20 Set 2019

Migranti e Ue: cosa serve sapere sul vertice di Malta

Focus

Lunedì 23 settembre si tiene a Malta un mini-summit tra i ministri dell’Interno di 5 paesi europei, Italia inclusa. Si tratterà del primo tentativo formale per trovare una soluzione condivisa sulla gestione degli sbarchi nel Mediterraneo centrale, e per l’Italia sarà anche la prima uscita internazionale per il nuovo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.

Dal vertice di Malta ci si attende un primo accordo tra “paesi volenterosi” che, riconoscendo la difficoltà di cambiare le regole Ue in senso più solidale, si dichiarino disponibili ad agire al di fuori dei trattati per ricollocare i migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale e sbarcati in Italia o a Malta.

Come si è arrivati fino a qui? Che accordo potrebbe uscire dal vertice di La Valletta? E quali conseguenze potrebbe avere l’accordo per l’Europa in generale, e per l’Italia in particolare?
 

Migranti e “crisi in mare”: cos’è successo fino a oggi?

Nel corso del primo governo Conte (giugno 2018 – agosto 2019) si è scelto di adottare una gestione dei flussi irregolari via mare che è oggi conosciuta come “politica dei porti chiusi”. Si è cioè deciso di non consentire a una serie di imbarcazioni (in particolare quelle operate da attori della società civile, le Ong) di entrare rapidamente in Italia dopo avere soccorso le persone in difficoltà al largo delle coste libiche.

Questo ha portato all’avvio di 25 “crisi in mare” (si veda grafico), durante le quali le imbarcazioni sono state tenute al largo delle coste italiane per una media di 9 giorni prima di raggiungere una soluzione che ne consentisse l’attracco in porto e lo sbarco dei migranti soccorsi. In un primo periodo (soprattutto nel 2018) le persone salvate sono state “dirottate” su altri paesi europei, in particolare Malta e Spagna. Nel corso del 2019, invece, nell’80% dei casi le crisi si sono concluse con lo sbarco dei migranti in Italia.

Con tempi e modalità diverse a seconda della crisi, il governo italiano ha avviato delle trattative con altri stati europei, chiedendo che alcuni di essi si facessero carico di una quota dei migranti sbarcati. In questo contesto di “negoziati ad hoc”, quasi sempre la trattativa è stata delegata alla Commissione europea, che dopo aver preso contatto con gli stati membri notificava all’Italia le disponibilità di ciascuno di accogliere i soccorsi.

Qual è stato l’esito di questi negoziati “caso per caso”? In totale, le imbarcazioni per le quali l’Italia ha aperto delle crisi hanno alla fine fatto sbarcare in Italia 1.346 persone, ottenendo che altri paesi europei si facessero carico di 593 di loro. In sostanza, per ogni 10 persone sbarcate in Italia a seguito di una crisi in mare, l’Italia è riuscita a ricollocarne poco più di 4.

Questo dato va inoltre confrontato con il fatto che in Italia nello stesso periodo (giugno 2018 – agosto 2019) sono sbarcate 15.095 persone. Trattandosi nella grande maggioranza dei casi di arrivi autonomi con piccole imbarcazioni, l’Italia non ha potuto “chiudere i porti” e tenerle al largo, e ne ha dunque consentito sempre lo sbarco senza negoziare con gli altri partner europei. Se confrontiamo il numero di sbarchi con le “crisi in mare” possiamo dunque dire che l’Italia ha aperto crisi e chiesto il ricollocamento solo per il 9% dei migranti sbarcati, e che è riuscita a strappare “solidarietà europea” (cioè promesse di ricollocamento) solo per il 4% del totale degli sbarcati.


 

Di cosa si discute a Malta?

Lunedì 23 settembre a Malta si incontreranno 5 paesi europei: Italia, Malta, Germania, Francia e Finlandia. A seguire i lavori assieme a loro vi saranno anche rappresentanti della Commissione europea. Tra i partecipanti vi sono due paesi che chiedono solidarietà nel gestire gli arrivi irregolari nel Mediterraneo centrale (Italia e Malta), due che si offrono di aiutarli anche al di fuori delle regole Ue (Germania e Francia) e un “osservatore imparziale”, la Finlandia, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue nel corso di questo semestre.

