16 Set 2019

Etiopia: la sorprendente leadership di Abiy Ahmed

Nobel per la pace

Nel febbraio del 2018, nel mezzo di una crisi politica, in pochi avrebbero previsto il radicale cambiamento politico che l’Etiopia avrebbe sperimentato nel giro di qualche settimana. L’elezione di Abiy Ahmed alla presidenza della coalizione di governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF) e la nomina alla carica di primo ministro segnarono l’inizio di un cambiamento di rilievo nello stile di leadership in uno dei sistemi politici più autoritari del continente.

Nel corso dei suoi primi 100 giorni al governo, Abiy ha liberato migliaia di prigionieri politici, liberalizzato la stampa e garantito libertà d’espressione, legalizzato diversi gruppi di opposizione precedentemente criminalizzati, impegnato il paese in un processo di autentica democratizzazione e posto fine a 18 anni di conflitto latente con la vicina Eritrea. In molti si aspettano che Abiy, a 42 anni il più giovane leader del continente, possa essere annunciato come prossimo vincitore del Premio Nobel per la pace.

Quello di Abiy era un volto relativamente nuovo fino a poco prima della sua nomina a primo ministro. Tecnocrate, membro dell’Oromo People’s Democratic Organisation (OPDO, uno dei quattro partiti che componevano la coalizione), la sua ascesa è dovuta, in gran parte, a due elementi strettamente correlati nell’ambito del sistema politico costruito dall’EPRDF dal 1991. In primo luogo, il federalismo etnico: la logica sottesa al federalismo etnico era di incorporare i diritti delle diverse etnie nella struttura dello stato, impedendo a un singolo gruppo etnico di dominare sugli altri. A tale scopo, la Costituzione della Repubblica Federale di Etiopia del 1995 sanciva l’istituzione di un sistema politico federale basato su nove regioni, i cui confini sarebbero stati tracciati su basi etniche. Il secondo elemento è legato allo stile di leadership del suo predecessore, Meles Zenawi, che governò l’Etiopia in maniera autoritaria a partire dagli inizi del nuovo secolo. Per consolidare la sua posizione, Meles ordinò l’epurazione di ogni voce critica dal Tigray People’s Liberation Front (TPLF), costringendo gli altri partiti della coalizione a cacciare chi si fosse schierato con le opposizioni durante la crisi. Facendo ciò, Meles trasformò l’EPRDF in un organismo i cui leader prestavano fedeltà direttamente a lui. Dopo il 2001, il governo di Meles cercò, inoltre, di imporre un controllo più stretto e personalizzato sullo stato e sugli apparati di partito nazionali.

Zenawi morì nell’agosto del 2012, lasciando un vuoto. L’assenza di una successione designata e le rivalità tra i numerosi possibili successori alimentarono una lotta di potere interna all’EPRDF. Una soluzione di compromesso vide Hailemariam Desalegn, considerato politicamente neutrale all’interno del movimento, eletto alla carica di primo ministro, mentre le diverse fazioni pianificavano le mosse successive. Senza un uomo forte al centro del sistema, le amministrazioni regionali e i power broker colsero l’occasione per mostrare i muscoli. Il crescente liberi-tutti lasciò ai leader regionali e ai cittadini lo spazio per ridiscutere le reciproche relazioni di potere e i rapporti di forza con il governo a guida TPLF. Diverse linee di frattura emersero, tra il 2015 e 2016, nelle due popolose regioni di Amhara e Oromia. In Amhara, l’arresto di attivisti che chiedevano la riallocazione di territori dal Tigray all’Amhara innescò proteste di massa a metà 2016. Sei mesi prima, un piano di espansione della capitale etiopica, Addis Abeba, in territorio oromo, aveva prodotto lo stesso risultato. Nel tempo, e in parte in risposta alla violenta repressione governativa, le manifestazioni di protesta si estesero, denunciando la marginalizzazione politica ed economica delle comunità etniche non tigrine e le violazioni dei diritti umani da parte del sistema autoritario controllato dal TPLF. Fu in questo contesto che Hailemariam rassegnò le dimissioni, nel febbraio del 2018. L’ascesa di Abiy può essere spiegata guardando alla sua attività politica in Oromia e al tentativo di allineare le posizioni dell’OPDO con le aspirazioni delle comunità oromo, tenendo conto delle rivendicazioni espresse nei confronti del governo federale, percepito come oppressivo, anti-oromo e sciovinista.

