11 Mar 2021

Infrastrutture: Sistema Italia alla prova del Recovery

Con l’ingresso del governo Draghi, il Recovery Plan sarà in gran parte riscritto con maggiore attenzione alla salute, alla scuola, ai giovani, alla parità di genere, come già si era iniziato a fare, ma forse ancora di più per l’innovazione, la transizione ecologica e la sostenibilità delle infrastrutture. Su questi ultimi temi è da anni […]

Con l’ingresso del governo Draghi, il Recovery Plan sarà in gran parte riscritto con maggiore attenzione alla salute, alla scuola, ai giovani, alla parità di genere, come già si era iniziato a fare, ma forse ancora di più per l’innovazione, la transizione ecologica e la sostenibilità delle infrastrutture. Su questi ultimi temi è da anni impegnato il neo ministro Enrico Giovannini, da cui ci si attende molto per legare finalmente l’infrastrutturazione del territorio all’ambiente.

 Tra le infrastrutture una particolare attenzione dovrà essere riservata al sistema portuale nazionale.

 

L’allegato alle infrastrutture al DEF 2020

La lettura dell’Allegato Infrastrutture consente di avere un quadro articolato degli interventi infrastrutturali in corso (strade e autostrade, ferrovie e nodi urbani, trasporto rapido di massa nelle città metropolitane, porti, aeroporti). Il costo degli investimenti ammonta a circa 196 miliardi di euro di cui il 65% finanziato. Il fabbisogno residuo è di circa 70 miliardi.

Tuttavia, gli investimenti nei porti raggiungono 4,8 miliardi, una quota marginale rispetto al totale. Anche questo dà la misura della scarsa considerazione delle politiche di governo nei confronti del sistema portuale e più in generale dell’economia del mare. Non conosciamo lo stato di attuazione degli interventi, né la loro correlazione con le infrastrutture territoriali, ma realisticamente per la lunghezza dei tempi di autorizzazione, approvazione ed esecuzione ci troviamo di fronte a una pluralità di opere incomplete e in via di ultimazione. Ogni Autorità Portuale è intervenuta per proprio conto, in base a vecchi piani, spesso antecedenti alla L.84/94. Manca, per gli investimenti nei porti, un quadro di riferimento sia a livello nazionale (l’ultimo Piano Nazionale Generale dei Trasporti è del 2001, mentre la Conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità di sistema portuale è di fatto inoperante), sia a livello regionale e locale (non c’è sufficiente attenzione da parte dei Piani regionali dei trasporti e perdura una profonda scissione tra piani urbanistici e quelli portuali). Solo di recente con il DL 169/2016 le Autorità portuali sono divenute di sistema, assumendo una dimensione territoriale di area vasta rispetto alla quale è ora possibile programmare gli investimenti attraverso il “Documento di Pianificazione Strategica di Sistema” (uno strumento ancora in fase di avvio e non ancora apprezzato sul piano operativo).

L’allegato Infrastrutture elenca anche gli interventi ritenuti prioritari sottoposti o da sottoporre a progetti di fattibilità. Si tratta di un una pluralità di opere il cui costo non è stimato, ma verosimilmente è pari ai programmi già appaltati.

 

Il Recovery Plan

Il Recovery Plan si inserisce in un contesto in cui la pandemia ha fatto emergere drammaticamente le insufficienze e i ritardi pregressi.  Correttamente le linee guida messe a punto dalla Commissione europea hanno imposto di legare i fondi per la ripresa (economica e sociale) e la resilienza (stabilità e adattamento ai cambiamenti climatici) a concreti processi di riforma. Per il settore delle infrastrutture si tratta di porre mano alla semplificazione del farraginoso apparato legislativo e burocratico degli appalti pubblici (il DL 76/2020 Semplificazione è ritenuto del tutto insufficiente) e alla revisione dei dispositivi di pianificazione (a partire dalla L 84/94 e modificazioni). Il fattore tempo diventa decisivo: i fondi sono legati al raggiungimento degli obiettivi secondo un cronoprogramma per cui gli impegni di spesa vanno assunti entro i primi due anni (2021-23) e i pagamenti vanno rendicontati entro il 2026.  C’è da chiedersi se siamo in grado di sostenere un tale impegno. L’esperienza nell’uso dei fondi strutturali d’investimento europei 2014-2020, per cui riusciamo a impegnare poco più del 50% dei 75 miliardi assegnati, gioca decisamente a sfavore.

 A differenza del Piano Marshall, il Recovery Plan è un programma incentrato sul breve periodo, che va inteso come strategia d’urto, finalizzata a innescare processi di cambiamento e di innovazione. In questo senso il Recovery Plan è una sfida che richiede una trasformazione radicale nel modo di programmare e attuare gli investimenti e nel modo di intendere i piani. Non più un processo decisionale a cascata, ma piani transcalari e transtemporali. Investire nel presente, ma proiettarsi nel futuro; realizzare gli interventi in tempi stabiliti, ma situarli entro quadri territoriali di medio e lungo periodo definiti da masterplans flessibili e adattativi.

