22 Mag 2019

Scontro USA-Cina: il dossier Huawei

Focus

A pochi giorni dalla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di alzare i dazi su 200 miliardi di importazioni provenienti dalla Cina, le tensioni tra i due paesi non smettono di acuirsi: dal commercio si passa ad un altro dossier, quello relativo a Huawei che si è vista sospendere le consegne di hardware e software provenienti dai principali fornitori americani. Ma come siamo arrivati a questo punto? Perché Huawei è al centro delle contese tra Cina e Stati Uniti? Che effetto avranno le decisioni americane su Cina, USA e loro alleati? E quali scenari per il prossimo futuro di quella che oramai è divenuta una partita a poker fatta di rilanci e qualche bluff da parte dei due contendenti alla ricerca della mano vincente?

 

Come siamo arrivati a questo punto?

Quasi a configurarsi come una ritorsione nei confronti della Cina a seguito dei fallimenti dei negoziati in corso ormai da tempo tra i due paesi, l’amministrazione americana ha risposto lanciando tra il 15 e il 16 maggio un’offensiva in due mosse. La prima è stata la firma di un ordine esecutivo con cui si vieta alle imprese americane di acquistare, utilizzare o trattare qualsiasi prodotto o servizio della Information and Communications Technology (ICT) proveniente da un foreign adversary. Questa misura, in cantiere sin dall’epoca dell’amministrazione Obama, risponde alle crescenti preoccupazioni sui rischi per la sicurezza nazionale legati al controllo da parte di entità straniere “ostili” di qualsiasi hardware, software o altro prodotto o servizio destinato principalmente al trattamento e gestione di informazioni e dati sia nel settore pubblico che nel settore privato. Si tratta, tuttavia, di una misura ancora sulla carta che necessiterà di tempo per la sua attuazione ma che crea già da ora le condizioni giuridiche per permettere allo Stato un controllo più incisivo sul settore ICT.  Più specifica è invece la seconda misura  con la quale il Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio  ha inserito Huawei e 68 sue affiliate nella Entity list, una specie di lista nera di compagnie estere con le quali società americane possono fare affari solo previa autorizzazione da parte del dipartimento del Commercio. Questa misura, che ha spinto non solo Google ma anche altri grandi player americani come Intel, Qualcomm, Xilinx e Broadcom a sospendere le proprie forniture di hardware e software verso Huawei, è stata tuttavia temporaneamente posta in stand-by per un periodo di 90 giorni.

 

Perché Huawei è al centro delle contese Cina USA?

Fondata nel 1987, nel pieno della stagione di apertura e riforme inaugurata da Deng Xiaoping, Huawei è riuscita ad affermarsi progressivamente come uno dei maggiori player nel campo delle telecomunicazioni grazie ad ingenti investimenti nella ricerca e alla capacità di stabilire forti partnership internazionali.  La prima area del business è infatti costituita proprio dalla componentistica fornita ai vettori di telecomunicazioni, ambito in cui è diventata uno dei leader a livello globale. La seconda area riguarda invece la posa e gestione dei cavi sottomarini dove la società è presente sin dal 2009 con la Huawei Marine Network. Un ambito da sempre considerato “sensibile” e strategico essendo il canale attraverso cui transitano il 95% delle comunicazioni e dei dati transcontinentali. La terza area attiene invece alla produzione e commercializzazione di smartphone, settore in cui l’azienda è diventata il secondo produttore mondiale dopo Samsung.  Infine, Huawei è attualmente il fornitore tecnologicamente più avanzato e più competitivo nel mercato 5G, essendo per il momento l’unico attore in grado di fornire una soluzione commercializzabile, completa di tutte le componenti necessarie.

Alla luce delle aree di operazione di Huawei, due questioni strettamente collegate tra loro destano le maggiori preoccupazioni nell’amministrazione americana. La prima riguarda la possibilità che i dispositivi dell’azienda cinese vengano usati per condurre attività di sorveglianza o spionaggio sulle reti digitali americane, attraverso delle backdoors – ovvero metodi per aggirare i controlli di sicurezza e accedere a dati criptati. Rischi percepiti in misura ancor maggiore dopo l’approvazione da parte di Pechino di due provvedimenti legislativi – nel 2016 sulla cybersicurezza e nel 2017 sui servizi d’intelligence– che impongono a cittadini, organizzazioni ed imprese cinesi di fornire informazioni richieste dall’intelligence nazionale. La seconda questione è invece strettamente collegata allo sviluppo del 5G, tecnologia le cui applicazioni  nei settori più rilevanti per l’economia del futuro avranno un impatto globale di 225 miliardi di euro da qui al 2025. Utenti, aziende e istituzioni sempre più interconnesse saranno però anche più vulnerabili a interruzioni di servizio, furti di dati sensibili e attacchi cyber in grado di mettere a repentaglio l’economia e la sicurezza di un intero paese.  A questo si aggiunga la competizione relativa alla definizione degli standard di riferimento: attraverso tale processo si deciderà come le reti andranno costruite e come andranno assegnate le royalties alle varie aziende produttrici, considerando il fatto che su questo aspetto l’International Telecommunication Union adotterà infatti come standard quello di una specifica azienda, che dovrà essere successivamente seguito come riferimento dai restanti produttori.

