26 Feb 2021

Il G20 del 2021: il summit “italiano” nell’anno della pandemia

Approfondimento

Questo approfondimento si pone l’obiettivo di ripercorrere la storia del summit G20, dalla sua nascita ai giorni nostri, e di contestualizzarla all’interno dell’evoluzione delle iniziative multilaterali dal secondo dopoguerra in avanti. Nell’anno della presidenza italiana del vertice, l’approfondimento indaga poi in maniera più dettagliata l’articolazione del summit, il ruolo delle sue presidenze e le possibili sinergie con altri consessi multilaterali ed eventi previsti nel corso del 2021, dal G7 a presidenza britannica alla Cop26 a copresidenza italo-britannica.

Dall’analisi emergono rischi e opportunità. Da un lato, il rischio di eccessiva duplicazione e frammentazione del dibattito e del negoziato, che si affianca a quello di agenda creep e di eccessivo affollamento dell’agenda del vertice. Sul versante delle opportunità, invece, si sottolinea soprattutto la coincidenza tra presidenze “europee” di G7 e G20 e la sovrapposizione di gran parte delle agende dei due summit (pur preservando entrambi le proprie specificità). Sinergie che si spingono anche più in là, dal momento che il più importante vertice annuale sul cambiamento climatico sarà copresieduto proprio dalle due presidenze di G7 e G20, permettendo d’immaginare sinergie che solo raramente si sono realizzate nel corso della recente storia del multilateralismo.

L’approfondimento ripercorre poi le principali sfide internazionali e il modo in cui queste sono state affrontare a livello di G20, declinando sfide e azioni lungo cinque specifiche tematiche prioritarie per l’anno in corso e per il futuro: lotta alla pandemia e coordinamento sanitario; economia e finanza globale; cambiamento climatico e sostenibilità; sviluppo e lotta alla povertà; commercio internazionale e infrastrutture. Per tutte, ci si sofferma in particolare sugli impegni presi e le azioni compiute nel recente passato, e in particolare su quelle adottate nel corso del summit G20 di Riyadh dello scorso novembre.

Il tentativo è duplice: sottolineare i passi in avanti compiuti sino a questo momento e, insieme, gettare luce sul lavoro che resta da compiere nel corso di questo e dei prossimi anni.

Fig. 1 – G20 vs G7: percentuale del Pil mondiale prodotta

dai due gruppi di paesi

Dati: elaborazioni ISPI su dati IMF

Dal 2008, invece, il summit è stato portato al livello dei primi ministri e capi di Stato dei paesi partecipanti, di fatto rendendo il G20 l’“erede” del G7 nella gestione della governance economica internazionale, della crescita sostenibile e della riforma dell’architettura finanziaria internazionale.

La decisione di creare una piattaforma di dialogo più ampia, passando da 7 a 20 partecipanti, arrivò da un lato come riconoscimento della sempre maggiore importanza delle economie emergenti e della limitata rappresentatività delle vecchie potenze del G7 nel nuovo contesto globale (Fig. 1), in cui sempre più importanti erano realtà come i “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).

Dall’altro, l’elevazione del G20 al livello di capi di Stato e di governo derivò dalla necessità di dare una risposta comune e coordinata alla grande recessione, ovvero alla più grande crisi economica e finanziaria internazionale dopo quella del 1929. Risposta che in effetti c’è stata, con uno stimolo globale coordinato di quasi 7.000 miliardi di dollari (equivalente all’1,1% del Pil mondiale di allora) e l’avvio della riforma dell’architettura finanziaria internazionale.

Al G20 partecipano Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia, Sudafrica, Stati Uniti, Turchia e Unione europea (Fig. 2). L’attribuzione in capo al G20 delle questioni economiche e finanziarie è stata dunque giustificata da esigenze di rappresentatività.

Fig. 2 – Paesi che partecipano al G20

All’interno del processo del G20, un posto particolare è riservato per il Finance Track, che include gli incontri dei ministri dell’Economia e delle Finanze, dei governatori delle banche centrali e degli sherpa designati dai rispettivi ministeri economici. Il Finance Track si concentra principalmente su tematiche economiche, finanziarie, monetarie e di tassazione.

È tuttavia inevitabile che, nel corso del tempo, l’agenda del vertice si sia arricchita, giungendo a includere un numero sempre maggiore di temi che trascendono le capacità di risposta dei singoli paesi e che, dunque, necessitano di soluzioni a livello globale: dalla lotta al cambiamento climatico alla salvaguardia del libero commercio internazionale, dalla cooperazione per lo sviluppo dei paesi più poveri all’antiterrorismo. Ed è altrettanto inevitabile che dal 2020 il vertice si concentrasse più nello specifico anche su temi di carattere sanitario, in particolare per discutere sul possibile coordinamento delle risposte alla pandemia da Covid-19.

L’espansione dell’agenda è stata resa possibile soprattutto dal fatto che i 19 membri nazionali che partecipano al vertice detengono una “quota di maggioranza” – spesso molto netta – in molti ambiti internazionali, fornendo così particolare credibilità e rappresentatività al G20. I 19 paesi membri del G20 (esclusa l’Unione europea) contano infatti per il 60% della popolazione mondiale, il 78% del suo Pil, il 74% delle emissioni di gas serra e il 72% degli aiuti allo sviluppo (Fig. 3). Tuttavia, negli ultimi anni accresciute tensioni internazionali tra le grandi potenze, una maggiore sfiducia nei confronti della cooperazione internazionale e la crescita di populismi e nazionalismi all’interno dei singoli paesi hanno reso sempre più difficile la ricerca di soluzioni multilaterali alle sfide globali.

Fig. 3 – Quanto conta il G20

A partire dal 2010, infine, all’agenda del G20 si è aggiunta una serie di incontri a livello ministeriale e, nel corso degli anni successivi, sono stati inaugurati sei Engagement Groups: il “Think 20”, cui partecipano think tank e centri di ricerca; il “Business 20”, che riunisce i rappresentanti delle imprese; il “Labor 20”, che raccoglie i rappresentanti del mondo del lavoro; il “Women 20”, dedicato alle diseguaglianze di genere; il “Civil 20”, per i rappresentanti della società civile; lo “Youth 20”, dedicato ai giovani; il “Science 20”, che riunisce alcune rilevanti organizzazioni scientifiche dei paesi membri; e lo “Urban 20”, che riunisce i sindaci di alcune delle più importanti città dei paesi G20.

