tipo di contratto utilizzato in Europa), da parte sua, non prevede obbligo di presa in carico della consegna e quindi dovrebbe essere esente da eventi anomali come quello del 20 aprile. Ma anche il BRENT viaggia ormai stabile intorno ai 20 dollari al barile e potrebbe scendere ancora in queste settimane. I tagli annunciati dal nuovo accordo OPEC+ all’inizio di aprile non entreranno infatti in vigore fino a giugno, e ad oggi il valore si calcola ancora sulla iper-produzione causata dalla recente guerra dei prezzi tra Russia e Arabia Saudita. Questa ha portato sul mercato ogni giorno oltre 3 milioni in più di barili, in un momento in cui la domanda era in picchiata: una picchiata che sembra non potersi arrestare in breve tempo. Anche i tagli annunciati da OPEC+ dopo la riappacificazione tra Riyadh e Mosca (che ha portato a tagli per 10 milioni di barili, i più ingenti nella breve storia di OPEC+) sembrano bruscolini in confronto al crollo della domanda di quest’anno, previsto per quasi il doppio. Il risultato è che il petrolio non smetterà di accumularsi nei magazzini e sulle petroliere nemmeno dopo l’entrata in vigore dei tagli concordati a inizio aprile. Quando aerei e automobili saranno nuovamente liberi di muoversi ai livelli precedenti alla crisi – ovvero verosimilmente tra non meno di un anno – centinaia di milioni, se non miliardi, di barili si saranno ammassati in ogni spazio possibile in gran parte del mondo, con prezzi di stoccaggio nel frattempo saliti alle stelle. Ciò significa che se anche la domanda dovesse tornare pienamente ai livelli pre-crisi nell’arco di un anno – cosa da non dare per scontata, visti i profondi cambiamenti di abitudini che questi mesi stanno comportando – non solo il mercato avrà a disposizione la sua “offerta naturale” (ovvero la produzione giornaliera normale), ma anche una riserva gigantesca di petrolio accumulato nell’anno precedente che impiegherà mesi, se non anni, per essere smaltito totalmente.

Queste scorte enormi non saranno nient’altro che l’ennesimo enorme peso che graverà su prezzi già alle prese con la probabile profonda crisi economica post-Covid19, trascinandoli in basso per mesi e anni anche quando (speriamo) il coronavirus sarà diventato un lontano ricordo buono per racconti e serie televisive. Le conseguenze sono al momento imprevedibili, ma sicuramente questa prospettiva non sta concedendo sonni tranquilli ai leader dei principali paesi produttori, a cominciare da monarchie del Golfo e Russia. Anni di prezzi ai minimi storici sono una ipoteca pesantissima sui grandi progetti di diversificazione economica e rilancio dell’economia. E, a ben guardare, sulla stessa stabilità politica di regimi e governi che pensavamo eterni e inscalfibili.

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