30 Mar 2020

Il matrimonio d’interesse tra Turchia e Libia

La Libia ha assunto una grande centralità per la politica estera della Turchia nell’ultimo anno. Dallo scorso gennaio, centinaia di truppe turche e milizie paramilitari sono presenti sul terreno per sostenere il governo di Tripoli (GNA), guidato dal primo minsitro Fayez al-Sarraj, e fermare l’avanzata del Maresciallo ribelle Khalifa Haftar. Tale intervento è stato successivo […]

La Libia ha assunto una grande centralità per la politica estera della Turchia nell’ultimo anno. Dallo scorso gennaio, centinaia di truppe turche e milizie paramilitari sono presenti sul terreno per sostenere il governo di Tripoli (GNA), guidato dal primo minsitro Fayez al-Sarraj, e fermare l’avanzata del Maresciallo ribelle Khalifa Haftar. Tale intervento è stato successivo di solo un mese alla firma di un trattato tra la Turchia e il governo di Tripoli relativo alla definizione delle zone economiche esclusive (ZEE), ossia le aree del Mediterraneo in cui sarà possibile per questi paesi sfruttare le risorse naturali. La coincidenza temporale rivela una probabile logica di scambio tra i due governi: Tripoli sostiene le ambizioni energetiche di Ankara nel Mediterraneo; Ankara offre supporto politico e militare a Tripoli. Per comprendere l’importanza della Libia per la strategia energetica della Turchia è utile analizzare l’impatto dell’accordo per il Mediterraneo orientale e la strategia turca nella regione. In questo senso, è utile definire l’obiettivo primario del presidente Recep Tayyip Erdogan per quanto riguarda la politica energetica nel mediterraneo: conservare e rafforzare il ruolo della Turchia come anello di congiunzione tra le aree di produzione mediorientali e quelle di consumo europee.

Per comprendere il ruolo della Libia in questa strategia è necessario partire da un’analisi dell’attuale contesto del Mediterraneo Orientale. Questa zona di mare è stata caratterizzata da una serie di ritrovamenti di gas tra Egitto, Cipro e Israele. Più nel dettaglio, Israele ha scoperto la presenza di alte quantità di gas nei giacimenti di Leviathan (450 miliardi di m3), Tamar (318 miliardi di m3), Dalit (55 miliardi di m3), e Karish (55 miliardi di m3). Cipro potrà esportare gran parte del gas prodotto nei giacimenti di Afrodite (circa 129 miliardi di m3) e Calipso (con un potenziale di 170-230 miliardi di m3); l’Egitto riuscirà a coprire il suo fabbisogno annuale di gas grazie al giacimento di Zohr (circa 850 miliardi di m3) e dovrebbe esportarne una certa quantità nei prossimi anni prodotto in altri giacimenti. In particolare, l’Egitto riuscirebbe a diventare uno dei principali paesi esportatori del Mediterraneo qualora si confermasse che il giacimento di Noor abbia una quantità di gas addirittura superiore a Zohr. Nonostante questa abbondanza di gas, non sarà semplice per questi paesi esportare il materiale estratto. Una possibilità è quella di sfruttare gli impianti egiziani di liquefazione di Idku e Damietta ed utilizzare le navi metaniere per trasportare il gas in forma liquida verso i porti dei paesi consumatori. Tuttavia, tale soluzione è poco realistica in un periodo di prezzi bassi del gas come quello attuale. Il problema è legato agli alti costi di estrazione dai giacimenti nel Mediterraneo orientale, spesso localizzati in profondità. Un’indicazione sui costi di produzione arriva dal recente accorto tra le aziende che stanno estraendo il gas di Leviathan e la Giordania per la vendita di 3 Bcm annuali di gas a 6 dollari per milione di unità termali britanniche (MMBtu)[1]. Partendo dall’ovvio presupposto che le compagnie intendano realizzare un profitto e che ci siano dei costi legati al trasporto del gas, è possibile ipotizzare che sia difficile vendere il gas a prezzi inferiori a circa 4,5-5 dollari per MMBtu nei mercati europei. Per offrire un termine di comparazione, le stime del costo globale alla vendita dell’Amministrazione di informazione energetica (EIA) indicano un prezzo del gas globale di circa 4 dollari per MMBtu tra il 2020 e i 2035 e di 5 dollari dal 2035[2]. Ciò renderebbe il gas del mediterraneo orientale poco competitivo nei mercati globali.