All’aumentare della rappresentatività del vertice, dei temi all’ordine del giorno e del numero di attori non governativi coinvolti nel processo, aumenta anche il rischio di veder diminuire l’efficienza dei vertici. Avere intorno al tavolo un numero quasi triplo di paesi rispetto a quelli del G7 – paesi che tuttavia devono decidere per consenso – rende chiaramente più complicato il negoziato.

Le regole dei summit richiedono infatti che nessuno dei partecipanti ponga un veto alle proposte discusse: non è dunque sufficiente una maggioranza, per quanto qualificata essa sia. Aumenta inoltre anche la diversità degli attori coinvolti e dei loro interessi: mentre il G7 riunisce intorno al tavolo i leader di paesi democratici e a economia avanzata, il G20 include anche un buon numero di paesi non democratici e appartenenti al gruppo delle economie emergenti.

 

La presidenza del G20 e il ruolo dell’Italia nel 2021

Dal 1999 a oggi, e soprattutto dal 2008 a questa parte, il G20 è cresciuto per numero di attori coinvolti, ampiezza dell’agenda e durata, arrivando a impegnare attualmente i rappresentanti dei paesi partecipanti in vari incontri per diversi mesi dell’anno e diventando un’importante sfida diplomatica e organizzativa per il paese cui è assegnata la presidenza di turno.

Infatti, come accade per il G7, anche il G20 non ha un segretariato permanente e l’organizzazione è affidata di anno in anno al paese che assume la presidenza del vertice. Presidenza che è stata assunta dall’Italia nel dicembre del 2020 e per i successivi dodici mesi, in vista del vertice dei leader che si terrà a Roma il 30 e 31 ottobre prossimi. Come si può notare, la presidenza italiana giunge a quattro anni dall’ultima presidenza italiana del G7, e dunque a tre dalla prevista prossima presidenza del vertice “ristretto” dei 7, che tornerà a essere in mano all’Italia nel 2024 (Tab. 1).

Tab. 1 – Le Presidenze del G7 e del G20, 2017-2024

Anno

Presidenza G7

Presidenza G20

2017

Italia

Germania

2018

Canada

Argentina

2019

Francia

Giappone

2020

Stati Uniti (cancellato)

Arabia Saudita (virtuale)

2021

Regno Unito

Italia

2022 (previsto)

Germania

Indonesia

2023 (previsto)

Giappone

India

2024 (previsto)

Italia

Brasile

Nel 2021, inoltre, la presidenza italiana arriva in contemporanea a quella britannica del G7, e in un anno chiaramente cruciale per entrambe, tra la necessità di sostenere la ripresa economica post-pandemia e di indirizzarla verso un percorso di crescita sostenibile e, per Londra, la volontà di gestire al meglio il primo anno dopo l’uscita completa dall’Unione europea (avvenuta formalmente il 31 gennaio 2020, ma i cui effetti hanno cominciato a essere pienamente avvertiti solo dal 31 dicembre scorso, al termine del periodo di transizione durante il quale il Regno Unito ha continuato ad applicare la legislazione comunitaria).

Va inoltre sottolineato che le presidenze del 2021 arrivano in un anno d’incertezza, dopo che la pandemia ha gettato scompiglio nell’agenda e nella stessa modalità di svolgimento dei vertici l’anno scorso. Nel 2020, infatti, il G7 statunitense si sarebbe dovuto tenere a giugno ma è poi stato annullato a causa di un aperto disaccordo tra la presidenza statunitense del vertice, che premeva per lo svolgimento di un vertice in presenza, e l’opposizione di diverse altre cancellerie occidentali che avrebbero preferito un incontro virtuale. Il G20 saudita si è invece tenuto interamente in formato virtuale, sia a livello delle singole riunioni ministeriali, sia per quanto riguarda il summit dei leader tenutosi il 21 e 22 novembre.

Nel corso del 2021, di fronte alla presidenza italiana del G20 si presenteranno sfide e opportunità comuni a quelle di altre presidenze del passato recente del vertice. Due le sfide principali: mantenere sufficientemente elevata l’efficienza del G20 e dare spazio alle giuste priorità nell’agenda del vertice. Sul versante dell’efficienza, come accennato più sopra, il numero e la diversità dei partecipanti ai vertici del G20 rendono talvolta complicato arrivare a decisioni condivise.

Da questo punto di vista, il G20 Research Group dell’Università di Toronto ha monitorato il numero di impegni (commitments) sottoscritti dal G20 nel corso del tempo, e le promesse mantenute rispetto agli impegni presi (compliance). Il numero di commitments sottoscritti dal G20 è andato aumentando nel tempo, per poi ridursi bruscamente dal 2018: dai 95 impegni della prima edizione di Washington 2008 si è giunti al record di 531 del summit di Amburgo del 2017, prima della brusca frenata del G20 di Buenos Aires del 2018, con 88 impegni nel documento finale. Al G20 di Osaka (2019), tuttavia, i leader sottoscrissero un documento che conteneva 128 commitments: un aumento del 45% rispetto al 2018 (+45%), ma comunque un numero nettamente più contenuto (-76%) rispetto agli impegni presi nel 2017.

Al di là delle dichiarazioni, però, quanto i paesi del G20 rispettano poi effettivamente gli impegni presi? Il livello medio di compliance dei membri G20 è rimasto più basso rispetto all’82% del 2008 per tutti gli anni tra il 2009 e il 2016 (toccando un minimo del 62% nel 2009).

Solo nel 2017 il vertice ha superato il livello di compliance del 2018, facendo segnare un 88%. Al vertice di Osaka, infine, i 20 membri avevano fatto segnare un livello alto, dell’83%. Dal canto suo, la compliance dell’Italia ha seguito un andamento più altalenante: è stata più alta rispetto alla media del G20 nel corso di sei vertici, più bassa nel corso di 5. Nel 2019 l’Italia ha comunque fatto segnare una compliance più elevata rispetto alla media del G20: 88%, contro l’83% del gruppo.

Fig. 4 – Compliance media degli Stati membri del G20 e dell’Italia, 2008-2019

Dati: elaborazioni ISPI su dati G20 Research Group

Oltre a quello della compliance esiste un secondo tema su cui è opportuno soffermarsi: il continuo moltiplicarsi dei temi in agenda, che ha peraltro portato il G7 e il G20 a essere percepiti come summit caotici, incapaci di dare risposta ai problemi che l’opinione pubblica sente come più vicini e rilevanti.

