7 Apr 2021

Groenlandia: elezioni e geopolitica

Svolta green

In Groenlandia vincono gli Inuit, ambientalisti e contrari allo sfruttamento di un maxi-giacimento di terre rare e uranio. Le elezioni nell’isola contesa per le risorse, la rotta artica e la pesca, hanno calamitato l’attenzione delle potenze mondiali.

 

Alla fine il partito indipendentista Inuit Ataqatigiit (La Comunità Inuit – Ia) ce l’ha fatta. La formazione di opposizione, ambientalista e di sinistra, ha battuto il partito di governo Siumutnelle elezioni anticipate in Groenlandia, territorio a ridosso del Polo Nord di circa 50mila abitanti sotto la sovranità della Danimarca ma che gode di ampie autonomie. Una vittoria storica, considerato che è la prima volta che Simiut perde la maggioranza in parlamento dal 1979, e un voto che avrà ampie ripercussioni sugli equilibri geopolitici nell’Artico. In gioco infatti, non c’erano solo i 31 seggi del piccolo parlamento groenlandese, ma le sorti dell’immenso progetto minerario Kvanefjeld, (Kuannersuit in lingua inuit), che secondo le proiezioni costituirebbe il secondo giacimento di metalli rari più grande al mondo, e la quinta più grande riserva di uranio. Progetto a cui la comunità inuit si oppone con forza per i rischi ambientali e di inquinamento. La partita elettorale non si è giocata solo sullo sfruttamento di risorse: un altro tema chiave ha riguardato il riscaldamento globale che lo scorso anno ha causato uno scioglimento record dei ghiacciai. Un problema di non poco conto per un paese che vede l’80% del suo territorio ricoperto da ghiaccio per tutto l’anno. Inoltre, negli ultimi anni, lo scioglimento ha aumentato le superfici percorribili lungo le rotte artiche, riducendo i tempi di navigazione e alimentando le rivendicazioni incrociate tra paesi rivieraschi, già in competizione per le risorse energetiche sottomarine. Finora ‘protetta’ da montagne di ghiaccio, la Groenlandia e il nuovo Artico rischiano di diventare teatro di una corsa tra potenze (e tra multinazionali) per la conquista delle ricchezze e degli spazi ora sempre più accessibili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. 

 

 

 

Un futuro green?

In Groenlandia lo sviluppo del settore minerario è al centro del dibattito politico da anni. Il partito socialdemocratico Siumut (Avanti) è favorevole a concedere il nulla osta definitivo alla società australiana Greenland Minerals and Energy (poi scalata dalla cinese Shenghe Resources Holding Ltd di Shanghai) per il progetto Kvanefjeld. L’attività estrattiva creerebbe infatti centinaia di posti di lavoro e milioni di euro di ricavi all’anno. Oggi però la vittoria di Ia cambia le carte in tavola e avrà un notevole impatto sulle future politiche ambientali del paese. Il partito, che rappresenta la comunità Inuit, non è del tutto contrario allo sfruttamento delle risorse minerarie dell’isola, ma lo è di quelle sotto il monte Kuannersuit, a causa dell’inquinamento radioattivo e dei rifiuti tossici che ne deriverebbero. Un tema cruciale, perché una miniera di uranio a cielo aperto in quelle condizioni climatiche, secondo molti esperti, potrebbe inquinare con polveri radioattive l’intera Groenlandia meridionale e i suoi mari, essenziali per l’economia locale basata sulla pesca. Inoltre, lo sfruttamento minerario difficilmente costituirà una soluzione rapida per l’indipendenza economica dell’isola.

 

Sogni di indipendenza?

Quella dei ricavi non è una questione secondaria per la Groenlandia, che solo con le tasse provenienti dalla concessione coprirebbe parte dei circa 500 milioni di euro stanziati da Copenaghen per metà del bilancio statale. Per rivendicare l’indipendenza dalla Danimarca, auspicata da molti, la Groenlandia dovrebbe però diventare autonoma dal punto di vista economico: in quest’ottica lo sviluppo del settore minerario rappresenta una rara opportunità per diversificare l’economia locale. L’isola potrebbe infatti diventare uno dei maggiori produttori al mondo di terre rare, un insieme di 17 minerali essenziali per la fabbricazione di prodotti di uso comune, come smartphone e computer, a quelli necessari per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e macchine elettriche) fino al settore militare (laser, radar). Anche per questo, Cina e Stati Uniti – in aperta competizione per il controllo di questi elementi – hanno osservato con attenzione il voto in Groenlandia e i suoi possibili esiti. In particolare gli Stati Uniti sono determinati a ridurre il più possibile la propria vulnerabilità nei confronti della Cina che, ad oggi, produce circa il 60% delle terre rare mondiali, oltre a processare e raffinarne circa l’80% a livello globale. 

 

 

Una nuova corsa all’oro?

Ma se le potenze mondiali guardano con sempre maggior interesse alla Groenlandia, è anche per la sua posizione geografica sulla rotta artica, che lo scioglimento dei ghiacci ha reso ormai percorribile tutto l’anno. Non è un caso che, nel 2019, l’allora presidente americano Donald Trump manifestò l’interesse degli Stati Uniti ad acquistare l’intera isola, ricevendo un secco ‘no’ da Copenaghen. Già negli ultimi decenni, gli Usa ci hanno costruito diverse stazioni meteorologiche e basi militari, tra cui quella di Thule – la più importante postazione del Pentagono nell’emisfero settentrionale dai tempi della Guerra Fredda, a 800 chilometri dal Polo Nord – e vorrebbero edificare tre nuovi aeroporti. Ma tra giacimenti di materie prime e nuove rotte per il traffico marittimo, il confronto si fa sempre più muscolare: la settimana scorsa il Cremlino ha messo in scena una prova di forza senza precedenti, con una serie di missioni combinate di tre sottomarini nucleari emersi tra i ghiacci polari a poche decine di metri l’uno dall’altro. Uno sfoggio di potenza che dimostra che se i ghiacci diminuiscono, intorno all’Artico le tensioni continuano a salire.

 

 

Il commento

Di Alessandro Gili, ISPI Associate Research Fellow

“Dopo le esternazioni di Trump nel 2019 circa l’intenzione di comprare la Groenlandia dalla Danimarca – poi conclusesi in un nulla di fatto con l’irritazione del Governo di Copenaghen – le elezioni in Groenlandia hanno riacceso i riflettori sull’area, soprattutto alla luce della sua ricchezza di metalli e terre rare. Elementi sempre più fondamentali per la produzione della nuova industria tecnologica ed energetica, tra cui batterie, pannelli fotovoltaici, cellulari e gran parte dei manufatti elettronici. E la Cina, che già controlla gran parte delle terre rare a livello mondiale, grazie anche alle immense risorse interne, non è indifferente alla partita groenlandese, ancor di più oggi che il riscaldamento globale apre sempre più prospettive per la stabilizzazione di una rotta commerciale artica. Ma gli Stati Uniti potrebbero rilanciare offrendo nuovi investimenti alla Groenlandia, aprendo un nuovo fronte di competizione geoeconomica tra le due superpotenze. Con la Russia che non intende essere relegata al ruolo di spettatore”.

 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

 

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