15 Gen 2020

Accordo USA-Cina: una tregua nella guerra commerciale?

La “prima fase” del deal

Le guerre commerciali non sono affatto semplici né da gestire né da vincere, come sta scoprendo il Presidente Donald Trump a spese dell’economia americana e di vari altri paesi. Dopo un anno e mezzo di dazi annunciati e introdotti, tweet spesso contraddittori e politiche ondivaghe che hanno creato non pochi sobbalzi nella borsa americana, sono emersi diversi segnali negativi. Il deficit commerciale USA verso il mondo non è diminuito, gli scambi americani verso la Cina sono scesi sia come esportazioni e importazioni – ma con una modesta riduzione del disavanzo verso questo paese – sia come investimenti diretti, penalizzando in modo particolare gli agricoltori americani e le imprese coinvolte nelle catene di produzione internazionali. In più, gli ultimi dati registrano una diminuzione dei posti di lavoro in USA e l’economia americana nel complesso mostra alcuni segni di possibile rallentamento.

A fronte di ciò che accade in USA, le importazioni totali cinesi sono diminuite nel 2019 per la prima volta da quando la guerra commerciale ha preso il sopravvento, e  gli Stati Uniti che sono scivolati al terzo posto tra i maggiori partner commerciali della Cina, dietro l’UE e l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN). Il commercio cinese con gli Stati Uniti è in forte calo, con le esportazioni in calo del 13% e le importazioni in calo del 21%. Invece, le esportazioni complessive della Cina nel 2019 risultano in leggerissimo aumento, facendo aumentare nuovamente l’avanzo commerciale cinese.

Forse anche alla luce di questi risultati economici, lo scorso dicembre 2019, Trump ha annunciato un accordo preliminare con la Cina (un accordo “di prima fase”), con l’intento di riaprire il tavolo delle trattative. Con l’accordo di dicembre, Trump aveva cancellato l’ipotesi di tassare altri $160 miliardi di importazioni, pur mantenendo le tariffe su 360 miliardi di dollari di beni cinesi (di questi Trump ridurrà però dal 15% al 7,5% i dazi su $110-120 miliardi). In cambio, la Cina ha accettato di importare più beni agricoli dagli USA, di applicare protezioni più forti per la proprietà intellettuale americana, di aprire i suoi mercati alle istituzioni finanziarie americane e di impegnarsi per una maggiore trasparenza nella gestione della propria valuta. L’accordo era stato accolto con notevole sollievo dai mercati.

Tuttavia, i contenuti dell’attuale accordo appaiono ancora molto vaghi, e dal lato cinese è difficile parlare di vere concessioni. Per esempio, l’impegno cinese a non svalutare la propria moneta, che ha anche consentito che  il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti rimuovesse la designazione della Cina come manipolatore di valuta, in realtà rispecchia solo una tendenza in atto e le intenzioni già in essere del governo cinese. Le promesse cinesi poi non hanno toccato uno dei punti di maggiore tensione tra I due paesi, ovvero i sussidi erogati dal governo cinese alle proprie imprese anche per favorire le esportazioni, un punto su cui la Cina non sembra disposta ad arretrare. Quindi, anche se potrebbe segnare un cambio di linea nelle politiche commerciali USA e riaprire il dialogo tra i due paesi, l’accordo attuale difficilmente avrà effetti sostanziali dal punto di vista economico, e non altera la politica economica cinese. Se il dialogo proseguirà, è possibile che la “fase due” (per la quale però non ci sono ancora tempistiche definite) produca risultati più concreti. 

L’accordo con la Cina però fornisce a Trump una vittoria politica che può annunciare al suo elettorato.  L’attacco alla Cina è stato una delle caratteristiche distintive della posizione del presidente americano, che ha trascorso gran parte del suo primo mandato trattandola come nemico e minacciando di tassare tutte le sue importazioni. Ma gli scarsi risultati ottenuti finora nei confronti dell’atteggiamento cinese, e  i sondaggi che hanno mostrato che il costo delle tariffe si stava abbattendo sulla sua base elettorale, probabilmente lo hanno spinto a concludere un accordo intermedio per avere un risultato spendibile nell’anno delle elezioni.  Questo cambio di atteggiamento priva però Trump di un nemico esterno da incolpare. Scagliarsi contro la Cina è una tradizione consolidata per repubblicani e democratici negli anni elettorali. Non è quindi da escludere che nell’anno in corso sia abbia un nuovo capovolgimento di fronte.

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