22 Ott 2020

DATAVIRUS: Europa, lezioni dalla seconda ondata

CoVid-19

Le infezioni da nuovo coronavirus continuano ad aumentare in tutta Europa. Ma a che punto siamo a livello continentale e, in particolare, quanto rapidamente si sta aggravando la situazione?

Per capirlo, questa settimana ci concentreremo su un indicatore che procede sempre in ritardo di circa due settimane rispetto alla effettiva gravità dell’infezione, ma che è molto robusto: quello dei decessi settimanali. Come è ormai noto, infatti, il numero dei nuovi casi di infezione non è realmente rappresentativo sia della reale diffusione dell’infezione, sia della sua gravità sul territorio. Ciò a sua volta non ci consentirebbe di fare buoni confronti tra Paesi, a livello internazionale. Il motivo è che la capacità di effettuare test anti-genici varia in ciascun Paese e, per ciascun Paese, varia nel tempo. La variabilità può essere tanto ampia da avere effetti paradossali: per esempio, un Paese che dovesse trovare molti positivi asintomatici sarebbe in una situazione nettamente migliore rispetto a un Paese che trovasse pochi positivi, ma tutti in condizioni serie o critiche, eppure nella classifica dei nuovi casi settimanali il primo paese sarebbe molto in alto, mentre il secondo sarebbe molto in basso.

Chiarito il motivo per il quale ci concentriamo sui decessi, per capire come stiano andando le cose in Europa abbiamo scelto di usare due grafici. L’ordine di esposizione è stato scelto da noi, ma è importante tenere presente che, per avere un quadro realmente completo, è necessario tenere sott’occhio entrambi i grafici.

Il primo grafico, quello che apre questo articolo, mostra di quanto siano aumentati i decessi settimanali, tra inizio ottobre e tre settimane dopo, cioè oggi. Come si può ben osservare, in tutti e 19 i Paesi europei presi in considerazione l’infezione si è aggravata. Questo aggravamento è avvenuto però a velocità diverse a seconda dei singoli casi. In questa classifica l’Italia è purtroppo in terza posizione, subito dietro Svezia e Repubblica Ceca. Ciò significa che nelle ultime tre settimane il nostro è uno dei primi tre Stati in Europa per rapidità di aggravamento dell’infezione, con un numero di decessi settimanali quasi quadruplicato in tre settimane. C’è da dire che molti altri Paesi in Europa raggiungono livelli simili a quelli italiani, e in oltre i due terzi dei quelli presi in esame la gravità dell’infezione è almeno raddoppiata.

Come detto, inoltre, il primo grafico non dice tutto, ma va combinato con quello rappresentato qui sotto.

 

In questo secondo grafico riportiamo la classifica per numero di decessi settimanali per milione di abitanti, con i Paesi ordinati in base al valore fatto registrare nel corso degli ultimi sette giorni. Il caso della Repubblica Ceca colpisce: il Paese non è infatti stato riportato nel grafico perché il numero di decessi per milione di abitanti, 48 nell’ultima settimana, è talmente elevato da comprimere tutti gli altri numeri, complicandone la lettura. Come abbiamo mostrato nel primo grafico, la Repubblica Ceca è anche la realtà nella quale la gravità dell’infezione è maggiormente peggiorata nelle ultime tre settimane, con un numero di decessi aumentato di 4,5 volte. Non è dunque un caso se la Repubblica Ceca sia il primo Paese in Europa ad aver imposto (a partire proprio da questo giovedì e fino al 3 novembre) un lockdown nazionale e molto stringente nel corso di questa seconda ondata.

Per ragioni opposte colpisce anche la Svezia. Nella classifica di peggioramento il Paese risulta il secondo in assoluto, con i decessi che sono più che quadruplicati in tre settimane. Tuttavia, Stoccolma riporta ancora un numero di decessi per milione di abitanti tra i più bassi d’Europa. L’infezione, dunque, è sì in netto peggioramento, ma da livelli molto bassi, e dunque si può dire che sia ancora molto contenuta. Non sappiamo ancora se ciò significhi che la Svezia uscirà quasi indenne da questa seconda ondata o se, come accaduto nel corso della prima, il Paese sia semplicemente “in ritardo”rispetto a molti altri dell’Europa continentale (a oggi il numero di decessi totali per milione di abitanti in Svezia, 586, è del tutto comparabile con quello dell’Italia, 609).

Ulteriore menzione merita un terzo caso, quello della Spagna. Nella prima classifica Madrid compare come penultima, con un aggravamento dei decessi tra inizio ottobre e oggi molto contenuto: +33% (1,3 nel grafico). Ma il motivo, tra gli altri, è da rintracciarsi nel fatto che l’infezione in Spagna ha cominciato ad aggravarsi ben prima, e già a fine settembre si è attestata su livelli molto alti. Non a caso, tra i 18 paesi riportati nel secondo grafico, la Spagna compare in quarta posizione (sarebbe quinta includendo anche la Repubblica Ceca), con un numero di decessi per milione di abitanti che è ancora più che doppio rispetto a quello fatto registrare dall’Italia.

Alla luce di questi dati, che riflessione possiamo fare per lo stato dell’infezione nel nostro Paese? Innanzitutto, tutti le realtà che oggi sono in una fase avanzata dell’infezione rispetto a noi, Spagna inclusa, non sono ancora riusciti a domarla, tanto che ovunque in Europa il numero di decessi è in continuo aumento. Questo dà una prima indicazione: è probabile che misure “soft” siano in grado di incidere sulla velocità di diffusione dell’infezione, e dunque di rallentarla, ma quasi certamente non saranno sufficienti per ridurre il numero di decessi nel breve-medio periodo.

Non solo: il costante aumento dei decessi ci dà anche un’indicazione dell’incredibile “inerzia” del contagio, anche qualora si adottassero misure drastiche sin da subito. Un’inerzia che abbiamo potuto toccare con mano già a marzo allorché, a lockdown nazionale già in essere, il numero plausibile di nuove infezioni settimanali in Italia ha continuato a crescere, pur rallentando, per due settimane, ed è poi rimasto molto elevato per due mesi. Tanto che per tornare a un numero di nuove infezioni plausibili simile a quello della settimana del 3-9 marzo abbiamo dovuto attendere il 5-11 maggio.

Se c’è una cosa che l’esperienza della prima ondata ci ha dimostrato, e che quella di altri Paesi dimostra nuovamente, è che agire prima e con decisione permette di tornare alla normalità più rapidamente, mentre agire in maniera ritardata provoca maggiori danni sia a livello sanitario, sia a livello economico (costringendo le attività a restare chiuse più a lungo, e deprimendo i consumi una volta che si riapre). Una seconda lezione che abbiamo imparato è tuttavia quella che le azioni incisive dovrebbero essere adattate all’andamento dell’epidemia a livello locale, non nazionale. Così da limitare il più possibile l’aggravarsi dell’epidemia ma, al contempo, non imponendo inutili stop ad attività che potrebbero invece proseguire.

Perché, come continuiamo a raccontare settimana dopo settimana, nel corso di una pandemia non ci sono pasti gratis. E la scelta tra la tutela della salute (che ha chiare conseguenze economiche) e la tutela dell’economia (che ha notevoli riflessi sanitari) è sempre, inevitabilmente, una scelta del “meno peggio”.

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