19 Dic 2019

Turchia sul fronte Libia con armi e gas

Ankara verso l'intervento

Nelle ultime due settimane la Turchia è emersa come attore sempre più assertivo in Libia. L’impegno di Ankara al fianco del governo di Fayez al-Serraj non è certo una novità. Da anni infatti la Turchia è, insieme al Qatar, l’unico paese della regione a sostenere il governo di unità nazionale (GNA) di Tripoli in contrapposizione al generale Khalifa Haftar. Tuttavia, l’attivismo turco sta destando non poche preoccupazioni negli stati del Mediterraneo orientale e in Europa, in particolare dopo la firma di due accordi gravidi di conseguenze tanto in ambito regionale quanto nella crisi libica.

Con l’accordo di fine novembre sulla definizione di nuovi confini marittimi con la Libia – che riguardano un’area che va dalla parte sud-occidentale della penisola anatolica alle coste nord-orientali del paese nordafricano – la Turchia ha voluto mettere un’ulteriore bandierina sulla questione della delimitazione delle contese acque territoriali attorno all’isola di Cipro e soprattutto sullo sfruttamento delle ingenti risorse di gas che in quelle acque si trovano. Da anni infatti Ankara chiede, a nome della Repubblica turca di Cipro Nord riconosciuta dalla sola Turchia, che ci sia uno sfruttamento congiunto delle risorse di gas su cui la Repubblica di Cipro, sostenuta dalla Grecia, rivendica i propri diritti in quella che considera la sua Zona economica esclusiva. Ciò non ha comunque frenato Ankara dall’inviare proprie navi di perforazione (scortate da navi militari) al largo di Cipro e condurre esplorazioni, ben quattro nell’ultimo anno, provocando forti tensioni non solo con i governi di Atene e Nicosia ma anche con le compagnie petrolifere straniere che operano in quelle acque.

Al di là di Grecia e Cipro, Ankara ha voluto anche dare un segnale forte a tutti gli altri stati – Egitto, Giordania, Israele e Italia – che a inizio 2019 hanno costituito l’Eastern Mediterranean Gas Forum per lo sviluppo congiunto degli idrocarburi, esplicitando che nella partita del gas del Mediterraneo orientale la Turchia è intenzionata a giocare la sua parte, anche con regole del gioco non condivise, e a non lasciarsi marginalizzare. Ankara punta così a rendere più difficile un ambizioso progetto per la costruzione di un gasdotto marittimo che coinvolgerebbe Egitto, Israele, Cipro e Grecia, e che quindi taglierebbe fuori la Turchia. Seppur la legittimità sia alquanto discutibile a livello internazionale, questo accordo coinvolge una parte di mare attraverso la quale dovrebbe passare il gasdotto rendendo assai difficile fare questo tipo di operazione.

In un contesto regionale poco favorevole, la Turchia cerca dunque la sponda di quegli attori, come al-Sarraj, disposti a fare il suo gioco in cambio di appoggio politico e soprattutto militare. L’intesa militare firmata a metà dicembre, che si colloca nel solco di una cooperazione già in atto da tempo, prevede infatti che Tripoli possa richiedere ad Ankara veicoli, attrezzature e armi per operazioni terrestri, navali e aeree. Non è chiaro se questo possa comportare anche l’eventuale invio di “boots on the ground” turchi sul suolo libico e neanche quale sarebbe il vantaggio per la Turchia da un coinvolgimento anche sul fronte di guerra libico, dopo quello siriano.

Negli ultimi mesi il coinvolgimento degli attori regionali (in particolare Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto opposti a Turchia e Qatar) nella crisi libica, anche dal punto di vista militare, è diventato considerevole. Il conflitto ha assunto sempre più i connotati di una guerra per procura tra questi attori che, non senza spregiudicatezza (e in violazione dell’embargo ONU sulle armi), stanno rifornendo di mezzi militari sofisticati le due fazioni contendenti, mentre la presenza di mercenari sembra supplire alla carenza di manodopera militare. Le motivazioni dietro a questo confronto regionale sono diverse: da una legittima ricerca di sicurezza alle ambizioni geopolitiche, sino al confronto ideologico pro o contro la Fratellanza musulmana che caratterizza lo scontro tra le due parti.

L’azione della Turchia è stata sostanzialmente permessa dall’inazione degli attori occidentali nell’ultimo anno. Se gli Stati Uniti si sono manifestati sempre meno interessati alle vicende del paese nord-africano, evitando di essere coinvolti in maniera importante, l’Europa sta cercando di tenere una posizione unitaria nascondendo le diverse pulsioni di Italia e Francia. La comunità internazionale progetta di organizzare un nuovo vertice per sciogliere l’impasse libica, da tenersi a fine gennaio a Berlino. La Germania si è infatti offerta di ospitare la conferenza internazionale sulla Libia. In questo stallo internazionale Erdogan è stato capace di avvantaggiarsi stabilendo una partnership privilegiata con Serraj e divenendo il maggior difensore del governo delle Nazioni Unite dall’attacco che il generale Haftar ha portato a Tripoli il 4 aprile scorso.

Non sorprende dunque che nell’inazione e nelle divisioni europee la crisi libica sia diventata sempre più un “affare” di altri, in primis Turchia e Russia. Quando il prossimo 8 gennaio Erdogan incontrerà Vladimir Putin a Istanbul la Libia sarà infatti il primo punto all’ordine del giorno.

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