Un’analisi del numero di volte con cui una parola o un nucleo di parole vengono citati nell’ultima dichiarazione finale dei leader (al G20 di Riyadh) dà una buona dimensione della quantità di tematiche toccate: stabilità finanziaria e ripresa economica (94), salute (65), sviluppo e debito (59), sostenibilità e inclusione (45), clima ed energia (28), tecnologia e innovazione (15), donne (13), lavoro e lavoratori (12), digitale (10), infrastrutture (9), corruzione (9), disuguaglianze (5), giovani (5), migrazioni (4), agricoltura (4), terrorismo (2).

Dalla “nuvola tematica” si comprende come l’anno scorso il G20 sia comunque riuscito a dare priorità a temi economici, che nell’anno della pandemia continuano comunque a superare le menzioni relative ai temi sanitari (che arrivano secondi). È altresì normale trovare in cima alla lista i temi dello sviluppo dei paesi più poveri e quelli dell’inclusione e della sostenibilità, mentre la lotta al cambiamento climatico resta relegata in quinta posizione e nettamente distante dai primi 4 topic.

La lista dei temi rimane comunque di una lunghezza rilevante, con ben 16 temi o nuclei concettuali che possono essere individuati nel documento. Starà dunque anche all’Italia, nell’anno della sua presidenza, indirizzare il dibattito nelle direzioni più consone e proficue, trovando il giusto bilanciamento tra i temi prioritari dell’anno, la loro fattibilità politica in base al consenso tra i Grandi.

Oltre alle sfide vi sono alcune importanti opportunità. La più evidente è quella di massimizzare le sinergie tra il G20 a presidenza italiana e altre rilevanti iniziative multilaterali nel corso del 2021. Tra le altre, si segnalano il G7 britannico e la COP26 sul clima (rimandata dal 2020 a causa della pandemia).

Il G7 britannico si terrà l’11-13 giugno a Carbis Bay, in Cornovaglia. Nell’ambito del G7, la presidenza britannica ha invitato a prendere parte ai lavori del summit e delle conferenze ministeriali anche altri tre paesi: Australia, India e Corea del Sud. Tutti e tre questi paesi sono democrazie, ma ciò che più si rileva è che si tratta in tutti e tre i casi di Paesi membri del G20. Ciò aumenta ulteriormente le possibili sinergie, con 10 dei 19 Paesi membri del G20 rappresentati o in qualche modo coinvolti anche a livello di G7, e con l’Unione europea che è tradizionalmente rappresentata in entrambi i summit.

Inoltre, nel 2021 tra G7 e G20 si terranno 12 diverse riunioni a livello ministeriale (Tab. 2): ben il 50% di queste si terrà sia a livello di G7 che di G20 (Ambiente, Clima ed Energia; Commercio internazionale; Digitale; Economia e Finanze; Esteri e Sviluppo; Salute), il 17% si terrà solo a livello di G7 (Interni; Tecnologia) e il 34% solo a livello di G20 (Agricoltura; Cultura e Turismo; Innovazione e Ricerca; Lavoro e Istruzione).

Tab. 2 – Ministeriali G7 e G20

Ministeriali

G7 e G20 

Solo G7

Solo G20

Agricoltura

   

X

Ambiente, Clima ed Energia

X

   

Commercio

X

   

Cultura e Turismo

   

X

Digitale

X

   

Economia e Finanze

X

   

Esteri e Sviluppo

X

   

Interni

 

X

 

Innovazione e Ricerca

   

X

Lavoro e Istruzione

   

X

Salute

X

   

Tecnologia

 

X

 

A livello di engagement groups la sovrapposizione potrebbe essere ancora più forte, con oltre la metà dei gruppi condivisi tra G7 e G20. Tra questi, nel G20 a presidenza italiana ISPI svolge quest’anno il ruolo di national coordinator and chair del Think20, i cui lavori si sono aperti lo scorso 8-9 febbraio, mentre il summit di chiusura si terrà il prossimo ottobre. La duplicazione dei temi, delle ministeriali e degli engagement groups tra i due summit offre chiari spazi per trovare sinergie. Tuttavia, essa presenta anche dei rischi: se non utilizzata in maniera corretta, può infatti prestare il fianco alla duplicazione di energie e sforzi negoziali che potrebbero non portare necessariamente ai risultati sperati.

Oltre a ciò, come detto, nel corso del 2021 il Regno Unito e l’Italia deterranno la copresidenza della Cop26, con il Regno Unito che ospiterà la conferenza a Glasgow, in Scozia, dall’1 al 12 novembre, mentre l’Italia ospiterà gli eventi preparatori, tra cui un evento per i giovani (“Youth4Climate: Driving Ambition”) e il vertice Pre-Cop, che si terranno a Milano tra il 28 settembre e il 2 ottobre.

Sembra evidente che, anche in questo caso, la copresidenza della Cop26 e la presidenza di G7 e G20 rispettivamente di Londra e Roma apriranno spazi per una proficua collaborazione, che rende entrambe le presidenze interessate a cooperare sul tema del cambiamento climatico a pochi mesi dal cambio della presidenza alla Casa Bianca e a meno di un anno dall’impegno di neutralità climatica entro il 2050-60 da parte di un gran numero di Paesi membri del G20 (v. infra).

 

I temi prioritari del G20 nel 2021 e il lavoro intrapreso nel 2020

1. Lotta alla pandemia e coordinamento sanitario

Fig. 5 – Decessi ufficiali di positivi a Covid-19 per milione di abitanti nei paesi G20 (al 14 febbraio 2021)

Dati: elaborazioni ISPI su fonti ufficiali dei rispettivi paesi.

Con la campagna vaccinale entrata ormai nel vivo, è aumentata la “concorrenza” tra paesi e regioni avanzate del mondo (che ospitano anche le popolazioni più anziane) per accaparrarsi le prime dosi di vaccini che abbiano attraversato in maniera positiva tutte le fasi di sperimentazione. Al momento con 5 dosi amministrate ogni 100 abitanti i paesi dell’Unione europea (che hanno affidato alla Commissione europea il compito di procurare e distribuire i vaccini) rimangono nettamente più indietro rispetto agli Stati Uniti (15 dosi per abitante) e il Regno Unito (23 dosi per abitante).

