22 Mag 2020

La Cina post-Covid guarda al mercato interno (e a Hong Kong)

Le "due sessioni"

Certamente un’immagine suggestiva quella che il 22 maggio ha dato inizio alle “due sessioni” (liang hui), il più atteso evento annuale della vita politica cinese: il Presidente Xi Jinping a capo chino tra l’oro e il rosso della Grande sala del popolo a Pechino e alle sue spalle i 2.200 membri della Conferenza politica consultiva del popolo, mascherina sul viso e cartellino identificativo sul petto, rigorosamente scarlatto. La Conferenza si è raccolta in un momento di silenzio per onorare le vittime di Covid-19 prima di dare il via ai lavori.  È la pandemia, questo è chiaro, a scandire le priorità del vertice di quest’anno. Ed è sempre la pandemia ad aver ha già rivoluzionato la “Cina del dopo”: il paese ha rinunciato a qualsiasi target di crescita economica per l’anno corrente e ha adottato un’ingombrante legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong che sarà ora implementata dal Comitato Permanente.Una mossa che ha immediatamente riacceso le proteste nelle strade dell'importante hub finanziario (con numerosi arresti) e provocato negli USA una dura reazione dell'amminstazione Trump.

Le due sessioni sono un avvenimento estremamente articolato che di solito si tiene a inizio marzo e prosegue per un paio di settimane. A causa del rischio di contagio, quest’anno è stato rimandato di quasi tre mesi, condensato in soli otto giorni e ridotto in termini di presenza dei media. Una riduzione, quest’ultima, non di poco conto, se consideriamo che le due sessioni sono l’unica occasione in cui i giornalisti cinesi possono evitare i portavoce e interfacciarsi direttamente con le alte cariche del governo, seppur solo attraverso domande concordate in precedenza. Chi esce dal seminato, rischia di mancare l’invito l’anno successivo.

La Conferenza, che dà l’avvio all’evento, è l’alto comitato consultivo del paese: l’equivalente nel sistema politico cinese al Senato delle democrazie occidentali, anche se non ha alcuna funzione legislativa. Divisa in comitati, fa proposte di policy al governo su svariati argomenti, dall’economia alla salute alla politica estera, allo scopo di rendere migliore la vita dei cittadini. Poiché è composta da membri di partiti politici, gruppi sociali e professionali, settori e altre organizzazioni civili, è l’unico organo attraverso cui la società cinese può esprimersi sul futuro del proprio paese.

Altra storia è il secondo ramo delle due sessioni, l’Assemblea nazionale del popolo, che è la legislatura cinese. La più grande al mondo, si compone di 2.957 delegati, eletti dalle province, regioni autonome, municipalità e dalle regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao. L’agenda dell’Assemblea è pre-concordata e raramente ci sono stati momenti in cui non sia stata approvata. Come ricordato da diversi osservatori, il caso più eclatante è stato quello sulla costruzione della “Diga delle tre gole”, controverso progetto a gravità idroelettrica capitanato dall’ex-premier Li Peng, contro il quale avevano votato o si erano astenuti quasi un terzo dei delegati dell’Assemblea nel 1992: un evento più unico che raro.

L’Assemblea e la “Cina del dopo”

L’Assemblea ci ha fornito una buona base per capire che aspetto avrà la Cina nel post Covid-19. Partiamo dall’economia: durante l’attesissimo intervento del premier Li Keqiang, non è stato comunicato alcun obiettivo annuale di crescita dell’economia cinese. Li ha infatti annunciato che nel breve periodo “la Cina si troverà ad affrontare sfide senza precedenti”, tra cui l’evolversi della pandemia e le incertezze che avvolgono il futuro dell’economia e del commercio internazionale. Per facilitare la ripresa nazionale, Pechino ha guardato alla politica fiscale, prevista come più proattiva per l’anno a venire, e quella monetaria che sarà invece più flessibile. Chiaro è che la Cina pensa a una ripresa focalizzata soprattutto sull’economia nazionale, non su quella mondiale.