Il Recovery Plan va dunque visto in una strategia più ampia le cui tappe sono già state individuate dalle direttive europee. Limitandoci agli obiettivi di maggiore impatto sul territorio e l’ambiente: per il 2030 è previsto il completamento della rete TEN-T centrale e la sua connessione con i porti “core”, nonché la riduzione del 55%% delle emissioni clima alteranti rispetto al 1990; per il 2050, il completamente della rete globale TEN-T e il raggiungimento della carbon neutrality (riduzione del 90% per il settore dei trasporti).

Nei documenti preparatori del Recovery Plan la questione ambientale e il tema della connettività prospettano scenari e processi in cui da politiche settoriali si dovrebbe passare a politiche più organiche e integrate. Integrazione tra le diverse reti infrastrutturali, tra queste e il territorio e l’ambiente; intermodalità alle diverse scale; digitalizzazione, integrazione tra le reti ambientali (le reti verdi e blu) e le reti della connettività; non ultimo, integrazione dei diversi canali di finanziamento.

Mai come ora, con la scelta di destinare alla transizione ecologica ingenti risorse, risulta decisivo integrare la componente ambientale in tutte le reti e nodi infrastrutturali (si pensi per esemplificare al tema dei green ports). Come attuare questa integrazione? Come trasformare, ad esempio, un’opera colossale come la nuova diga foranea di Genova, in una infrastruttura utile all’ambiente, alla riqualificazione urbana e del paesaggio? È questo un tema su cui riportare l’attenzione per la definizione dei progetti da sostenere con le risorse del Recovery Fund. Nell’Allegato al DEF 2020 ci si spinge a parlare della “rete infrastrutturale come sistema portante del paesaggio Italia” e della necessità di un “approccio aggiornato”. Saremmo capaci di andare in questa direzione?

Nella versione approvata dal Consiglio di Ministri il 12 Gennaio 2021 il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Recovery Plan) destina 222,9 miliardi di euro a 6 missioni (Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute). I documenti al momento elaborati fanno capire che i settori su cui si concentrano le risorse sono l’ambiente (68,9 miliardi), e la digitalizzazione e innovazione e cultura (46,16 miliardi).

 

I fondi per la portualità

Per l’intermodalità, la logistica integrata e il sistema portuale sono destinati 3,68 miliardi. Le risorse messe in gioco si articolano su tre linee di intervento: Porti e intermodalità collegati alle grandi linee di comunicazione europee e nazionali e sviluppo dei porti del Sud (2,10 miliardi); Green Ports e Cold Ironing (1,22 mild); Digitalizzazione sistemi logistici (0,36 miliardi).

Una quota pari a 0,48 miliardi delle risorse destinate alle infrastrutture portuali è destinata a programmi in essere, per i nuovi progetti restano poco più di 2 miliardi. Assolutamente insufficienti, come si evince dalla lunga lista dei programmi ancora privi di copertura finanziaria contenuta nell’allegato Infrastrutture al DEF 2020.

Non è facile comprendere a quale modello di sistema portuale e a quale quadro territoriale si faccia riferimento. Risulta chiaro che le risorse maggiori andranno riservate ai porti di Genova e Trieste per rafforzare il loro ruolo di terminali dei corridoi europei Nord-Sud e aprirsi così all’interscambio con i paesi d’Oltralpe. A questi due porti si riserva la funzione di sviluppare i traffici “oceanici” e agli altri porti quelli mediterranei. Si tratta di una semplificazione non realistica. La maggioranza dei porti italiani sono scali multi purpose, incentrati sul traffico Ro-Ro, ma con quote a volte consistenti di movimento container (da La Spezia a Venezia, a Napoli).

 

I limiti del piano e le opportunità di sviluppo

Nonostante i numerosi richiami alla questione meridionale, non viene colto il ruolo dei porti del Sud nei confronti del sistema produttivo (manifatturiero e agroalimentare), da cui deriva la forte componente dell’import-export marittimo. Non si tiene conto della ripresa del traffico transhipment in un porto importante come quello di Gioia Tauro che attende ancora di radicarsi all’economia del entroterra; né della particolare condizione del porto di Taranto che partendo da una consistente dotazione infrastrutturale, potrebbe, con opportuni investimenti, sostenere la transizione ecologica del polo industriale dell’Ilva; né al ruolo strategico che potrebbe avere la linea ferroviaria AV/AC Napoli Bari per i loro rispettivi porti. Neppure la questione dello stretto legame tra porti e sviluppo delle ZES sembra essere presa in seria considerazione.