Nel frattempo, tuttavia, gran parte del mondo resta sprovvista di vaccini: delle 170 milioni di dosi somministrate nel mondo, oltre 4 su 5 (l’82%) sono state somministrate da cinque paesi (Stati Uniti, Cina, Regno Unito, India e Israele) o da paesi dell’Unione europea. Allo stato attuale i vaccini rimangono dunque una risorsa non solo scarsa, ma distribuita in maniera molto diseguale nel mondo.

Nel 2020 il G20 si è fatto carico di assicurare da un lato un robusto finanziamento alla ricerca di un vaccino (di fatto conclusosi con l’arrivo dei primi vaccini sicuri ed efficaci a meno di un anno dall’inizio della pandemia) e di una più equa distribuzione delle dosi vaccinali a disposizione, in particolare nei confronti dei paesi in via di sviluppo.

I paesi del G20 hanno destinato oltre 21 miliardi di dollari per sostenere i sistemi sanitari e la corsa al vaccino. Nella Dichiarazione finale del G20 saudita, i leader hanno espresso il loro pieno sostegno nei confronti dell’iniziativa ACT-A (Access to Covid-19 Tools Accelerator), un programma di collaborazione internazionale per accelerare lo sviluppo, la produzione e l’accesso equo a tamponi, cure e vaccini contro Covid-19.

Gli obiettivi di ACT-A sono ambiziosi: assicurare entro la fine del 2021 due miliardi di dosi vaccinali e 500 milioni di tamponi diagnostici ai paesi a basso e medio reddito. Per raggiungerli è stata creata una piattaforma dedicata, Covax, per sostenere la ricerca, lo sviluppo e la produzione di un’ampia gamma di candidati vaccini anti-Covid, anche allo scopo di negoziarne il prezzo. A oggi, un totale di 184 paesi partecipa alla Covax Facility, inclusi 92 paesi a basso e medio reddito.

Tuttavia, ACT-A soffre già di un ammanco di fondi per 3,7 miliardi di dollari, con ulteriori 23,9 miliardi necessari per la restante parte del 2021 in modo da poter soddisfare gli impegni presi sul fronte vaccinale e dei test. Nel 2020 alcuni paesi del G20 e la Commissione europea hanno tentato di spronare i paesi a donare di più: le loro richieste hanno avuto sinora un effetto soltanto limitato, con le donazioni che restano volontarie e alcuni paesi (come il Regno Unito, che ha contribuito con 1 miliardo di dollari) fanno molto più di altri. Fino a ottobre, infine, a Covax non partecipavano tre dei più importanti paesi al mondo: Stati Uniti, Russia e Cina.

Nell’ottobre del 2020 Pechino ha fatto il suo ingresso nell’alleanza, ma i suoi impegni restano non chiari e sinora il paese non ha effettuato donazioni. Lo scorso 21 gennaio, infine, l’entrante amministrazione americana Biden ha dato mandato al paese di fare il suo ingresso nell’alleanza, dalla quale tuttavia continua a rimanere fuori Mosca.

Oltre all’attuale corsa per produrre e distribuire il maggior numero di vaccini in maniera equa, il G20 si è posto anche come obiettivo quello di rafforzare la preparazione per le prossime pandemie. Il G20 della Sanità del 2020 ha sottolineato le “debolezze sistemiche” a livello globale che complicano il coordinamento nella risposta rapida e nell’allerta precoce di eventuali focolai di nuove infezioni, come richiederebbero gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale (Ihr) del 2005. Tuttavia, l’azione a livello G20 è rimasta scarsa, limitandosi a sostenere i lavori del gruppo indipendente per la preparazione e la risposta alle pandemie (Ippr) dell’Oms, che dovrà presentare il proprio rapporto all’Assemblea mondiale della sanità il prossimo maggio.

Un tema ancora più generale rimane quello di rilanciare e rifinanziare i sistemi sanitari. Secondo previsioni e stime dell’Oms, malgrado a livello globale potrebbero essere creati 30 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore sanitario entro il 2030, il mondo soffrirà comunque di un ammanco di 9,9 milioni di persone tra medici, infermieri e ostetriche.

Sotto questo profilo il G20 ha rinnovato gli impegni già dichiarati nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite di assicurare un’assistenza sanitaria universale (Uhc), compresa la protezione da rischi finanziari, l’accesso a servizi sanitari essenziali di qualità e l’accesso a farmaci e vaccini essenziali, sicuri ed economici per tutti. In questo senso va letto il lancio, lo scorso aprile, del Global Innovation Hub for Improving Value in Health, con un mandato iniziale di cinque anni: si tratta tuttavia di un’iniziativa lanciata e finanziata nel contesto del G20 dalla sola Arabia Saudita, cui i membri del G20 contribuiranno nei prossimi anni solo su base volontaria.

Infine, il G20 si occuperà anche quest’anno dei temi della sanità digitale e della lotta alla resistenza microbica agli antibiotici. Sotto il primo aspetto, recenti stime di Accenture indicano che l’intelligenza artificiale potrebbe permettere di soddisfare circa il 20% della domanda di cura attualmente non coperta.

Il G20 saudita ha lanciato la creazione una Task Force per la salute digitale (Digital Health Task Force) che dovrà produrre delle “Linee guida sulla salute digitale per l’innovazione e la trasformazione”. Alla Task Force sono stati invitati a partecipare l’OMS, l’OCSE, la Global Digital Health Partnership (GDHP), l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU) e il Global Fund.

Nel contesto della Task Force e delle Linee guida, i Paesi membri s’impegnano a condividere su base volontaria le informazioni disponibili per quanto riguarda l’attuazione di meccanismi di salute digitale, e in particolare su quelli che si concentrano a garantire equità nell’accesso ai servizi.

Le linee guida mireranno a mettere in evidenza elementi cruciali per la salute digitale come le politiche attuabili, gli standard, i modelli di governance, le infrastrutture necessarie e incentivi per migliorare i risultati a livello subnazionale, nazionale e globale. Si prevede che la Task Force collabori strettamente con la Task Force G20 per l’economia digitale, e che si concentri sulla condivisione delle buone pratiche per migliorare il monitoraggio delle pandemie, le capacità di risposta e la gestione delle emergenze.

Sul versante della resistenza agli antibiotici, ai tassi di resistenza attuali l’Ocse ha calcolato che – tenendo conto dell’aumento della spesa sanitaria – il costo ammonterebbe a 2.900 miliardi di dollari entro il 2050. A livello mondiale, circa 700.000 decessi l’anno sono attribuibili all’aumento della risposta microbica agli antibiotici.