Risulta infine problematica anche la questione relativa alla proprietà dell’azienda, controllata al 99% da un comitato di rappresentanza sindacale, la cui natura pubblica fa sorgere dubbi sul fatto che a controllare effettivamente l’azienda sia lo stato cinese.

 

Quali effetti delle decisioni di Trump sul mercato americano?

Qualora gli Stati Uniti escludessero definitivamente Huawei dal proprio territorio, gli effetti sul mercato americano sarebbero immediati. In primo luogo, il divieto danneggerebbe finanziariamente le aziende statunitensi che fanno affari con Huawei, le cui commesse negli States ammontano a più di 11 miliardi di dollari annui. La preoccupazione più immediata è per i grandi produttori di semiconduttori che riforniscono Huawei come Broadcom, Intel e Qualcomm – la quale vende tra il 5 e il 10 per cento dei suoi prodotti a Huawei e circa il 50 per cento in Cina. Ma a risentirne più duramente saranno le imprese tecnologiche americane più piccole, specializzate in nicchie di mercato come la Neophotonics, azienda californiana che produce trasmettitori di dati ad alta velocità utilizzati in particolare nelle reti 5G e che realizza quasi la metà dei suoi ricavi dalle vendite a Huawei. A beneficiarne sarebbero i competitors più prossimi di Huawei come la svedese Ericsson, la finlandese Nokia, la coreana Samsung o l’americana Cisco che potrebbero in qualche misura colmare il divario con Huawei su tutta la tecnologia o solo alcune componenti. Tutto ciò necessiterà comunque tempo e avverrà a costi più alti, con ricadute dirette sia per i vettori di telecomunicazioni americani che per i consumatori, senza considerare i possibili ritardi che tale scelta potrebbe significare per gli Stati Uniti rispetto ai molti paesi europei e asiatici che stanno progettando di introdurre le reti 5G attraverso Huawei. Infine, a soffrire della messa al bando di Huawei potrebbero essere tutte le aziende americane che già montano tecnologia e componentistica Huawei e che si ritroveranno a subire possibili ritorsioni e blocchi di forniture.

 

Quali effetti su Huawei?

L'impatto di un blocco totale di Huawei va ben oltre le sue ambizioni di dominare il mercato del 5G. Senza la tecnologia americana, i servizi di base di Huawei, gli smartphone, i server e i cablaggi marittimi non potrebbero semplicemente funzionare. In particolare, a rifornire Huawei non sono solo i grandi marchi del settore dei semiconduttori ma  anche, come già accennato,  piccoli fornitori in settori strategici come la Lumentum Holdings Inc. per cavi ottici; Amphenol per connettori in fibra ottica; Inphi Corp. per chip analogici; Qorvo Inc. e Analog Devices Inc. per semiconduttori a radiofrequenza in 4G e 5G; e Western Digital Corp. per lo storage. A differenza della cinese ZTE,  costretta nel 2018 a patteggiare una multa di un miliardo di dollari per "sopravvivere" e mantenere aperto l’accesso alla tecnologia americana, Huawei è meno esposta. Pur importando il 30% della propria componentistica dagli States,  ha infatti più del 40% dei suoi fornitori basati in Cina, e ha sviluppato e progettato internamente molti dei software operativi  e chip utilizzati nei propri smartphone. Qualora attuate, le decisioni americane potrebbero  spingere Huawei in una lotta per la sopravvivenza a scommettere, con cospicui aiuti statali, sul potenziamento dei settori in cui soffre ancora uno svantaggio competitivo. Nonostante i grandi passi avanti, l’impresa risulta però essere piuttosto ardua.

 

…e per il resto del mondo e l’Europa?

Consapevoli delle ricadute economiche dell’esclusione di Huawei ma anche delle più vaste conseguenze geopolitiche di un’eventuale adozione della rete 5G made in China la maggior parte dei paesi si è mossa in ordine sparso.  Posizioni che però possono essere ricomprese con un po' di approssimazione in tre categorie. La prima include i paesi che hanno seguito gli Stati Uniti nel bando totale di Huawei. Tra questi, Australia e Giappone: due paesi geograficamente vicini alla Cina e forse per questo più interessati a schierarsi sin da subito con le posizioni americane. All’estremità opposta vi sono invece paesi estremamente eterogenei tra di loro: dai paesi più vicini a Pechino o per meglio dire più lontani da Washinton, come la Russia e l’Iran, a insospettabili  “amici” degli Stati Uniti come le Filippine e la Tailandia, più propensi a considerare gli aspetti economici dell’opzione Huawei. Nel mezzo, la categoria più vasta di paesi che mantengono un atteggiamento di cautela nel valutare gli effetti economici, politici e di sicurezza nazionale legati alla scelta di ammettere Huawei nel proprio mercato 5G.