Un’alternativa per l’esportazione di gas dal Mediterraneo orientale è la realizzazione di un gasdotto. Inizialmente si era parlato di connettere questa zona alla Turchia e di trasportare il gas attraverso il TAP-TANAP in Italia, ma tale ipotesi è stata sostanzialmente abbandonata. I paesi europei temono di dipendere troppo dalla Turchia per quanto riguarda i loro approvvigionamenti energetici e nessuno dei paesi produttori (Egitto, Israele, Cipro) ha rapporti amichevoli con Ankara. Il progetto su cui puntano i governi della regione è di costruire il gasdotto EastMed: un’infrastruttura con una capacità di trasporto di 10 bcm (miliardi di metri3 di gas annuali) che dovrebbe portare il gas del Mediterraneo orientale in Grecia[3], e probabilmente in un secondo tempo in Italia. Tale opera consentirebbe a questi paesi di ridurre i prezzi di trasporto e di ottenere una rendita sicura che non risenta troppo dalle fluttuazioni di prezzo dopo la realizzazione. Tuttavia, esistono forti perplessità per quanto riguarda la sostenibilità economica dell’opera in relazione agli alti costi di realizzazione. Un accordo preliminare è stato comunque già raggiunto tra Atene, Tel Aviv e Cipro. Ciò significa che ci sono concrete possibilità che effettivamente si scelga di realizzare il gasdotto, anche perché ciò permetterebbe ai paesi europei di diversificare gli approvvigionamenti e ridurre la dipendenza dalla Russia. Per la Turchia tale gasdotto rappresenterebbe una sconfitta politica, in quanto consente all’Italia e alla Grecia di competere con Ankara per quanto riguarda il ruolo di anello di congiunzione tra aree di produzione mediorientali e consumo europee. L’accordo con la Libia ha la funzione di ostacolare questo progetto, consentendo ad Ankara di avanzare dei pretesti legali per rallentare l’opera. Come è possibile osservare nella mappa sottostante, la zona ZEE della Turchia e della Libia confinerebbero tra loro e questo permetterebbe ad Ankara di ostacolare il progetto, in quanto il gasdotto dovrebbe necessariamente passare da una di queste zone. Nonostante l’accordo non sia riconosciuto da altri paesi e la Turchia non abbia firmato la convenzione di Montego Bay del 1982 (Unclos), che è per prassi alla base delle delimitazioni internazionali delle ZEE, Ankara potrebbe reclamare queste zone come parte della sua area di sfruttamento esclusivo e sollevare cavilli di vario tipo (ambientale, legale) per rendere il progetto più lungo e quindi più costoso.

Inoltre, la firma dell’accordo tra Turchia e Libia consente, dal punto di vista di Ankara, di condurre varie esplorazioni nella regione. Qualora venisse scoperto del gas in una qualche zona della ZEE turca, sarebbe possibile per questo paese chiedere di partecipare ai meccanismi di decisione sullo sfruttamento del gas nella regione, diventando uno dei paesi produttori di gas. In questo senso, l’accordo con la Libia ha la finalità per Ankara di sedere al tavolo delle decisioni nel Mediterraneo orientale con l’obiettivo di tutelare i propri interessi energetici. In questo senso, la Turchia vede nella Libia il principale alleato regionale nel Mediterraneo orientale, anche in ragione della comune rivalità di Tripoli e Ankara nei confronti del Cairo. La Turchia ha saputo perciò trarre profitto dalla debolezza italiana, che ha progressivamente abbandonato il ruolo di principale sostenitore del governo di Tripoli per ritagliarsi uno spazio di paese mediatore tra Haftar e Serraj. Non è improbabile che il sostegno della Turchia possa essere ripagato nei prossimi anni anche da un punto di vista economico, consentendo alle aziende turche di operare in maniera crescente nel settore della produzione energetica libica e delle infrastrutture. Tale strategia avrebbe il vantaggio di consentire alla Turchia di ottenere un peso politico crescente in Libia, aumentando il suo peso negoziale nei confronti dei paesi europei sia attraverso la leva energetica e della gestione dei flussi migratori. Tale strategia simile in Siria ha portato Ankara ad essere considerato un paese indispensabile dai principali stati europei nonostante alcune scelte contrarie ai loro interessi, a partire dalla sospensione di fatto della gestione congiunta dei flussi di rifugiati dalla Libia.

In conclusione, la politica estera turca in Libia si spiega anche con la strategia di Ankara nel settore energetico e le ambizioni regionali della Turchia nel Mediterraneo orientale. È una strategia lucida e coerente, basata sulla convinzione che i rapporti della Turchia con i paesi del Mediterraneo orientale siano compromessi e sull’assunto che sia perciò più conveniente ostacolare la cooperazione regionale e l’esportazione di gas verso l’Europa. Tale visione politica ha inoltre l’obiettivo implicito di impedire all’Italia e alla Grecia di competere con la Turchia per quanto riguarda il ruolo di ponte energetico tra la sponda est e nord del Mediterraneo. Fino a questo momento gli eventi sembrano avere dato ragione ad Ankara. L’Italia non ha ancora preso una decisione chiara sul gasdotto EastMed e la strategia libica di Roma non ha consentito al nostro paese di rafforzare il suo ruolo. Tuttavia, esistono ancora i presupposti per un’iniziativa dell’Italia e degli altri paesi europei nella regione, con l’obiettivo di sfruttare le opportunità politiche ed economiche nella zona del mediterraneo orientale e organizzare una risposta efficace alla strategia di Ankara in Libia.

 

 

 

H. Cohen, Leviathan submits first-phase development plan, Globes, 29 settembre 2014.

International Energy Agency (Iea), Annual Energy Outlook 2019, 24 gennaio 2019.

A. Koutantou, “Greece, Israel, Cyprus sign EastMed gas pipeline deal”, Reuters, 2 gennaio 2020.

 

 

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