Prima di diventare premier, Abiy era riconosciuto come amministratore, più che come leader. Seguì un sentiero battuto da numerosi altri tecnocrati dell’era Meles, dando solo deboli indicazioni rispetto alla natura trasformativa della sua premiership. Eppure, Abiy ha assunto rischi significativi. Ha mostrato di essere un leader di carattere – schierandosi contro alcuni dei più radicati interessi del sistema EPRDF – pochi mesi dopo l’investitura. E tuttavia, non ha dato prova di un significativo interesse nel costruire più ampie alleanze e assicurare una traiettoria politica più stabile al suo governo, preferendo puntare sulla sua stessa immagine e sul messaggio veicolato come strumenti di mobilitazione.

Tra le principali critiche ricevute dai suoi oppositori, Abiy è stato accusato di essere “tutto chiacchiere”. Sebbene vi sia un fondo di verità in questo, il leader etiopico ha generalmente dato prova di saper essere decisivo quando necessario. Ha assunto decisioni cruciali, che hanno profondamente alterato lo status quo. Poche settimane dopo la nomina, ad esempio, Abiy ha estromesso due dei più temuti membri delle forze di sicurezza nazionali – il capo di stato maggiore dell’esercito, Samora Yunis, e il capo dei servizi di intelligence, Getachew Assefa – tra i più longevi funzionari militari durante il regime di Meles. Abiy, inoltre, ha dimostrato magnanimità, rilasciando migliaia di prigionieri politici e decriminalizzando i partiti di opposizione e i gruppi armati precedentemente considerati terroristi, incluso l’Oromo Liberation Front (OLF).

Il suo atteggiamento nei confronti dei membri del regime di Meles, tuttavia, si è rivelato di fatto ambiguo, in linea con l’approccio più tradizionale dell’EPRDF. In effetti, la sua postura politica medemer non è stata costruita solo su parole edificanti, azioni progressiste e promesse di riforma. Si è basato altresì su un posizionamento più cinico, e in qualche misura irresponsabile, opposto a tutto quanto rappresentava l’eredità del l’EPRDF. Cinico, perché Abiy era stato egli stesso parte dell’apparato dell’EPRDF nel corso degli anni 2000, figura di rilievo nell’ambito dell’agenzia di intelligence. Irresponsabile, perché, in alcuni dei suoi discorsi, egli ha deliberatamente sfumato le critiche ai regimi di Meles e Hailemariam con attacchi rivolti al TPLF e, più significativamente, ai tigrini. Ciò è servito non soltanto ad alimentare ulteriormente le tensioni tra i tigrini e i vicini amhara e afar ma, ironicamente, ha rafforzato la legittimazione del TPLF, in un momento in cui la popolarità del partito risultava in forte declino.

Abiy ha dimostrato scarso interesse nel costruire coalizioni e network con una moltitudine di attori di potere dentro e fuori l’EPRDF, appellandosi direttamente alle popolazioni. A tal proposito, ha cercato di coltivare un’affezione genuina e forme di supporto da parte di comunità ampie e diversificate. Subito dopo l’insediamento, Abiy ha intrapreso un tour del paese: i suoi appelli per l’unità, la riconciliazione e il cambiamento hanno risuonato ampiamente e ispirato molti. L’amore della folla, tuttavia, rappresenta una base instabile per un cambiamento genuino e progressivo, in un paese sfaccettato come l’Etiopia. Questo è vero, in particolare, nel momento in cui la luna di miele di Abiy sta giungendo alla fine, e i cittadini iniziano a giudicarlo per i suoi risultati e per la sua retorica. Inoltre, da quando un corteo ad Addis Abeba è stato preso di mira da granate lanciate da oppositori del primo ministro nel giugno 2018, causando un morto e oltre cento feriti, queste manifestazioni sono state sempre più strettamente controllate: il leader appare in pubblico dietro vetri anti-proiettile.