Per tutta una serie di nodi critici della portualità nazionale, dall’ultimo miglio stradale e ferroviario, all’accessibilità marittima, all’aumento della capacità portuale si fa riferimento a Italia Veloce, ovvero all’Allegato al Def 2020. Non emerge, nel documento Recovey Plan, un disegno complessivo che leghi gli investimenti infrastrutturali portuali alle reti ferroviarie, stradali e ai nodi logistici del territorio. Si fa tuttavia riferimento a un “progetto integrato porti” che purtroppo ancora non esiste.

Più consistenti appaiono le risorse destinate alla sostenibilità ambientale e all’elettrificazione delle banchine (1,22 mld). Il tema dei green ports è indubbiamente importante ed è la via obbligata per una transizione ecologica verso la decarbonizzazione e il contenimento degli effetti del cambiamento climatico. Le aree portuali costituiscono un sistema ambientale tra terra e mare che incide direttamente sul microclima delle città e l’equilibrio idrogeologico del territorio. I finanziamenti previsti colgono soltanto alcuni aspetti della questione, in particolare l’efficienza energetica degli edifici e l’elettrificazione delle banchine, per consentire alle navi in sosta di spegnere i motori, abbattendo in tal modo l’inquinamento atmosferico e acustico. Il trasferimento dell’energia dalle linee ad alta tensione alle banchine portuali e da qui alle navi, richiede forniture consistenti e specifiche infrastrutture (cabine di trasformazione e conversione, cavi), ma anche navi appositamente predisposte all’alimentazione elettrica (anche se temporanea). Su questo versante c’è una forte resistenza da parte degli armatori sia per i maggiori costi dell’energia, sia per gli investimenti necessari per l’adeguamento delle navi. Lo scenario diventa ancora più complesso se l’obiettivo è quello di utilizzare energia rinnovabile che va prodotta e stoccata in particolari sistemi di accumulo.

Investire sull’elettrificazione delle banchine è importante, ma le risorse a disposizione se distribuite in misura diffusa (“il progetto Green Port si concentra sulle nove Autorità di sistema portuale del Centro Nord”) sono alla fine modeste e possono avviare soltanto iniziative sperimentali.

Per i porti dell’Italia meridionale il Recovery Plan mette in evidenza il loro ruolo per il turismo, ma questo, va detto, vale per tutto il sistema portuale nazionale, non solo per il traffico passeggeri e crocieristico, ma anche per la possibilità di riqualificare urbanisticamente le aree di waterfront. A differenza di quanto è accaduto in altre città europee, da Barcellona a Marsiglia, dove il decentramento ha consentito il recupero delle aree dismesse e la realizzazione di progetti strategici per lo sviluppo urbano, in Italia, dove i porti convivono con le città, i programmi di waterfront, tranne a Genova, non sono ancora decollati. Forse è giunto il momento di avviare un grande progetto di riqualificazione urbana integrato alla trasformazione green dei porti.

La previsione di 0,36 miliardi per la digitalizzazione è un orientamento positivo che va ulteriormente declinato per fare dei porti dei nodi avanzati sul piano tecnologico, dell’efficienza e della qualità dell’ambiente.

In questa direzione il porto come nodo strategico di una filiera logistica, con i suoi servizi, le sue tecnologie, le sue relazioni può divenire parte integrante di un progetto di riqualificazione del territorio. La qualità ambientale delle aree portuali (green port e waterfront) potrà consentire di superare la separazione tra porto e città, di rendere compatibile lo loro vicinanza in un sistema integrato che ottimizza i loro servizi e le loro risorse. Soprattutto in Italia la loro prossimità è un valore aggiunto su cui puntare.

 

Riferimenti bibliografici

  • AISRe, EyesReg, Monia Barca, Aurelio Bruzzo, Politica di coesione 2014-2020 e capacità di spesa delle amministrazioni italiane nel 2018, www.eyesreg.it
  • Assoporti, Autorità di Sistema Portuale. Movimenti portuali, anno 2019, www.assoporti.it
  • Confetra, Statistiche, www.confetra.it/it/centrostudi/statistiche.htm;
  • Isfort, Un treno che viene dal mare. Il futuro del trasporto intermodale, tra innovazione tecnologica, nuovi modelli di business e impatti sul territorio, Ottobre 2019, www.isfort.it
  • Srm, (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) L’impatto del Covid-19 sui trasporti marittimi: rotte strategiche e scenari globali. Intermodalità e sostenibilità chiavi del rilancio italiano, www.srm-maritimeeconomy.com
  • Mef, Ufficio di gabinetto, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. NEXTGENERATION ITALIA, presentato al Consiglio dei ministri il 12-01-2021, www.mef.gov.it
  • Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, Roma 2015, www.mit.gov.it
  • Ministero dell’Economia e delle Finanze. Documento di Economia e Finanza 2020. Allegato Italiaveloce, Roma 2020, www.dt.mef.gov.it

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