Nel 2020 il G20 saudita ha ospitato una tavola rotonda sul tema, ma l’unico risultato è stato l’appello a una maggiore cooperazione tra i paesi del G20 per far fronte all’insufficiente disponibilità di antibiotici di qualità sufficiente da superare la resistenza microbica.

Si tratta tuttavia di un tema che è scivolato più in fondo nell’agenda del vertice a causa della pandemia, e l’assenza di un contributo concreto sulla questione da parte del G20 potrebbe essere dovuto anche dal fatto che il dibattito internazionale sul tema si svolge principalmente in seno ad altre organizzazioni internazionali. Nel 2019 la Fao, l’Organizzazione mondiale sulla sanità animale (OIE) e l’OMS hanno infatti attivato un Segretariato tripartito congiunto sulla resistenza antimicrobica.

 

2. Economia e finanza globale, crescita sostenibile e sviluppo

La pandemia ha avuto un impatto molto forte sulla crescita mondiale, con proiezioni più recenti del Fondo monetario internazionale (gennaio 2021) che stimano una contrazione del 3,5% nel 2020 e un rimbalzo del 5,5% per il 2021. Si tratta della più profonda recessione globale dell’ultimo secolo e mezzo, nettamente più forte rispetto all’impatto della crisi finanziaria che, nel 2008-2009, aveva fatto contrarre l’economia mondiale solo dello 0,1%.

Per affrontare le conseguenze più gravi della pandemia, i governi dei paesi del G20 hanno aumentano le loro spese discrezionali di circa 11 trilioni di dollari, una somma circa doppia rispetto allo stimolo economico e fiscale messo in campo nel corso della grande crisi finanziaria del 2008-2009.

Per il 2021, il Fondo monetario internazionale prevede una forte ripresa economica mondiale, che però sarà fortemente diversificata. Nello specifico, la Cina sembra essere uscita rapidamente dalla crisi e la sua economia era tornata sopra i livelli pre-crisi già nel secondo trimestre del 2020. Al contrario, la performance delle economie avanzate e delle altre economie emergenti appare molto più deludente, con il fondo che prevede un ritorno ai livelli pre-crisi solo nella seconda metà del 2021.

Inoltre, per ciò che concerne specificamente le economie avanzate, i tassi di crescita tenderanno a restare su livelli più bassi di quelli cinesi e delle economie emergenti, e la forbice tenderà ad allargarsi nel corso del tempo, tanto che entro la fine del 2022 l’economia potrebbe essere del 17% più grande rispetto ali livelli precedenti la pandemia, i paesi emergenti potrebbero avere economie in media del 6% più grandi, mentre le economie dei paesi avanzati potrebbero essere in media solo del 2,5% più grandi.

A causa della contrazione economica generata dalla pandemia, e degli stimoli economici messi in campo dai governi per far fronte alle sue conseguenze dal punto di vista occupazionale, della povertà e delle disuguaglianze, lo stock di debito pubblico nazionale tenderà a salire rapidamente, toccando un livello superiore al 100% del Pil.

Livelli simili d’indebitamento non si vedevano dallo sforzo fiscale messo in campo nel corso della Seconda guerra mondiale e, affiancati a livelli d’indebitamento privato che superano il 150%, aumentano i rischi che alla crisi economica si associ una nuova crisi finanziaria internazionale.

Fig. 6 – Andamento del Pil in diverse regioni del mondo (2019-2022)

Fonte: Fmi, World Economic Outlook, gennaio 2021.

Fig. 7 – Misure di stimolo economico in diversi paesi del mondo (in % del Pil)

Per questo motivo, a livello di G20 si riconosce sia l’opportunità d’indirizzare l’attuale ripresa economica verso un sentiero di crescita sostenibile e verde, sia la necessità di mettere in sicurezza il sistema finanziario internazionale, sia quella di tendere una mano verso i paesi più poveri e con minore spazio di manovra fiscale.

Sul fronte della crescita sostenibile, il G20 ha continuato a monitorare l’evoluzione del quadro economico internazionale e ad aprile 2020 ha varato (per poi aggiornarlo nel corso del tempo) il G20 Action Plan, che contiene un elenco di azioni adottate dai governi dei Paesi membri per rispondere alla crisi dal punto di vista sanitario, economico e finanziario, con lo scopo di reindirizzare i loro paesi e il mondo lungo un percorso di crescita robusta, sostenibile, bilanciata e inclusiva.

I paesi del G20 sembrano in effetti avere ottemperato a gran parte degli impegni presi, con un mantenimento degli impegni sul versante macroeconomico che l’Università di Toronto giudica in media dell’80%.

Sul versante della regolamentazione finanziaria, “core business” classico del G20, le iniziative nel corso del tempo si sono moltiplicate. Il rapporto 2020 del Financial Stability Board (FSB) ha concluso che le riforme concordate a livello internazionale e messe in atto in tutte le maggiori economie del mondo dopo la crisi finanziaria del 2008 hanno avuto un impatto positivo sul sistema, tanto da permettere agli istituti finanziari di assorbire persino uno shock economico grande come quello causato dalla pandemia.

In particolare, una maggiore resilienza delle principali banche che sorreggono il sistema finanziario globale avrebbe permesso al sistema di assorbire, anziché amplificare come accaduto nel 2008, lo shock macroeconomico. Lo stesso rapporto nota alcuni ritardi nell’attuazione delle norme più specifiche contenute tra le regole di Basilea III introdotte nel 2011, ma sottolinea anche che gli aspetti normativi chiave sono invece stati recepiti tempestivamente dalle istituzioni finanziarie.

Ciò che manca a oggi, sottolinea il FSB, è una grande mole di lavoro per dare sostanza alla pianificazione delle procedure di risoluzione per le banche e gli istituti finanziari considerati sistemici, e per mettere in atto regimi di risoluzione efficaci per gli istituti assicurativi.

Sempre a livello di G20 rimane ancora molto lavoro da fare circa l’iniziativa contro le pratiche per abbattere la base imponibile attraverso pratiche elusive (base erosion) e lo spostamento artificiale dei profitti verso giurisdizioni con tassazione bassa o inesistente (profit shifting), che dal summit del 2012 prendono corpo nell’iniziativa anti-BEPS. E ancora in alto mare si trova la discussione sulla tassazione delle multinazionali digitali (Digital Services Tax), in generale a causa di posizioni differenti dei paesi membri, con gli Stati Uniti e la Cina orientati nel senso della prosecuzione di pratiche favorevoli alle multinazionali, l’UE e il Regno Unito fortemente a favore di una regolamentazione condivisa e più stringente.

