5 Ott 2020

Per un rinnovato multilateralismo

Verso il G20 italiano

La pandemia da Covid-19 ha fatto emergere due realtà che minacciano seriamente il multilateralismo: la difficoltà dei governi nazionali nel trovare risposte coordinate e la crescente attrattiva del “my country first. La crisi del multilateralismo, da problema latente ormai da tempo, è diventata ora un’evidenza innegabile. Molti governi e una fetta crescente di opinione pubblica non vedono più nell’approccio multilaterale uno strumento efficace per affrontare le sfide globali.

I motivi di questa crisi sono molteplici. Primo tra tutti, il declino dell’ordine mondiale liberale. Con la fine della Guerra fredda, gli Stati Uniti si affermarono come potenza egemone del sistema internazionale, esportando i propri valori e difendendo i propri interessi, ma dando comunque vita a una globalizzazione senza precedenti. Oggi invece lo schieramento occidentale a guida statunitense è in profonda crisi, a fronte non solo di continui attacchi esterni ma anche di crescenti tensioni e divisioni al suo interno. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: un contesto internazionale in cui molti Paesi pensano di poter agire da soli, mentre nessuna grande potenza ha la forza e la credibilità di rappresentare un vero e proprio leader globale. È la condizione che Ian Bremmer ha denominato G-Zero, ossia uno scenario in cui tende sempre più a valere la legge del più forte. Una sorta di “recessione geopolitica”.

Il declino dell’ordine liberale va di pari passo con la rivalità tra le due principali potenze mondiali, gli Stati Uniti e la Cina, e con le loro opposte visioni dell’ordine globale. Gli Stati Uniti, da una parte, hanno preso le distanze dal loro tradizionale ruolo di egemone, anche perché quest’ultimo è crescentemente messo in discussione dagli altri attori internazionali. Una tendenza già visibile con Obama, ma che con la presidenza Trump è diventata la linea ufficiale del governo. In un certo senso, il presidente Trump ha vinto le elezioni nel 2016 anche grazie alle sue posizioni dichiaratamente anti-globalizzazione. Dall’altra parte, la Cina tenta di riconfigurare le regole della convivenza internazionale a proprio favore. Pechino è riuscita a diventare un attore chiave a livello globale trovando modi e vie alternative per perseguire i propri interessi nazionali anche al di fuori dai classici contesti di cooperazione internazionale, come nel caso della BRI (Belt and Road Initiative) e dell’AIIB (Asian Infrastructure Investment Bank). Ora tenta di modellare l’azione degli organismi internazionali perché non si frappongano in modo sistemico allo sviluppo dei propri interessi.

Assistiamo quindi a un progressivo indebolimento delle organizzazioni multilaterali, già appesantite da una burocrazia pachidermica e dall’assenza di una struttura definita come nel caso del G7 e del G20. Se gli Stati oggi si domandano perché cooperare e soprattutto su che cosa, è inevitabile che le organizzazioni internazionali rimangano immobili.

Ma date queste premesse, possiamo davvero sostenere che il multilateralismo sia ormai morto e sepolto? Che sia solo un retaggio di un passato non troppo lontano? Meglio non trarre conclusioni affrettate.

Per il multilateralismo potrebbe infatti valere quanto detto da Mark Twain: “le voci sulla mia morte sono state molto esagerate”. Il multilateralismo rimane uno strumento diffuso e imprescindibile, ad esempio perché le potenze medie o piccole possano far sentire la propria voce nel processo decisionale globale. Inoltre, le iniziative multilaterali sono fondamentali per affrontare le sfide poste dai tanti conflitti che attanagliano varie aree del mondo e il nostro stesso vicinato (come in Siria e Libia), ma anche sfide globali come il cambiamento climatico, il terrorismo internazionale e le migrazioni. Avere queste certezze non significa però che sia sufficiente riproporre il tradizionale modello di multilateralismo che avevamo imparato a conoscere nei decenni passati. Perché possa essere rilanciato, il multilateralismo deve essere reinventato.

A sua volta, perché ciò accada è necessario trovare obiettivi condivisi, a partire da quelli che l’opinione pubblica ritiene urgenti e prioritari. Potrebbero così nascere “coalitions of the willing, anche su base regionale, che intendono risolvere dispute sul commercio o sulle infrastrutture, o che intendono fare la propria parte nella lotta contro il cambiamento climatico. A questo scopo, in un panorama globale frammentato, gli Stati dovranno sfruttare la connettività digitale per coordinare i propri obiettivi e le proprie politiche. Non sarà più necessario, né possibile, affidarsi alle grandi potenze: ognuno dovrà fare la propria parte nei limiti delle proprie forze e capacità.

Se questi cambiamenti avranno luogo, il multilateralismo continuerà a rimanere un valore aggiunto rispetto a un contesto di relazioni unicamente bilaterali e in cui a prevalere sia sempre la competizione. Il Covid-19, paradossalmente, ha avuto un impatto positivo nel dimostrare la necessità della cooperazione internazionale per affrontare sfide globali: il vaccino è ormai riconosciuto da tutti come un bene comune. Le istituzioni internazionali non sono fini a se stesse, ma non devono neanche essere una scusa per l’inazione degli Stati. La credibilità delle istituzioni internazionali di fronte all’opinione pubblica va rilanciata a ogni livello e rappresenta un obiettivo imprescindibile per ogni società. Per questo motivo, la società civile nel suo insieme – dalle Ong ai think tank, dal settore privato fino ai singoli individui – è un attore fondamentale del rilancio del multilateralismo.

La pandemia e la conseguente crisi economica e sociale hanno traumatizzato un Occidente che non era pronto ad affrontare il proprio declino. L’efficacia della cooperazione internazionale è stata messa duramente alla prova dagli egoismi di molti governi, ma il virus ha anche dimostrato la necessità di un nuovo multilateralismo. Il suo rilancio passa attraverso la diffusione di architetture regionali e “coalitions of the willing” per affrontare problemi comuni e dall’impegno dell’intera società civile.

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