Abiy sembra aver adottato, in maniera crescente, un approccio di governo fortemente personalizzato. Alcune tra le sue più significative decisioni politiche sono state prese senza alcuna condivisione con i partner di governo, e implementate attraverso meccanismi informali o ad hoc. In seguito all’assassinio del Presidente dello Stato regionale Amhara, Ambachew Mekonnen, nel giugno 2019, Abiy ne decise la sostituzione con uno dei suoi più stretti assistenti alla sicurezza, Temesgen Tiruneh, mentre i funzionari dell’EPRDF hanno fatto congetture sull’intenzione del primo ministro di trasformare l’EPRDF in un partito unitario e pan-etiopico. Certo, la prossima fase della premiership di Abiy richiederà una maggiore istituzionalizzazione dell’“Abiymania”, in modo da ottenere risultati sostenibili.

Lo stesso vale per la leadership di Abiy in politica estera, l’arena in cui ha senza dubbio ottenuto i risultati più importanti nel più breve lasso di tempo. Siglare la pace con la vicina Eritrea dopo una guerra fredda durata 18 anni ha rappresentato un vero e proprio trionfo per il governo di Abiy, e ha avuto profonde implicazioni per la sicurezza regionale, la stabilità e la cooperazione. La normalizzazione delle relazioni tra Etiopia ed Eritrea è stata fondata su rapporti personali amichevoli tra Abiy e Isaias Afewerki, che hanno intrapreso numerosi viaggi nelle capitali di ciascuno stato e oltre. Le mutate relazioni tra i due stati restano, tuttavia, fondate su tali rapporti, piuttosto che su accordi bilaterali formali. Nonostante una dichiarazione di intenti firmata ad Asmara e Gedda nel 2018, numerose questioni chiave – commercio, tariffe, moneta, sicurezza, cittadinanza – restano fuori da ogni accordo legale. Più generalmente, una “nuova” Eritrea potrebbe portare con sé, al contempo, opportunità e rischi per l’Etiopia, in particolare tenuto conto della crescente influenza degli stati del Golfo nel Corno d’Africa. Non esiste alcuna garanzia che questa situazione di mutuo vantaggio duri a lungo, in particolare in assenza di una base legale formale.

A differenza di Isaias, però, Abiy gode del supporto e della fiducia dei partner occidentali, che continuano a finanziare una parte significativa del budget nazionale etiopico. Se, da una parte, Abiy ha ereditato tali legami dai suoi predecessori, la fiducia degli investitori si fonda, al contempo, su un sincero ottimismo diffuso tra le capitali occidentali nei confronti del leader etiopico. Per decenni, i donatori occidentali hanno bilanciato, in maniera sorprendente, una politica estera basata sulla promozione dei processi di democratizzazione e sul rispetto dei diritti umani con un supporto incessante ai regimi autoritari, nel nome della sicurezza e della stabilità. Abiy rappresenta un’opportunità per i partner di sostenere un riformatore e una forza in grado di assicurare la stabilità regionale.

Una valutazione critica della leadership di Abiy deve altresì tener conto delle importanti sfide di governo, in uno stato tanto diverso e complesso. I rapidi successi di Abiy come mediatore regionale sono impressionanti, e la prontezza di sfidare elementi particolarmente problematici del sistema-EPRDF mostrano coraggio e capacità decisionale. I dossier critici che lo attendono – dalle violenze etniche in corso alla crisi politica, fino alle elezioni previste per il 2020 – rappresenteranno un banco di prova fondamentale per la sua leadership.

 

Una versione estesa di questo articolo sarà pubblicata all’interno del Rapporto ISPI Africa 2019, in uscita a novembre.

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