Dobbiamo quindi rassegnarci ad abbandonare l’ideale lasciatoci dalla crisi finanziaria del 2007-08 di uno stimolo cinese vantaggioso per tutti poiché, pur di raggiungere il seppur minimo tasso di crescita previsto dal Fondo monetario internazionale (circa +1,2%), Pechino dovrà fare per sé e accelerare i piani per rendere l’economia sempre meno incentrata sulle esportazioni e più sui consumi interni. Non a caso, per stimolare i consumi, saranno emessi bond speciali destinati ai governi locali pari a circa 482 milioni di euro, destinati a progetti infrastrutturali e di urbanizzazione. Gli investimenti, invece, daranno priorità alle “nuove infrastrutture” come le reti 5G e tutto il mondo digitale, al rinnovamento di quasi 40.000 comunità residenziali sparse in tutto il paese e allo sviluppo di nuovi sistemi di trasporto e conservazione dell’acqua. Riguardo alla guerra commerciale con gli Stati Uniti, Pechino si è detta disposta a portare avanti i termini dell’accordo di “fase uno” firmato lo scorso gennaio, nonostante l’inasprirsi delle relazioni tra i due paesi negli ultimi mesi.

Tuttavia, è nell’ambito della sicurezza che si sono accese le controversie. A un tasso annuale di crescita della spesa militare tra i più bassi di sempre, è stata adottata una legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong e Macao, le due regioni amministrative speciali cinesi: un completamento del “passaggio di consegne” del 1997 e del 1999, quando le due città avevano lasciato il dominio britannico e portoghese in favore della giurisdizione cinese. A Hong Kong, i princìpi che avevano regolato il passaggio avevano dato vita alla Legge Fondamentale – quella che è comunemente nota come la “Mini-Costituzione” – il cui articolo 23 determina che “Hong Kong dovrà per parte sua promulgare delle leggi per proibire ogni atto di tradimento, secessione, sedizione, sovversione contro il Governo Centrale del Popolo, o il furto di segreti di Stato”.

Nella bozza del 1988 quest’articolo era meno preciso e indicava generalmente che la città si sarebbe dovuta fornire di una legge che punisse ogni atto di sovversione o che violasse l’unità nazionale. Tuttavia, dopo il sostegno di Hong Kong alle proteste di piazza Tienanmen, l’articolo era stato reso più preciso e restrittivo. La città non si è però fornita di una legge in tal senso. Soltanto durante un’altra crisi sanitaria, quella di SARS del 2002-03, Tung Chee-hwa, il Capo esecutivo di allora, aveva tentato di far passare una legge sulla sicurezza nazionale, ma il mezzo milione di cittadini scesi per le strade era riuscito a bloccarla. Dopo Tung, l’articolo 23 era rimasto in sospeso e anche Carrie Lam, l’attuale Capo esecutivo, aveva pubblicamente dichiarato che tale legge avrebbe necessitato del “contesto sociale adeguato” per essere adottata.

Hong Kong e Taiwan: la posta in gioco

Il perché di questa scelta è piuttosto chiaro: da una parte, Hong Kong rimane un centro finanziario importantissimo per Pechino e gli effetti congiunti di proteste e lockdown hanno messo a rischio la stabilità politica ed economica della città. Dall’altra, a causa della pandemia, Pechino è ora in difficoltà a rispettare i termini dei suoi grandi obiettivi strategici, in primis quello trasformare il paese in una “società moderatamente prospera” entro il 2021. Pertanto, con questa legge, Pechino dà una spinta al secondo obiettivo, quello di raggiungere la “riunificazione nazionale” entro il 2049, guardando a Hong Kong, Macao e Taiwan. Li Keqiang ha infatti affermato di “opporsi fermamente e scoraggiare qualsiasi attività separatista in cerca dell’indipendenza di Taiwan” – un’affermazione che ha già suscitato l’intervento (per ora solo verbale) degli Stati Uniti, uno dei maggiori sostenitori dell’isola a livello internazionale.

Le due sessioni ci mostrano quindi una Cina che è molto più assertiva nelle sue questioni di politica interna, un paese che è spinto ad adottare il classico approccio alla stabilità come requisito imprescindibile per la ripresa. Questa ritrovata assertività, tuttavia, dipinge anche un futuro molto più incerto per l’Asia, destinata ora a ondate di instabilità regionale invece che di cooperazione, di fatto in completa opposizione alle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali per fronteggiare efficacemente il lascito di Covid-19.

 

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