In questo contesto l’Unione Europea ha, fino ad ora, adottato un apprccio attendista. La Commissione ha ristretto il suo intervento all’adozione di raccomandazioni non vincolanti, con la richiesta agli Stati membri di condurre valutazioni nazionali di rischio, inseribili in un’analisi europea complessiva: entro fine giugno 2019, ogni Stato membro è chiamato a completare le analisi nazionali, indicando i requisiti di sicurezza a carico dei fornitori di rete. Una valutazione di rischio coordinata dovrà avvenire entro ottobre 2019 a seguito  delle valutazioni di Commissione e Agenzia europea per la cybersicurezza (ENISA). L’UE potrebbe adottare alcuni strumenti in caso di rischi specifici per la sicurezza dell’Unione, come previsto dall’EU Cybersecurity Certification Framework. Si  prevede infatti che l' ENISA emetta una certificazione unica a livello di Unione sulla sicurezza dei dispositivi connessi a internet e commercializzati nel mercato unico e nel caso in cui un dispositivo non dovesse soddisfare le condizioni di sicurezza, il prodotto potrebbe essere escluso dal territorio europeo.  Data la delicatezza e rilevanza di una scelta definitiva, gli Stati membri stanno adottando un approccio cauto, con sfumature diverse tra di essi. Se la Spagna e il Portogallo sembrano procedere verso l’autorizzazione di componentistica Huawei nelle loro reti nazionali, Francia, Germania, Regno Unito e Italia non hanno ancora optato per una scelta definitiva, sebbene sembrino orientati verso un sì condizionato.

 

Quali scenari?

I provvedimenti legislativi americani sopracitati sono delle vere e proprie bombe lanciate dall’amministrazione americana nei confronti della Cina tanto che lo stesso Trump, consapevole degli effetti che tali misure avrebbero avuto, ha atteso fino all'ultimo prima di annunciarle. Si tratta di bombe, ma con la sicura inserita. I novanta giorni di esenzione al provvedimento su Huawei sono stati infatti giustificati come necessari per permettere ai fornitori americani di conformarsi alle nuove misure, ma consentono anche a cinesi e statunitensi di tenere aperto il dialogo, a condizioni però via via più onerose per Pechino nella speranza di una sua capitolazione al tavolo negoziale. Tra le soluzioni possibili vi è quella di una replica del caso ZTE, costretta a pagare un’ingente multa pur di mantenere aperte le forniture statunitensi. Una sanzione a Huawei lascerebbe cosi aperta la possibilità per l’azienda di Shenzhen di poter accedere alla tecnologia americana, mantenendo allo stesso tempo vigile la supervisione dell’amministrazione statunitense. La multa potrebbe colpire e ritardare la capacità di Huawei di sviluppare i propri piani 5G e consentirebbe magari ai diretti competitors occidentali di recuperare il divario. Non è ancora dato sapersi però quale sarà la reazione di Pechino che nel frattempo sta già minacciando di limitare le proprie esportazioni  di terre rare, materiali strategici per l'industria americana di cui la Cina è diventata nel tempo il primo produttore al mondo.  In particolare, tutta l' elettronica cosi come la produzione di semiconduttori, fibre ottiche, sistemi di navigazione, laser, monitor carte di credito e telefoni cellulari sarebbe totalmente irrealizzabile senza questi elementi. A dipendere dalle terre rare è inoltre la produzione dei più sofisticati strumenti bellici dell'esercito statunitense e quasi tutta l'industria collegata alla "green economy", dai pannelli solari alle batterie ricaricabilli per le auto elettriche. A dispetto del nome tuttavia, questi elementi non sono affatto rari. Gli ingenti costi economici ed ambientali legati alla loro estrazione e trattamento, unito anche all'ampia disponibilità sul suolo cinese, ha consentito però alla Cina di controllare, secondo stime dell' United States Geological Survey,  oltre l'85% dell'offerta mondiale e il 78% del mercato americano.

Cosa succederà? A fine giugno, in occasione della riunione al vertice del G20 che si terrà ad Osaka si riuscirà a comprendere in maniera forse più chiara la piega che potrà prendere lo scontro tra Pechino e Washington per la ridefinizione delle regole del gioco del nuovo ordine internazionale.

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