La presenza di Germania e Francia non implica che gli impegni di solidarietà nei confronti di Italia e Malta presi nel corso del vertice saranno sottoscritti solo da Parigi e Berlino: sembra infatti probabile che nel corso del vertice si discuta anche della partecipazione di una serie di altri paesi volenterosi. Nell’elenco potrebbero figurare per esempio Irlanda, Portogallo e Lussemburgo, paesi che già negli ultimi mesi si sono resi disponibili ad accogliere una parte dei migranti sbarcati in Italia o a Malta in seguito alle crisi che si sono susseguite.

L’obiettivo del vertice è quello di negoziare un “Predictive temporary allocation programme”: un accordo che consenta di ricollocare in altri paesi europei una parte dei migranti soccorsi da Italia e Malta. Si tratterebbe di un accordo temporaneo e su base volontaria, ma che eviterebbe ai paesi di negoziare il ricollocamento caso per caso.

La base delle trattative è la prassi che si è costituita nel corso delle “crisi in mare” degli ultimi 14 mesi. Tali crisi hanno portato a negoziati ad hoc, conclusisi con la promessa di redistribuzione in altri paesi europei di un numero variabile di persone soccorse. Data la prassi, a La Valletta non si discuterà dunque del ricollocamento di tutti i migranti sbarcati in Italia e Malta, ma solo di chi sbarca nei due paesi a seguito di un soccorso in mare (si veda grafico). Come ricordato sopra, tra giugno 2018 e agosto 2019 solo il 9% di chi è sbarcato in Italia lo ha fatto dopo essere stato soccorso in mare: è del ricollocamento di quel 9% che si sta dunque trattando in queste ore, in vista del vertice di lunedì.

In un primo momento, l’Italia sembrava aver chiesto uno sforzo aggiuntivo ai partner europei, ovvero una “rotazione” dei porti per lo sbarco delle persone soccorse in mare. Questo avrebbe significato che le persone salvate non sarebbero state fatte sbarcare sempre e soltanto in porti italiani o maltesi, ma anche in quelli francesi (per esempio a Marsiglia). In queste ultime ore, e in particolare dopo l’incontro tra il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron, sembra invece che questa ipotesi sia tramontata, il che eliminerebbe una potenziale fonte di attrito tra i governi che chiedono solidarietà e quelli che la offrono.

Resta invece ancora da sciogliere un nodo cruciale. Negli ultimi giorni si sono rincorse diverse voci, non confermate, sul fatto che la Francia abbia chiesto di ricollocare solo i “potenziali rifugiati”, ovvero quella porzione di migranti soccorsi che abbia una sufficiente probabilità di ottenere una protezione in Europa. Per Italia e Malta si tratterebbe di un netto passo indietro, soprattutto alla luce del fatto che, stando agli ultimi dati disponibili, in Italia meno del 20% dei richiedenti asilo ottiene effettivamente una protezione: questo consentirebbe dunque a Parigi di restringere ancora di più il bacino dei potenziali migranti ricollocabili.

Infine, in queste ultime settimane si è discusso di come incentivare altri paesi europei a partecipare all’accordo tra i “volenterosi”. In particolare sono state avanzate ipotesi di sanzionare i paesi Ue che decidessero di non partecipare al meccanismo di ricollocamento. Rimane infatti incerto in base a quali regole, presenti o future, queste sanzioni potrebbero essere attivate.


 

Quali conseguenze per l’Europa?

Il summit di La Valletta apre importanti interrogativi per la gestione dei flussi migratori irregolari a livello comunitario. Il vertice di Malta tenta infatti di formalizzare una cooperazione tra paesi membri dell’Unione europea, ma che avviene al di fuori del perimetro normativo comunitario.

Una prima questione che si potrebbe aprire è quella di quanto sia giusto o corretto ricollocare in altri paesi europei solo i migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale. A differenza di quanto accaduto per la maggior parte del tempo tra il 2011 e oggi, nel 2019 quella del Mediterraneo centrale è stata la rotta meno interessata dagli arrivi irregolari: solo il 13% dei 67.000 migranti irregolari giunti in Europa è sbarcato in Italia o Malta. Al contrario, la maggior parte ha raggiunto l’Europa attraverso la Grecia (57% del totale) o la Spagna (29%).

