21 Apr 2020

Israele: governo d’emergenza, un’altra vittoria per Bibi

Dopo la crisi

Dopo diciassette mesi di governo di transizione e tre elezioni legislative, la più lunga crisi politica nella storia di Israele si è conclusa con la formazione di un governo di unità nazionale tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il leader del partito Blu e bianco Benny Gantz. L’accordo tra i due è giunto in piena emergenza Covid-19 e a un mese e mezzo dalle elezioni del 2 marzo, quando, di fronte al fallimento dei precedenti tentativi di formare un esecutivo di unità nazionale, il presidente Reuven Rivlin ha prospettato lo svolgimento di una ennesima consultazione elettorale a inizio agosto in mancanza di una soluzione di compromesso entro il 7 maggio.

Secondo l’accordo, Netanyahu rimarrà in carica per altri 18 mesi. In questa fase Gantz vestirà i panni del vice premier e di ministro della Difesa, per poi ricoprire l’incarico di primo ministro a partire da ottobre 2021.

Il nuovo governo dovrebbe includere, oltre Likud e Blue e Bianchi, Shas, United Torah Judaism, Labor e Gesher, mentre non è ancora chiara la posizione di Yamina. Sarà un esecutivo ampio anche nei numeri: 36 ministri e 16 vice ministri. Nella spartizione dei ministeri al Likud spetterebbero Finanze, Salute, Sicurezza interna, Costruzioni, Trasporti e Istruzione, mentre al partito di Gantz andranno Difesa, Affari Esteri, Giustizia, Economia, Comunicazioni e Cultura.

Proprio l’elevato numero dei componenti del nuovo esecutivo, e i costi a esso connessi, è una delle critiche sollevate nei confronti dell’accordo. Al di là di ciò permangono molti dubbi anche su altre questioni non meno cruciali per la durata del futuro governo: dall’eterogeneità dei partiti alla possibile condivisione di obiettivi politici, nonché il rischio, sempre dietro l’angolo, che Netanyahu disattenda agli accordi e rimanga al potere anche oltre il 2021. Un aspetto, quest’ultimo, non di poco conto se anche all’interno del Likud sono in tanti a pensare che il premier rimarrà lui anche dopo i fatidici 18 mesi.

Cosa potrebbe favorire questo tipo di calcolo? Le ipotesi sono essenzialmente due: da un lato una ferma volontà di Netanyahu, dall’altro un puro calcolo politico. In entrambi i casi, il premier potrebbe decidere di non abdicare al suo ruolo se non sarà stato prima in grado di mettere in sicurezza la sua eredità politica, ossia l’avvio del processo di annessione delle colonie ebraiche in Cisgiordania (ed entro la fine del 2020, presumibilmente, anche della Valle del Giordano, specie se Trump sarà rieletto presidente degli Stati Uniti), e la sua stessa carriera dalla minaccia del processo a suo carico. È qui infatti che emerge la principale variabile in gioco, la nomina di un nuovo procuratore generale. In base all’accordo firmato con il suo rivale Gantz, il Likud – e nella fattispecie Netanyahu – può nominare tutti o buona parte dei rappresentanti della Commissione delle nomine giudiziarie. Un’operazione che permetterebbe di ampliare le mire di Bibi perfino alla Corte suprema. Questo fungerebbe da garanzia politica anche per il futuro, visto che nel maggio 2021 il mandato di Rivlin scadrà e non è impensabile ipotizzare che l’interesse di Netanyahu verta proprio sulla carica presidenziale. Benché rivesta un ruolo cerimoniale e simbolico nel panorama politico nazionale, il presidente della Repubblica gode dell’immunità dai processi. Va da sé che questa ipotesi sarebbe ottimale per Netanyahu nel caso in cui, rispetto all’accordo di rotazione al potere con Gantz, concorra come candidato del Likud e venga eletto dal parlamento a maggioranza (i numeri al momento sono dalla sua parte) per fermare i procedimenti a suo carico o influenzare i decisori politici nel cercare di bloccare gli iter giudiziari pendenti.

Di fatto, da questa situazione Netanyahu esce pienamente vincitore e in grado di assicurarsi un futuro politico se non radioso, quanto meno vantaggioso. L’unica variante in grado di minare tale scenario favorevole è Gantz, e quel che rimane del suo partito, nonostante la sua immagine politica sia stata notevolmente indebolita a seguito dell’accordo raggiunto con il premier in carica. In effetti, i demeriti di Gantz, non solo in campagna elettorale, sono stati tanti, dimostrando poca chiarezza su tutti i temi cardine della politica israeliana, dall’accusa di corruzione nei confronti di Netanyahu alle questioni relative al processo di pace in Cisgiordania (annessione unilaterale alla maniera di Netanyahu o tentare un certo grado di coinvolgimento dei palestinesi?). A ciò si aggiunge anche il contesto nazionale influenzato dalle pressioni politiche presidenziali per evitare un quarto voto in agosto, la crisi sanitaria causata dall’epidemia di coronavirus – che ha accelerato la risoluzione della crisi politica –, nonché la possibilità concreta di vedersi prosciugato anche quel bottino elettorale conseguito il 2 marzo, specie dopo le proteste e le polemiche interne al suo partito che si è spaccato con una parte consistente legata a Yair Lapid e all’ex ministro della Difesa Moshe Yaalon, che si sono chiamati fuori dal compromesso.

In sostanza, tutti questi fattori hanno forse spinto Gantz a trovare un accordo poco vantaggioso per la sua parte, confermando la grande astuzia politica di Netanyahu come leader forte. Ciononostante e se sarà in grado di giocarsi bene le poche carte rimaste a sua disposizione, Gantz ha la possibilità di rendere quanto più possibile difficile il percorso al premier in carica. Infatti, Blu e bianco gestirà il ministero della Giustizia attraverso il suo rappresentante, Avi Nissenkorn. In questa prospettiva, tale dicastero è fondamentale per Gantz, perché gli permetterà di non far finire nel dimenticatoio i processi che vedono imputato proprio Netanyahu. In attesa di capire se il governo avrà vita lunga o meno, Gantz dovrà provare a serrare le fila, impedire sdoganamenti del suo partito verso il Likud e non porsi come un attore subalterno a Netanyahu.

Vedremo dunque se Netanyahu si confermerà quel formidabile animale politico in grado di cannibalizzare i propri avversari o incapperà in un passo falso improvviso. Di sicuro in uno scenario simile, vi è una certezza: dopo quasi un anno e mezzo, Israele, comunque vada, avrà un governo. Il tempo e le iniziative dei singoli leader ci diranno se questo esecutivo sarà anche qualcosa di più di un semplice compromesso.

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