Infine, per quanto riguarda il debito pubblico, l’anno scorso il G20 si è prevalentemente concentrato sulla sostenibilità del debito dei paesi più poveri altamente indebitati (HIPC). Nel 2021 il vertice si concentrerà infatti sull’attuazione della Debt Service Suspension Initiative (DSSI), l’iniziativa della sospensione del servizio del debito, che è stata prorogata da dicembre 2020 a giugno 2021, e di cui sino a oggi hanno beneficiato più di 40 paesi per un beneficio netto di 5 miliardi di dollari.

Potenzialmente il numero di paesi cui si potrebbe applicare la DSSI sono 73, e ciò permetterebbe a ciascun paese di beneficiare di una sospensione dei pagamenti degli interessi sul proprio debito pubblico nei confronti dei loro creditori bilaterali. Il G20 ha anche chiesto ai creditori privati di partecipare all’iniziativa, anche se il numero di quelli che hanno raccolto l’appello appare molto ridotto.

Oltre alla Dssi, il G20 ha approvato a fine 2020 il Common Framework for Debt Treatment, che è stato anche avallato dal Club di Parigi. L’iniziativa cerca di promuovere un trattamento del debito in scadenza nei confronti dei 73 paesi che si qualificano per la DSSI che sia tempestivo e chiaro, promuovendo sia il coordinamento tra i paesi creditori, sia un trattamento ugualmente favorevole da parte di tutti i creditori verso ciascun singolo paese debitore.

Fig. 8 – Pil pro capite Ppa (2019)

Dati: Banca Mondiale

3. Cambiamento climatico ed energia sostenibile

In prima battuta, parrebbe evidente che la lotta al cambiamento climatico e dunque l’impegno nella riduzione delle emissioni di gas serra siano candidati naturali per essere affrontati al G20. Insieme, i membri del G20 sono coinvolti nell’emissione di oltre i tre quarti (78% nel 2018) dei gas serra mondiali, e sono inoltre leader globali capaci d’influenzare le decisioni d’investimento sostenibile anche dei governi di paesi che emettono meno.

Va tuttavia considerato che dalla firma della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel 1992 i negoziati multilaterali si svolgono in quella sede, sotto forma di “Conference of Parties” (Cop) annuali.

Non a caso i maggiori impegni assunti dai paesi nella lotta al cambiamento climatico discendono dalla Cop3 (Protocollo di Kyoto) e dalla Cop21 (l’Accordo di Parigi). Resta tuttavia importante illustrare le azioni e gli impegni assunti dal G20 negli ultimi anni, anche considerando il fatto che quest’anno l’Italia sarà copresidente della Cop26 assieme al Regno Unito.

Nel 2020 si sono verificati due eventi dall’impatto rilevante sul cambiamento climatico e sull’impegno per la riduzione dei gas serra. Da un lato, le severe misure di contenimento messe in atto per far fronte alla pandemia avranno l’effetto, secondo le ultime stime, di ridurre del 7,5% le emissioni di gas serra rispetto al 2019. Si tratterà della prima riduzione dal 2009 allorché, in seguito alla grande recessione, secondo il CDIAC (Carbon Dioxide Information Analysis Center) statunitense le emissioni stimate si ridussero del 2,7%. Tuttavia, secondo le proiezioni di Climate Transparency la ripresa economica di questi ultimi mesi ha già fatto tornare a crescere i livelli delle emissioni globali.

Fig. 9 – Primi paesi per emissioni di gas serra nel 2018

Nel frattempo, gli impegni presi dai paesi stanno tuttavia crescendo e gli Stati Uniti hanno annunciato il loro reingresso nell’Accordo di Parigi. Come premessa, è importante sottolineare che nessuno dei paesi del G20 si trova ancora su un percorso sufficientemente ambizioso per centrare gli obiettivi indicati dall’Accordo di Parigi, ovvero contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi centigradi rispetto al periodo preindustriale.

Tuttavia, l’UE e diversi altri paesi del G20 hanno proclamato nel corso degli ultimi dodici mesi la loro intenzione di raggiungere la neutralità climatica. A marzo lo ha fatto appunto l’Unione europea, avanzando proposte legislative per rendere l’UE “carbon neutral” entro il 2050. A settembre è poi stato il turno del Sudafrica, a ottobre della Corea del Sud, a novembre del Canada e a dicembre del Giappone, mentre si attende il piano per la neutralità climatica anche degli Stati Uniti già annunciato da Biden prima di vincere le elezioni.

Nel frattempo, a settembre il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato per il suo paese un obiettivo meno ambizioso, ma comunque cruciale: quello di raggiungere la neutralità carbonica (non climatica: limitata dunque alle emissioni di anidride carbonica, e non a tutti i gas serra) entro il 2060. I paesi si stanno dunque muovendo molto rapidamente, e tutti attraverso iniziative unilaterali (o plurilaterali nel caso dell’UE) all’interno della cornice multilaterale Onu.

Dal canto suo, nel 2020 il G20 ha lanciato o proseguito una serie di iniziative meno vincolanti ma non per questo poco salienti. A settembre i ministri dell’Energia del G20 hanno appoggiato la piattaforma sulla Circular Carbon Economy (CCE), un approccio “olistico, integrato, inclusivo e pragmatico per gestire le emissioni pur preservando la crescita economica” e hanno ribadito l’impegno di ciascun paese partecipante al quadro delle 4R (riduzione, riutilizzo, riciclo e rimozione) per ridurre le emissioni di gas serra in atmosfera.

Nella dichiarazione finale i leader del G20 hanno invece in primo luogo ribadito il loro impegno a rafforzare l’efficienza, la resilienza e la sostenibilità delle catene di approvvigionamento agricolo e alimentare, e hanno riaffermato l’impegno congiunto (preso per la prima volta nel 2009) a razionalizzare a medio termine e a eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili – anche se, nei fatti, su quest’ultimo fronte i progressi sono ancora scarsi.

È importante constatare come l’impegno all’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili sia stato fortemente avversato dalla presidenza saudita del vertice, e che sia stato inserito all’interno del comunicato finale anche grazie allo sforzo dei leader europei e dell’UE nel suo complesso.