Un secondo interrogativo non riguarda tanto i numeri degli arrivi irregolari lungo le varie rotte, quanto la generica opportunità di concentrarsi solo su una delle tre rotte di ingresso via mare in Europa. Nel caso i negoziati di Malta sfocino in un accordo, infatti, si creerà un sistema di gestione degli arrivi irregolari in Europa ancora più frammentato, con la rotta del Mediterraneo centrale che soggiace a regole e principi diversi rispetto a quella del Mediterraneo occidentale verso la Spagna e a quella del Mediterraneo orientale verso la Grecia. Un sistema più frammentato potrebbe essere un sistema percepito come meno equo. Il rischio è che la “solidarietà europea” ottenuta lunedì 23 settembre da Italia e Malta sia considerata da altri paesi Ue che non beneficiano del sistema di redistribuzione (soprattutto Grecia e Spagna) come un’ingiustizia nei loro confronti, generando recriminazioni dall’esito non facilmente prevedibile.

Infine, un ultimo spunto di riflessione riguarda le modalità di negoziato e applicazione dell’accordo di La Valletta. Se, come appare probabile, l’accordo continuerà a restare un’intesa non solo in deroga alle regole europee ma persino al di fuori dei trattati, quale impatto potrebbe ciò avere sui negoziati in corso in sede Ue, come la riforma del Regolamento di Dublino? E come bilanciare altrimenti la necessità di arrivare rapidamente a un accordo tra i paesi “volenterosi”, da un lato, e quella di salvaguardare l’impianto normativo e giuridico comunitario, dall’altro?


 

Quali conseguenze per l’Italia?

Come abbiamo visto in precedenza, tra giugno 2018 e agosto 2019 in Italia sono sbarcate 1.346 persone per le quali il governo ha deciso di aprire una “crisi in mare” e avviare un negoziato con i partner europei. Alla fine delle trattative che hanno condotto allo sbarco, alcuni partner europei hanno promesso di ricollocare nei propri paesi 593 persone, ovvero il 44% del totale.

Se all’incontro di La Valletta di lunedì Italia e Malta riuscissero a ottenere il massimo della solidarietà richiesta, verrebbe ricollocato altrove il 90% di chi sbarcasse nei due paesi dopo essere stato soccorso in mare. In questo caso sarebbe come dire che, se l’accordo di La Valletta fosse già stato in vigore negli ultimi 14 mesi, l’Italia avrebbe ottenuto promesse di ricollocamento per 1.211 migranti, un numero più che doppio rispetto alle promesse strappate attraverso le crisi ad hoc.

Tuttavia, se come prospettato sopra Parigi decidesse di chiedere che i migranti ricollocabili siano solo i “potenziali rifugiati”, il numero dei ricollocati potrebbe scendere a circa il 20% del totale, cioè la proporzione di richiedenti asilo che ottiene una protezione oggi, e dunque a 269 persone in totale. In questo caso si tratterebbe di un notevole passo indietro rispetto alle premesse della vigilia.

In generale, va comunque ricordato che, anche nello scenario in cui l’Italia riuscisse a ricollocare 1.200 persone, si tratterebbe solo di una piccola percentuale degli arrivi. Più precisamente, si passerebbe da una quota di ricollocati nel corso degli ultimi 14 mesi equivalente al 4% del totale degli sbarcati in Italia, a una quota massima dell’8%. Dunque, anche se da La Valletta Malta e Italia uscissero con il miglior accordo possibile, più di 9 migranti su 10 sbarcati in Italia continuerebbero a rimanere nel nostro paese.

Si tratterebbe dunque di un passo avanti nella direzione di una maggiore solidarietà europea, a cui tuttavia l’Italia potrebbe guardare con soddisfazione solo nell’ottica di un continuo lavoro per tentare di modificare le altre regole europee che al momento penalizzano i primi paesi di ingresso dei migranti irregolari in Ue. In particolare, Roma dovrà nei prossimi anni continuare a lavorare per una riforma del Regolamento di Dublino, che continua a obbligare l’Italia e i paesi di primo ingresso in Europa a farsi carico della valutazione di quasi tutte le richieste d’asilo e della gestione degli eventuali rimpatri dei migranti che arrivano in Ue per vie irregolari.

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