28 Gen 2020

Israele-Palestina: Trump presenta il suo “Accordo del secolo”

Daily focus

Nel suo ‘Accordo del secolo’ il presidente americano propone il congelamento delle colonie israeliane per quattro anni. E il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.

 

Nel novembre 2016, fresco di vittoria elettorale, Donald Trump annunciava la sua intenzione di porre fine al “conflitto infinito” tra Israeliani e Palestinesi, proponendo un accordo “che non avrebbero potuto rifiutare”. Dopo tre anni di attesa e numerose speculazioni, il piano di Jared Kushner per la pace in Medio Oriente è stato finalmente presentato. Definito da Trump “l’accordo del secolo”, il progetto prevede ampie concessioni a Israele e la creazione di uno stato smilitarizzato chiamato Nuova Palestina. Per presentarlo, il presidente americano ha convocato alla Casa Bianca il premier israeliano uscente Benjamin Nethanyahu e lo sfidante alle elezioni, il leader della coalizione Blu e bianco, Benny Gantz. Nessun rappresentante palestinese era presente nonstante l’amministrazione Trump avesse cercato più volte, nei giorni scorsi, di avere un colloquio telefonico con il presidente Mahmoud Abbas, senza successo. Lo riporta la Cnn, ricordando che l’Autorità palestinese ha rotto ogni rapporto ufficiale con la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato dopo che Trump ha dichiarato Gerusalemme capitale di Israele, nel dicembre 2017. Nel commentare il boicottaggio palestinese Mohammad Shtayyeh, leader dell’esecutivo di Ramallah, ha detto che l’iniziativa di Trump “ha il solo scopo di proteggere lui dall’impeachment, e Netanyahu dalla prigione”. In Cisgiordania e a Gaza, l’accordo è stato accolto dalla ‘Giornata della collera palestinese’.

 

Cos’ha detto Trump?

 

“La gente in Medio Oriente, soprattutto i giovani, sono pronti per un futuro migliore”: lo ha detto Donald Trump presentando oggi il suo piano per il Medio Oriente. “Quello di oggi è un grande passo verso la pace” ha affermato Trump, aggiungendo che “Gerusalemme è e rimane la capitale indivisa dello Stato d’Israele” ma che “gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con tutti coloro che vogliono la pace”. Per i Palestinesi, ha aggiunto il presidente Usa “è ora di correggere gli errori fatti nel passato” e questa “potrebbe essere l’ultima occasione”. Il piano prevede 50 miliardi di investimenti per lo sviluppo dei territori palestinesi, ha aggiunto, assicurando che “ci sono molti paesi pronti ad investire”.

 

Cosa prevede il piano?

 

Durante la conferenza stampa con Netanyahu, Trump entra nei dettagli delle 80 pagine di accordo e assicura che Gerusalemme resterà la capitale indivisibile di Israele, allo stesso tempo promette ai palestinesi che il futuro Stato potrà stabilire la capitale nei quartieri arabi della città e gli Stati Uniti vi apriranno l’ambasciata. Regala agli israeliani la possibilità di estendere la sovranità alle colonie in Cisgiordania, ma chiede a Netanyahu di congelare la costruzione di insediamenti nei territori arabi per quattro anni e assicura ai palestinesi lo stesso tempo per negoziare i dettagli dell’intesa: “Se accettate, li avvisa, la porzione sotto il vostro controllo raddoppierà”. 

 

 

Cosa c’è dietro il no dei palestinesi?

 

Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (ANP), Mahmoud Abbas ha convocato una riunione d’emergenza della dirigenza palestinese a Ramallah. “Trump vuole imporci qualcosa che non vogliamo. Non mi resta molto da vivere e non voglio essere un traditore. Abbiamo detto no e continueremo a farlo, a qualsiasi accordo che non preveda la soluzione di due stati basata sui confini del 1967” ha affermato il presidente palestinese. L’Anp ha minacciato di uscire dagli Accordi di Oslo e dichiarato  che “l’unica utile ed effettiva risposta” al Piano di pace proposto da Washington è “l’immediato riconoscimento da parte della Comunità internazionale e specialmente della Ue di uno Stato palestinese entro i confini del 1967 con capitale Gerusalemme est”.

 

Strategia elettorale?

 

L’annuncio cade in una fase politica delicatissima per Israele e Stati Uniti. Gli israeliani si recheranno al voto il 2 marzo per la terza volta in un anno dopo che Netanyahu è stato incriminato per corruzione. Il premier uscente ha voluto portare con sé a Washington i leader dei coloni, di cui fra poco più di un mese chiederà i voti. Negli stati Uniti invece Trump è sotto processo di impeachment al Senato e nel fine settimana sono filtrate nuove pesanti rivelazioni del suo ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Ma se riuscisse a far passare il suo piano, il presidente si assicura il sostegno dei cristiani evangelici al voto delle presidenziali di Novembre. Il piano di pace, insomma, è sospettato dai critici d’essere un patto elettorale tra due leader più che una compiuta strategia di pace. Oggi, a sorpresa, il premier Netanyahu ha ritirato la richiesta di immunità al parlamento accettando in tal modo di farsi processare. “Non permetterò ai miei nemici di usare le accuse contro di me per far naufragare un’opportunità storica” ha detto il premier, annunciando che domani volerà a Mosca per parlare del piano di pace con Vladimir Putin.

 

Che reazione dai paesi arabi?

 

Ma come si pongono i paesi arabi di fronte a quello che Mahmoud Abbas definisce “lo schiaffo del secolo”? Se gli Emirati e l’Arabia Saudita saranno chiamati a contribuire, per la parte economica dell’accordo e a garantire così lo sviluppo dei territori palestinesi, altri paesi temono di diventarne le “vittime collaterali”. Come la Giordania, che già nei giorni scorsi aveva messo le mani avanti. Il timore è che il piano – nel medio periodo – costituisca un semaforo verde per l’annessione unilaterale della Valle del Giordano da parte di Israele. Oggi, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza è già stata una “Giornata di collera” palestinese. Mentre in strada si bruciavano bandiere statunitensi e israeliane, il primo ministro Shtayyeh ha esortato la comunità internazionale a boicottare il piano Usa: “Non è un piano di pace – ha detto – è un complotto per liquidare la nostra causa”. Ad accordo ormai annunciato, insomma, è già chiaro che la pace tra israeliani e palestinesi è ancora lontana. Come sottolinea Noa Landau, su Haaretz, “L’accordo del secolo sembra scritto in modo tale che i palestinesi non potessero fare altro che rifiutarlo. E forse questo era il piano”.

 

 

Il Commento

Di Ugo Tramballi, senior Advisor ISPI

 

“Il piano del secolo ha tutta l’aria di essere un’operazione elettorale a svantaggio dei Palestinesi. Ma se consideriamo il fatto che negli ultimi 50 anni la strategia del boicottaggio non ha funzionato forse i palestinesi avrebbero dovuto presentarsi per andare a scoprire le carte. Dire no in modo preventivo, pur sapendo che il mediatore non rappresenta un elemento di terzietà, non porta alcun vantaggio. La realtà sul terreno è già uno status quo imprescindibile. È un fatto di cui tenere conto, a prescindere da cosa venga proposto nelle sale del potere a Washington o altrove”.

 

 

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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)

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