Inoltre, ricordando l’impegno assunto al termine della Cop16 (Cancun, 2010), nella dichiarazione finale i leader del G20 hanno menzionato l’obiettivo da parte dei paesi avanzati di mobilizzare risorse per 100 miliardi di dollari entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere i loro target climatici. Tuttavia, lo scorso dicembre il Gruppo di esperti indipendenti sui finanziamenti per il clima ha constatato che, malgrado i dati ufficiali di cui si dispone risalgano al 2018, le loro proiezioni sui finanziamenti destinati ai paesi in via di sviluppo (complice anche la pandemia) si fermano intorno agli 80 miliardi di dollari e non oltre.

Un’ultima iniziativa del G20, che va nel senso di una maggiore collaborazione nella lotta al cambiamento climatico, è l’approvazione, nel corso del vertice saudita, delle “G20 Smart Mobility Practices”. Sviluppate con il sostegno dell’International Transport Forum e dell’OCSE, si tratta di un insieme di raccomandazioni e di un campionario di buone pratiche per massimizzare i benefici che provengono dalle tecnologie digitali e dalla disponibilità di dati in tempo reale, in modo da accelerare la diffusione dei sistemi di mobilità smart.

Questi processi dovrebbero permettere ai paesi di aumentare l’efficienza, l’equità, la sicurezza e la sostenibilità dei trasporti del futuro, così da consentire alle persone di continuare a spostarsi e, allo stesso tempo, limitare al massimo le emissioni di gas serra in atmosfera.

 

4. Sviluppo sostenibile e lotta alla povertà

Assieme al G7, anche il G20 sta gradualmente diventando una sede importante per discutere di aiuti allo sviluppo. Malgrado una forte eterogeneità nei loro livelli di sviluppo, infatti, i paesi membri del G20 contano per il 72% degli aiuti allo sviluppo mondiali, mentre il restante è quasi del tutto erogato da altri paesi non G20 appartenenti all’Unione europea (la quale a sua volta partecipa al vertice in qualità di “ventesimo membro”).

In questo contesto, la pandemia ha da un lato fatto aumentare la povertà nel mondo, con la Banca mondiale che per il 2021 prevede un aumento di 80-150 milioni di persone che vivono in estrema povertà rispetto all’anno precedente. Per la prima volta dalla loro adozione cinque anni prima, nel 2020 tutti gli indicatori degli Obiettivi di sviluppo sostenibile hanno fatto registrare un arretramento.

Dall’altro lato, lo stesso impatto economico della pandemia ha messo fortemente sotto pressione le finanze pubbliche di molti paesi, e in particolare quelle dei principali donatori mondiali, i quali si ritrovano di fronte alla necessità di valutare se comprimere le spese per aiuti allo sviluppo (Fig. 10).

Fig. 10 – Aiuti allo sviluppo di paesi/regioni del G20 (2019)

Inoltre, per essere davvero utili gli aiuti dovrebbero essere affiancati da aiuti tecnici per indirizzare i paesi poveri e in via di sviluppo verso una crescita robusta e sostenibile. Per questo, il G20 assieme alla Banca mondiale monitora l’inclusione finanziaria di persone e famiglie. La Banca mondiale e la Global Partnership for Financial Inclusion (lanciata dal G20 nel 2012) notano che sul fronte dell’inclusione finanziaria nel periodo precedente la pandemia la situazione stava lentamente migliorando, con un aumento dal 62% nel 2014 al 69% nel 2017 delle persone adulte che disponevano di un conto corrente attivo presso un’istituzione finanziaria.

Tuttavia, questo significa che circa 1,7 miliardi di persone adulte non disponeva ancora di un conto corrente, situazione che rende difficile renderle destinatarie di aiuti, da un lato, e delle rimesse da parte dei loro famigliari che vivono in un altro paese in un momento in cui la ridotta mobilità rende più difficile utilizzare sistemi tradizionali come il trasporto di denaro contante o lo hawala.

Per quanto riguarda gli Obiettivi sostenibili del millennio, nel 2016 il G20 ha adottato il “G20 2030 Action Plan”, che contiene un elenco d’impegni e iniziative in costante aggiornamento. Dall’adozione del documento fino al 2019, secondo rapporti Ocse e Undp il numero d’iniziative lanciate o promosse dai Paesi membri è triplicato, e sarà cruciale mantenere alto il livello di sostegno per evitare di disperdere i progressi fatti, in un contesto di rischi ancor più elevati determinato dalla pandemia.

Al summit di Riyadh di fine 2020 i leader si sono impegnati a rafforzare la cooperazione con le banche multilaterali di sviluppo, come la Banca mondiale (WB), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), la Banca asiatica di sviluppo (ADB), la Banca africana di sviluppo (AfDB) e altre iniziative regionali. Tuttavia, alcuni Stati membri hanno lanciato anche iniziative parallele: per esempio, nel 2015 la Cina ha fondato la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (AIIB), che oggi può contare su 86 membri (inclusi gran parte dei paesi G20) e per la quale rimane da valutare quanto le sue scelte di finanziamento siano complementari o alternative a quelle di altre banche multilaterali di sviluppo che operano nell’area (come la WB e la Adb).

Nel corso del tempo, il G20 si è anche preoccupato di creare condizioni favorevoli agli investimenti diretti esteri verso i paesi più poveri, per esempio nel 2017 con il lancio del G20 Compact with Africa. Dei 12 paesi africani che da allora hanno aderito all’iniziativa, nessuno fino al 2020 aveva sperimentato deflussi d’investimenti netti. Tuttavia, il successo di quest’iniziativa rimane circoscritto, dal momento che non prevede meccanismi di finanziamento ulteriori per incentivare gli investimenti e non contiene impegni vincolanti da parte dei paesi del G20.

Un’ulteriore azione globale che la pandemia ha reso sempre più impellente è poi quella di garantire una corretta alimentazione ai 7,8 miliardi di abitanti del pianeta, e in particolare ai 3 miliardi di individui che soffrono di malnutrizione. Secondo la FAO, a causa della pandemia le persone che versano in uno stato di grave insicurezza alimentare sono cresciute di circa il 20%, passando da 690 a 820 milioni – praticamente più di un abitante del mondo su 10.

Proprio la FAO (la cui sede è a Roma, e che anche per questo vede ulteriormente aumentata la possibilità di sinergie con il G20 a presidenza italiana) nel 2020 ha creato una Food Coalition, un meccanismo multilaterale e multisettoriale inteso a mobilitare assistenza a livello politico, finanziario e tecnico a sostegno dei paesi colpiti dall’emergenza Covid-19. In parallelo, il G20 saudita ha adottato il “G20 Riyadh Statement” per migliorare l’investimento responsabile nei sistemi agricoli e alimentari.

