7 Gen 2021

Assalto all’America

L'irruzione a Capitol Hill

Il Congresso degli Stati Uniti proclama la vittoria di Joe Biden. Ma le vittime dell’assalto di ieri al Campidoglio salgono a quattro e si fa strada l’ipotesi di ricorrere al 25esimo emendamento per rimuovere Trump dalla presidenza.

 

C’è un filo rosso che lega la data del 3 novembre a quella di ieri 6 gennaio. Non si capirebbe altrimenti l’assalto a Capitol Hill, il Congresso americano, tempio sacro e simbolo di democrazia, da parte di centinaia di sostenitori di Donald Trump, convinti che le elezioni siano state ‘rubate’ in modo fraudolento. Quanto accaduto ieri, quando dimostranti – alcuni dei quali erano armati – hanno fatto irruzione in Campidoglio mentre era in corso la ratifica dell’elezione di Joe Biden, non ha precedenti nella storia americana moderna. L'assedio è durato cinque ore. Una donna, sostenitrice di Trump è stata ferita durante uno scontro con la polizia ed è morta successivamente in ospedale. Ma il bilancio parla di altri tre morti e 52 arresti. Come già durante il voto del 3 novembre, ma in realtà fin dalla campagna elettorale, il presidente uscente ha continuato ad accreditare il racconto di un’elezione trafugata, estorta con brogli e frodi, di cui però né lui né i suoi legali sono riusciti a fornire alcuna prova. Donald Trump non solo non ha mai ammesso la vittoria di Joe Biden ma ancora ieri, durante un comizio, aveva incoraggiato la manifestazione a Washington, incitando i suoi sostenitori a marciare sul Campidoglio. “So come vi sentite” ha detto rivolgendosi ai manifestanti e chiedendo loro di andare a casa dopo aver affermato: “vi voglio bene, siete speciali”. Il messaggio è stato rimosso dalle principali piattaforme social che hanno bloccato per la prima volta l'account di Trump. Oggi, dopo una sospensione durata diverse ore, il Congresso ha ratificato la vittoria di Joe Biden e Kamala Harris come presidente e vicepresidente degli Stati Uniti. Ma quello che è successo dimostra, ancora una volta, che Trump è disposto a qualunque azzardo pur di tentare di non uscire di scena.

 

 

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Falle nella sicurezza?

Quella del 6 gennaio avrebbe dovuto essere una giornata memorabile per i democratici che hanno inaspettatamente e clamorosamente ottenuto la maggioranza al Senato, oltre che alla Camera, dopo aver vinto i ballottaggi per due seggi in Georgia. Un esito che affida alla nuova amministrazione il controllo dell’intero Congresso. Ma le cose sono andate diversamente: dopo i veleni sparsi da Trump in un comizio a Washington, nella capitale c’era apprensione. Poche ore dopo, i sostenitori di The Donald sono riusciti a fare irruzione a Capitol Hill e a interrompere la procedura di ratifica dell'elezione di Joe Biden da parte delle Camere riunite in seduta congiunta. Le immagini degli insorti che sciamano davanti al piazzale e poi via via su per le scale e dentro i corridoi e gli uffici dell’edificio sono incredibili. Soprattutto considerato il fatto che il Campidoglio nei mesi delle proteste di BLM era presidiato di tutto punto e che la tensione era nell’aria già da giorni. Eppure i manifestanti non sembrano aver incontrato grosse resistenze e in alcuni video si vede persino la polizia aprire le transenne e lasciarli passare. La polemica già infiamma e non c’è dubbio che nei prossimi giorni gli inquirenti indagheranno a fondo su come sia stato possibile un così plateale disastro della sicurezza. Ad alimentare timori e sconcerto, il Segretario della Difesa in carica Christopher Miller ha diffuso la notizia che è stato il vicepresidente Mike Pence, e non il presidente Trump, ad approvare l'ordine di schierare la Guardia Nazionale, l’unica che è poi riuscita a costringere i manifestanti a lasciare il Campidoglio.

 

Trump sempre più solo?

“La nostra democrazia è sotto una minaccia senza precedenti”: Joe Biden lo ha detto chiaro e tondo. Nessuno, in queste ore in cui persino gli ultimi fedelissimi del suo inner circle lo stanno abbandonando, mette in dubbio che Trump abbia enormi responsabilità per quanto accaduto. E un presidente degli Stati Uniti su cui aleggia l’accusa di tentato golpe e che solletica gli istinti eversivi delle frange più estremiste dei suoi fan, non può essere lasciato libero di riprovarci. Soprattutto considerato che da qui all’insediamento del 20 gennaio mancano ancora quasi due settimane, nelle quali i poteri del presidente uscente restano immutati, con grande ansia per tutti. Ed ecco che tornano alla ribalta ipotesi di dimissioni forzate o un impeachment immediato. Il ricorso sarebbe al 25esimo Emendamento della Costituzione, che rimuoverebbe il presidente dal suo incarico per “manifesta incapacità” passando temporaneamente i poteri al vicepresidente che diventa presidente ad interim. Un’altra strada sarebbe quella dell’impeachment, per cui le deputate democratiche Ilhan Omar e Alexandria Ocasio Cortez hanno annunciato di aver già cominciato a raccogliere la documentazione necessaria. Il procedimento sarebbe il secondo del genere in meno di un anno, dopo che 11 mesi fa il Senato a maggioranza repubblicana aveva assolto Trump da un’accusa di impeachment. Un record senza precedenti.

 

Repubblicani a un bivio?

Dopo quanto accaduto ieri, hanno cominciato a fioccare dimissioni di esponenti di spicco dell’amministrazione uscente. Tra questi il vice consigliere per la Sicurezza Nazionale Matt Pottinger e il chief of staff della First Lady Melania. Ma starebbero considerando di abbandonare la nave anche il segretario ai Trasporti Elaine Chao, moglie del leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale Robert O'Brian. La maggior parte dei repubblicani però non è pronta a fare a meno di Trump. È troppo potente, non hanno il coraggio di consegnarlo alla giustizia. E la domanda, che circola in queste ore negli ambienti politici di Washington, riguarda il futuro del partito repubblicano ‘colpevole’ di aver nutrito un Moloch che ora rischia di divorarlo ma del quale in pochi hanno il coraggio di fare a meno. Eppure, numeri alla mano, la disfatta repubblicana è totale: per la prima volta da dieci anni sono in minoranza al Senato, oltre ad aver perso la Camera bassa e la presidenza. E lui ormai non sembra più vedere il paese reale: in California, dove l’epidemia da coronavirus è fuori controllo, gli ospedali sono al collasso, ma il presidente non parla più della pandemia da settimane. Il complottismo è cifra con cui interpreta tutto ciò che lo circonda e la fonte da cui i suoi sostenitori si abbeverano. Quasi sicuramente diserterà la cerimonia di inaugurazione fra due settimane. Un fatto senza precedenti nella storia Usa, che approfondisce la lacerazione fra le due Americhe. Il 20 gennaio Joe Biden si insedierà, ma non è detto che Trump e il Trumpismo escano di scena.

 

Il video-commento

di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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