Dal momento che il 55% della popolazione mondiale vive in aree urbane, è altrettanto importante concentrare l’attenzione sulle possibilità di sviluppo urbano. Per questo motivo, nel 2019 il Summit ha lanciato la G20 Global Smart Cities Alliance, in modo da facilitare la transizione tecnologica e il trasferimento di buone pratiche da parte delle amministrazioni urbane non solo da parte dei Paesi membri, ma anche dei paesi che non partecipano al vertice. L’iniziativa fa seguito al lancio, nel 2017, di uno specifico engagement group rivolto alle amministrazioni urbane dei paesi partecipanti, lo Urban 20.

 

5. Commercio internazionale e infrastrutture

Commercio internazionale e infrastrutture sono temi ricorrenti negli incontri del G20, dal momento che entrambi sostengono la crescita economica globale e sono elementi fondamentali per renderla duratura e sostenibile.

Sul versante delle infrastrutture, i membri del G20 hanno di fronte a loro un compito di portata quasi colossale: stimolare investimenti per almeno 15.000 miliardi di dollari entro i prossimi vent’anni (stime del G20 Global Infrastructure Hub). A questa cifra ammonta infatti il divario tra gli investimenti in infrastrutture necessari per una crescita globale in linea con gli ultimi tre decenni e quelli a oggi previsti (Fig. 11). Si tratta di una cifra equivalente al 19% del Pil mondiale annuo, ovvero allo 0,9% del Pil mondiale annuo spalmato su un ventennio di maggiori spese.

L’ammanco più grande (8.000 miliardi di dollari), oltre la metà del totale, riguarda gli investimenti in infrastrutture stradali, mentre a seguire si trovano gli investimenti nel settore energetico (con un ammanco di 2.900 miliardi di dollari) e nelle ferrovie (1.100 miliardi).

Fig. 11 – Deficit globale di investimenti in infrastrutture (2020-2040)

In seno al G20, le discussioni sull’aumento degli investimenti in infrastrutture incontrano tuttavia ostacoli più politici che tecnici. Non da ultimo perché proprio intorno al tema delle infrastrutture ruota il progetto della Belt and Road Initiative, lanciato dalla Cina nel 2013 e accusato dagli Stati Uniti (e da alcuni paesi europei) di essere un piano atto ad aumentare l’influenza e il prestigio di Pechino, più che a incoraggiare e sostenere gli investimenti nei paesi partner dell’iniziativa.

Dal punto di vista tecnico, in ogni caso, allo scopo di stimolare gli investimenti pubblici e le partnership pubblico-privato in infrastrutture, nel 2019 sotto presidenza giapponese il G20 e la Banca mondiale hanno lanciato la Quality Infrastructure Investment (QII) Partnership, con l’obiettivo di sensibilizzare e aumentare l’attenzione nei confronti della qualità delle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo. Nel 2020 non sono stati presi impegni specifici, ma è stata promossa la collaborazione tra gli investitori istituzionali e gli asset manager privati allo scopo di finanziare infrastrutture di qualità.

Il G20 saudita ha inoltre ribadito l’impegno a promuovere le infrastrutture come una classe di asset separata, contenuta nella G20 Roadmap for Infrastructure as Asset Class adottata nel 2017. In questo caso, il tentativo è quello di stimolare investimenti privati e pubblico-privati nelle infrastrutture, una tipologia d’investimento da sempre difficilmente finanziabile attraverso tradizionali strumenti bancari e spesso relegata alla spesa pubblica.

La Roadmap tenta di standardizzare a livello internazionale tutta una serie di criteri e procedure che diano maggiore chiarezza e sicurezza a potenziali investitori: dalla fase contrattuale a quella finanziaria, dalla progettazione alla mitigazione e riallocazione dei rischi dell’investimento.

Passando al commercio internazionale, il G20 saudita ha ribadito il sostegno al sistema multilaterale degli scambi internazionali, sottolineando la necessità di scambi che siano liberi ma anche equi, inclusivi, e non discriminatori. Quest’ultimo punto ha ovviamente caratterizzato anche frequenti dispute politiche tra i paesi del G20, con accuse incrociate di concorrenza sleale attraverso svalutazioni competitive, aiuti di stato o sostegno diretto alle esportazioni delle imprese nazionali.

Esempio palese di questa tensione all’interno del sistema commerciale internazionale sono le “guerre commerciali” tra Stati Uniti e Cina, che fino alla (modesta) de-escalation del gennaio 2020 aveva condotto i due paesi a imporre nuovi dazi su scambi bilaterali per un valore di oltre 450 miliardi di dollari.

Nell’anno della pandemia il commercio internazionale ha inoltre subito un colpo molto duro, con una contrazione del 9,2% stimata a fine 2020 dal Wto (a fronte di una recessione del 3,5% stimata dall’IMF). In linea teorica, per rispondere al tracollo commerciale ed evitare l’interruzione e la frammentazione delle catene del valore globali, i leader del G20 hanno avallato le “G20 Actions to Support World Trade and Investment in Response to Covid-19”.

Tra gli altri impegni, il più importante sarebbe quello di terminare e cancellare prima possibile tutte le misure restrittive al commercio approvate dall’inizio della pandemia. In particolare, secondo il WTO nel corso del 2020 i paesi G20 avrebbero adottato 229 misure restrittive del commercio, 140 delle quali giustificate dall’emergenza Covid-19. Al contempo, lo stesso WTO nota che se le 140 misure restrittive causa pandemia fossero sollevate, nel corso del 2020 sarebbero state adottate quasi lo stesso numero di misure che facilitano il commercio internazionale (88) rispetto al numero di misure che invece lo ostacolano (89).

Infine, sempre per quanto concerne il commercio internazionale, la nuova presidenza statunitense potrebbe finalmente sbloccare il problema che affronta il Wto, con la mancata nomina dei giudici della Corte d’appello che ha di fatto compromesso il funzionamento dell’Organo di conciliazione (DSB) dell’organizzazione internazionale. Non appena eletto, infatti, il presidente Biden si è unito alle richieste d’individuare e nominare rapidamente i quattro giudici mancanti della corte, composta da sette membri.

Il 2021 potrebbe dunque vedere il ritorno alla piena normalità dell’organo di risoluzione delle controversie dell’organizzazione, gettando una luce positiva sul futuro del multilateralismo nel commercio internazionale.

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